Una legge elettorale proporzionale per ripristinare la democrazia rappresentativa
di Giuseppe Gullo
Per iniziativa della Direzione del PD, la discussione sulla riforma della legge elettorale è finalmente tornata ad essere all’ordine del giorno del dibattito politico. La questione è di notevole importanza e coinvolge in modo diretto, com’è evidente, gli interessi delle forze politiche, in quanto dipende da essa, in modo rilevante, la misura della rappresentanza parlamentare di ciascuna. Tutti concordano, almeno formalmente, nel dichiarare che il Rosatellum, depurato dalle parti dichiarate illegittime dalla Consulta, deve essere modificato. I problemi nascono nel momento in cui s’inizia a discutere di quali debbano essere i cambiamenti.
Il numero dei parlamentari che dovranno essere eletti l’anno prossimo è di 345 inferiore all’attuale in applicazione della sciagurata riforma costituzionale voluta dai 5Stelle e confermata dal voto popolare. Se c’era una modifica non necessaria e tantomeno urgente della Carta era proprio questa. Con ogni probabilità gli stessi suoi artefici sono pentiti amaramente e, lontani da occhi e orecchi indiscreti, si rammaricano della scelta fatta, avendo constatato che per molti di loro significherà l’addio definitivo all’aula di Montecitorio o Palazzo Madama. Tant’è, ormai non è possibile rimediare.
Questo rende più drammatica la scelta da fare a ragione delle sempre maggiori difficoltà delle forze politiche di conquistare una rappresentanza numericamente congrua. Ciò vale soprattutto per i 5Sstelle che, in virtù del risultato elettorale e del premio di maggioranza, hanno eletto un numero di parlamentari che i più ottimisti tra loro non ipotizzava neanche in sogno o sotto l’effetto di molto alcool. Oggi, secondo stime ottimistiche, otto parlamentari pentastellati su dieci non saranno rieletti.
Gli esperti, veri o sedicenti tali, di ciascun partito sono al lavoro per studiare quale sia il sistema che consenta alla formazione politica di riferimento di ottenere il risultato più vantaggioso. I discorsi che declamano e cioè che ciò che sta loro a cuore è la stabilità, la rappresentatività, l’autorevolezza e cose di questo genere, sono il tentativo di dare una veste dignitosa all’obiettivo vero ed esclusivo che è il conseguimento del maggior numero possibile di parlamentari.
Il nostro Paese per quasi trent’anni, 1946-1993, ha adottato un sistema elettorale proporzionale alla Camera. Al Senato il sistema era nominalmente maggioritario ma sostanzialmente proporzionale ancorché solo livello regionale, in quanto l’elezione maggioritaria richiedeva il conseguimento del 65% quasi mai raggiunto da un candidato uninominale. Il referendum Segni e il sempre latente spirito anti “casta” travolsero tutto sull’onda del golpe giudiziario della Procura di Milano di cui ricorre il trentesimo anniversario.
Il sistema proporzionale aveva garantito la stabilità intorno alla DC nonostante il succedersi di numerosi governi tutti nel segno della continuità. Nemmeno grandi scandali che avevano coinvolto importanti esponenti delle Istituzioni e portato alle dimissioni del Presidente Leone, scalfirono questo assetto che nel tempo fini per coinvolgere, oltre ai partiti minori di centro, destra e sinistra, prima i Socialisti negli anni 60 e successivamente, dopo la caduta del muro e l’implosione dell’URSS, i Comunisti, che avevano progressivamente e faticosamente abbandonato l’opposizione e le pregiudiziali contro la Dc e i suoi alleati per proporsi come possibili alleati di un Governo di larghe intese.
Il sistema proporzionale favorì questo processo che, con ogni probabilità, si sarebbe concluso positivamente se nell’arco di pochi mesi l’alleanza tra magistratura, forze imprenditoriali, stampa, servizi interni e internazionali insieme all’insipienza e alla mancanza di coraggio di forze politiche e singoli esponenti, non avesse travolto tutto.
La c. d. seconda Repubblica nacque sotto l’egida del Mattarellum, sistema elettorale misto con una forte quota di uninominale alla francese. Esso consentì nel 1994, inopinatamente, la vittoria elettorale di Berlusconi e del partito da lui creato in modo estemporaneo con logica aziendalistica e la conseguente sconfitta della coalizione di sinistra che sembrava predestinata alla vittoria, ma non provocò quel profondo cambiamento di uomini e di metodi che molti avevano sperato e agognato. Il bipolarismo all’italiana fallì e con esso il sistema elettorale che, si pensava, ne fosse la levatrice. Ciò a conferma di un principio sacrosanto, e cioè che una buona legge elettorale è importante ma che non è sufficiente per dare stabilità e qualità ai Governi se non vi sono interpreti all’altezza del compito. Così si è proceduto, con un gioco di grande successo inventato dal prof. Sartori, a utilizzare il latino maccheronico per definire dopo il Mattarellum, le leggi elettorali che si sono succedute (porcellum, italicum, tedeschellum, e infine il rosatellum), una peggiore dell’altra, una più astrusa dell’altra, nelle quali valeva il principio di non far capire nulla, espropriare l’elettore di ogni facoltà di scelta e portare in Parlamento persone che non avevano la più pallida idea di ciò che erano chiamate a fare.
Recentemente qualche studioso di buone letture ha ricordato lo scritto di Kelsen pubblicato in Germania pochi anni prima che la follia nazionalsocialista travolgesse le istituzioni con il consenso della maggioranza degli elettori tedeschi. La fragilità delle Istituzioni democratiche va difesa preservandole dal qualunquismo, dal populismo e dalle notti che oscurano le differenze e fanno apparire tutto grigio e uniforme.
Una legge elettorale proporzionale con preferenza tra i candidati sarebbe un’ottima scelta in questa direzione e un metodo sicuro e collaudato per garantire pluralismo e libertà di dissenso, pilastri fondamentali di ogni vera democrazia.
Ogni forza politica avrà la rappresentanza che gli elettori le attribuiranno portando in Parlamento i valori e le ideologie di cui è portatrice, e in quella sede si confronterà con le altre dando vita, se vi saranno le condizioni, alle naturali alleanze. Invece, i premi di maggioranza alterano i risultati del voto e spesso non raggiungono affatto l’obiettivo della stabilità e della omogeneità. Basta guardare all’attuale Parlamento e a quanto accaduto nel corso della legislatura per averne conferma.
Un sistema proporzionale, inoltre, limiterebbe molto la designazione degli eletti da parte di chi controlla gli apparati garantendo all’elettore di potere scegliere i candidati di migliore qualità e più vicini ai programmi sui quali i Partiti chiedono il consenso degli elettori.
In un momento nel quale il sistema democratico è in crisi in tutto il mondo è necessario dare al cittadino elettore la più ampia possibilità di scelta, sia per le liste che per i candidati, e il sistema proporzionale con preferenze garantisce tutto questo più di ogni altro sistema, come l’esperienza degli ultimo trenta anni ha abbondantemente dimostrato.
Il vero problema è che ad ogni legislatura si cambia il sistema elettorale in un tentativo di avvantaggiare il proprio partito. Ciò si configura come una vera disonestà nei confronti di una vera democrazia. La legge elettorale, una volta fatta, dovrebbe restare inalterata e non soggetta a cambiamenti secondo la volontà della maggioranza del momento. Forse ne uscirebbe una soluzione meno cervellotica. Andrebbe scritta in costituzione. Tutto il resto è secondario