VELTRONI OMAGGIA LEONE E APRE UNO SPIRAGLIO SUL CASO MORO
di Giuseppe Gullo
Veltroni è stato uno dei maggiori protagonisti della transizione che ha portato il PCI a diventare l’attuale PD. Ha ricoperto all’interno del principale partito della sinistra tutti gli incarichi più importanti. Deputato a trent’anni dopo una lunga militanza nella FGCI, è stato Segretario del PDS eletto alle primarie con un plebiscito, Sindaco di Roma per un mandato e mezzo, Vice Presidente del Consiglio e Ministro dei Beni Culturali nel Governo Prodi. Della generazione post-comunista è stato, con D’Alema, l’esponente di più elevato lignaggio per il livello di rappresentatività e il consenso che ha avuto.
Travolto dal nuovismo di Renzi, si è dedicato con grande successo alla scrittura diciamo così leggera, pubblicando noir di buon successo editoriale, al cinema, firmando la regia di varie produzioni di lungometraggi e di documentari, alla televisione e al giornalismo collaborando con continuità con il Corriere della Sera. Ha evitato di prendere posizione ufficiale a favore o contro la maggioranza che di volta in volta ha governato il PD facendo solo trapelare alcune “preferenze” rispetto alle posizioni che il suo Partito assumeva soprattutto sui temi che gli sono più congeniali.
Com’è nella sua natura non ha mai forzato i toni preferendo un’immagine defilata ma non assente dal dibattito politico. Altra classe e altro livello rispetto a ciò a cui spesso siamo costretti ad assistere, nostro malgrado, in sedi Istituzionali e fuori di esse, secondo il principio che appare dominante, ahinoi, per cui ciò che conta è quello di cui si parla sui media anche se si dovesse trattare, come spesso capita, di volgarità, di parole al vento e senza senso, di boccacce , linguacce, doppi sensi, ammiccamenti , messaggi cifrati, esercizi muscolari e crisi isteriche.
Chi segue le vicende politiche, le attuali e quelle più datate, leggendo i contributi di idee di Veltroni avrà pensato a quale sia la vera ragione per la quale una mente lucida che sviluppa analisi politiche di tutto rispetto, dalle quali ovviamente si può dissentire ma che non è possibile ignorare se non per superficialità o mancanza di capacità, debba dare il proprio contributo dalle pagine di un grande quotidiano invece che nelle sedi proprie nelle quali il dibattito di dovrebbe sviluppare, e cioè gli organi del Partito al quale appartiene. Forse la risposta più semplice è quella più vicina alla realtà: nei Partiti, in tutti, il dibattito non c’è e chi vuole esprimere le proprie idee o trova un diverso canale o le tiene per sé.
Un grande dirigente politico non s’improvvisa, si costruisce attraverso anni di esperienza e di prova collaudata in posti di responsabilità. Quanto più tali responsabilità sono state elevate tanto più la capacità acquisita diventa un patrimonio “pubblico” del quale è un delitto non mettere a frutto le potenzialità.
Recentemente l’ex Sindaco di Roma ha scritto sul Corriere un lungo ed interessante memoriale sulla vicenda che, sul finire degli anni 70 del secolo scorso, coinvolse un esponente di primissimo piano della Democrazia Cristiana, il Presidente Giovanni Leone. Egli fu il sesto Presidente della Repubblica dal 1971 fino al 15 giugno del 1978 quando si dimise a seguito del c. d. scandalo della fornitura degli aerei della Lockheed nel quale venne ingiustamente coinvolto. Leone lasciò la carica pochi mesi prima della scadenza naturale del mandato sull’onda di fortissime pressioni della stampa e di alcune forze politiche, tra le quali anche o forse soprattutto il Partito al quale apparteneva dal 1944 e che lo aveva indicato come Presidente della Repubblica.
Ciò che colpisce nella ricostruzione dei fatti di Veltroni è anzitutto il suo approccio alla vicenda. Egli rende onore ad una lettera firmata da Marco Pannella e Emma Bonino, nella quale i due leaders radicali chiedevano scusa pubblicamente per essere stati sostenitori della campagna che portò alle dimissioni del Presidente Leone. Era 1l 1998 e Leone compiva allora novant’anni. Erano trascorsi vent’anni dalle sue dimissioni invocate a gran voce anche da coloro che scrivevano. Il testo della lettera era noto e conteneva affermazioni molto inquietanti tra le quali quella che lo scandalo facesse parte di una manovra che aveva come obiettivo principale di sviare l’attenzione dell’opinione pubblica dal tragico epilogo del rapimento di Moro avvenuto pochi giorni prima delle dimissioni.
Scrissero allora Pannella e Bonino “Le siamo grati per la grande e unica dignità con la quale — dopo le sue dimissioni da Presidente della Repubblica — lei ha vissuto e onorato per oltre due decenni la vita istituzionale e civile di questo Paese… Le siamo grati per l’esempio da lei dato di fronte all’ostracismo, alla solitudine, all’abbandono da parte di un regime nei confronti del quale, con le sue dimissioni altrimenti immotivate, lei spinse la sua lealtà fino alle estreme conseguenze, accettando di essere il capro espiatorio di un assetto di potere e di prepoteri, che così riuscì a eludere le sue atroci responsabilità relative al caso Moro, alla vicenda Lockheed, al degrado totale e definitivo di quanto pur ancora esisteva di Stato di diritto nel nostro Paese”
Tutto gira intorno al caso Moro ed alle responsabilità ad esso collegate. La senatrice Bonino non ha nulla da dire in merito?
L’altro aspetto “particolare” è costituito dall’affermazione di Veltroni di avere potuto consultare carte riservate di appunti dell’ex Presidente della Repubblica. Da esse emerge la grande solitudine nella quale egli ha vissuto i giorni che hanno preceduto la decisione di dimettersi, ma anche la sua disponibilità a concedere la grazia ad alcuni reclusi se questo fosse stato utile per salvare la vita di Moro. In un appunto, prima d’ora non noto, Leone riferisce che aveva ricevuto una pressante richiesta della signora Moro perché intervenisse su Zaccagnini per sollecitarlo a prendere un’iniziativa di apertura nei confronti dei rapitori. Leone alzò il telefono per chiamare Zaccagnini ma non poté farlo in quanto Cossiga, presente alla discussione, glielo impedì. Sembra la scena di un film, ma non abbiamo ragione di dubitare di ciò che riferisce l’ex vicepremier, anche se fa specie pensare che il Ministro dell’Interno posa non avere consentito al Presidente della Repubblica di chiamare il Segretario del loro Partito, la DC, per parlargli del rapimento di Moro che teneva in ansia l’Italia e tutto l’Occidente!
Da buon rampollo allevato alla scuola del PCI, Veltroni, allora ventitreenne ma frequentatore assiduo dei piani importanti delle Botteghe Oscure, non dice quasi nulla del ruolo e delle posizioni del suo Partito. Riferisce soltanto che Bufalini, a tutti noto come l’uomo del Cremlino in Italia, chiese di essere ricevuto dal Segretario Generale della Presidenza della Repubblica per comunicargli che il PCI aveva lasciato Leone al suo destino. Nient’altro.
Il grande mistero su Moro e su tutto ciò che ad esso è collegato, emerge periodicamente, ma sempre solo in piccola parte, tale però da fare pensare che molte carte sono ancora in chissà quali caveau e che la Verità non è quella delle sentenze e delle Commissioni d’inchiesta.
Fonte Foto: Flickr – PD Alghero – CC BY-NC-ND 2.0 Deed