UNA PRIMA RIFLESSIONE SUL PREMIERATO
di Giuseppe Gullo
Dopo oltre un anno di attesa e vari rinvii, il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge che riforma profondamente la nostra Costituzione introducendo l’elezione diretta del Presidente del Consiglio. L’impressione è che la montagna abbia partorito un topolino, piccolo e anche deforme! In primo luogo occorre rilevare che la proposta del premierato non è accompagnata, come avrebbe dovuto, da un disegno di legge sul nuovo sistema elettorale, che è lo strumento attraverso il quale dovrà trovare concreta attuazione la maggioranza parlamentare che sosterrà il Presidente eletto. Al riguardo, il disegno di legge costituzionale afferma “La legge disciplina il sistema elettorale delle Camere secondo i principi di rappresentatività e governabilità e in modo che un premio assegnato su base nazionale garantisca ai candidati e alle liste collegati al Presidente del Consiglio dei Ministri il 55 per cento dei seggi nelle Camere“.
Obiettivamente troppo poco, al di là della fissazione della percentuale del 55% che dovrà essere assegnata alle liste collegate al Presidente eletto. Come? Applicando i principi di rappresentatività e governabilità, stabilisce il disegno di legge costituzionale. La governabilità viene garantita elevando al 55% la percentuale conseguita dalle liste collegate al Presidente eletto. Il DdL non fissa però la soglia minima che dovrà essere raggiunta per avere il premio di maggioranza. Non è un dettaglio bensì un elemento di grande rilievo per l’evidente ragione che se la soglia minima non fosse ragionevolmente alta, si potrebbe verificare che liste con una piccola maggioranza o, al limite, anche minoritarie rispetto all’insieme delle altre, potrebbero ottenere il premio di maggioranza.
È accaduto più volte, ovviamente in altro contesto e con diverse modalità elettorali, che il Sindaco eletto non avesse la maggioranza in Consiglio o che il Presidente di Regione avesse una percentuale significativamente diversa, in più o in meno, di quella conseguita dalle liste collegate. Sarebbe stato un segnale positivo dal punto di vista politico e da quello della serietà istituzionale dare precise indicazioni sul sistema elettorale nel momento in cui si propone di introdurre una riforma di tale impatto sulla struttura istituzionale dello Stato.
Il testo esitato dal CdM prevede che “Il Presidente della Repubblica conferisce al Presidente del Consiglio dei Ministri eletto l’incarico di formare il Governo e nomina, su proposta del Presidente del Consiglio, i Ministri.” Sembra così che la proposta provi a conciliare la coesistenza di figure di vertice delle Istituzioni che tuttavia, rebus sic stantibus, sono destinate inevitabilmente a confliggere. La maggioranza proponente afferma che i poteri del Presidente della Repubblica resterebbero invariati. Non è così. Anzitutto la novità rilevantissima di un Premier eletto dal popolo e di un PdR eletto dal Parlamento integrato, pone le due figure su piani diversi dal punto di vista della legittimazione. Il Premier eletto troverebbe la sua investitura nella volontà sovrana del popolo cui soltanto dovrebbe rendere conto del suo operato. Non sarebbe sfiduciabile se non provocando nuove elezioni e avrebbe una condizione di fatto preminente anche rispetto al Parlamento, che sarebbe poi chiamato a dare la fiducia al Governo ben sapendo che, se non lo facesse, verrebbe sciolto. Il Presidente della Repubblica non avrebbe alternative, né potrebbe cercare diverse soluzioni. La c.d. norma anti ribaltone sarebbe anche una deminutio sostanziale della libertà del mandato parlamentare introducendo una forma surrettizia di vincolo, a suo tempo escluso dai Costituenti del 1948. Non si tratterebbe di evitare i ribaltoni quanto di legare mani e piedi ai parlamentari limitando oltre il consentito la libertà di valutazione e di dissenso.
Ma non basta! Con l’art. 4, vengono poi apportate all’art. 94 della Costituzione rilevanti modifiche, stabilendo in particolare (lettera A) che “Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. Nel caso in cui non venga approvata la mozione di fiducia al Governo presieduto dal Presidente eletto, il Presidente della Repubblica rinnova l’incarico al Presidente eletto di formare il Governo. Qualora anche quest’ultimo non ottenga la fiducia delle Camere, il Presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere”.
Non si può dubitare che il testo sia stato predisposto da esperti scelti dal Governo con molta attenzione agli equilibri (e anche alle aspirazioni) della coalizione dell’attuale Governo, ma il risultato si presta a molte critiche. Il conferimento dell’incarico al Presidente eletto è un atto vincolato, automatico per il quale non ci saranno consultazioni. Il PdR avvierebbe il processo di formazione del Governo senza potere in nessun modo intervenire, prendendo atto del risultato elettorale. La nomina dei Ministri avverrebbe secondo le regole attuali, ma con il ragionevole dubbio che il “peso” del PdR nella scelta sarebbe minore rispetto a prima, mentre quello del Presidente del Consiglio eletto, per le ragioni sopra indicate, sarebbe maggiore; nel prosieguo le funzioni del Quirinale sarebbero notevolmente ridotte. Se il Governo non dovesse ottenere la fiducia del Parlamento, il PdR dovrebbe nuovamente incaricare il Premier già bocciato di formare egualmente un Governo e di ripresentarsi alla Camere, senza alcuna possibilità di ricercare soluzioni diverse. Sinceramente, sfugge la ragione politica per la quale lo stesso organo che ha negato la fiducia dovrebbe accordarla allo stesso premier dopo pochi giorni. Solo nel caso in cui il Parlamento non approvasse nuovamente la mozione di fiducia, il PdR potrebbe sciogliere le Camere.
La stessa norma, alla lettera B, introduce, a sorpresa, una novità: “In caso di cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio, il Presidente delle Repubblica può conferire l’incarico di formare il Governo al Presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare eletto in collegamento al Presidente eletto, per attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto ha chiesto la fiducia delle Camere.”
Anche questa formulazione appare ridimensionare fortemente i poteri del PdR. Egli non potrebbe fare altro che rimandare il Presidente eletto davanti al Parlamento, oppure incaricare un parlamentare eletto nelle liste con lui collegate. Soluzione questa inaccettabile sul piano politico e istituzionale, non apparendo giustificabile che la sostituzione del Premier con altro parlamentare non scelto dagli elettori come Premier. Escludere la possibilità che il PdR possa fare una verifica a 360 gradi delle possibili soluzioni prima di sciogliere le Camere è sbagliato e svilisce le funzioni del Capo dello Stato.
Nelle democrazie occidentali che hanno adottato il sistema presidenziale o semipresidenziale non mi risulta che vi sia niente che sia lontanamente paragonabile a questo pastrocchio. Non si tratta di copiare sistemi di altri Paesi, quanto di tenere conto di esperienze maturate altrove per farne buon uso. La stabilità dei Governi non è un’operazione matematica il cui risultato è certo. Essa è la risultante di proposte politiche che hanno il consenso della maggioranza degli elettori, che si esprime per mezzo dei suoi rappresentanti e che non può preventivamente considerare eventi imprevedibili o situazioni eccezionali che richiedono risposte immediate. Il meccanismo proposto dal Governo va in direzione opposta.
Non si tratta di evocare pericoli immaginari ma di trovare soluzioni equilibrate e istituzionalmente solide. Questa non lo è.
Fonte Foto: Wikimedia Commons – governo.it – CC BY-SA 3.0 IT Deed
Nel caso in cui il Presidente del Consiglio eletto dal popolo non dovesse ricevere la fiducia dal parlamento o si torna a votare o il PDR sceglie a Suo insindacabile giudizio un eletto dal popolo. In questo modo torna nelle mani del Presidente il giusto equilibrio istituzionale.
All’elezione diretta del presidente del Consiglio bisognerebbe pensare e scrivere un nuovo sistema elettorale, possibilmente un proporzionale puro,per dare così all’elettore la possibilità di esprimere ed eleggere con il proprio voto il suo rappresentante al parlamento. Formule diverse darebbero alle segreterie dei partiti la scelta sia dei candidati che degli eletti.
Già così aggiustata la proposta del CDM potrebbe essere presa in considerazione