Tutti contro tutti. Non salvo nessuno
di Roberto Tumbarello
Pensavamo che fossero tutti e tre culo e camicia – Meloni, Salvini e Berlusconi – ecco perché sono stati votati in massa. Finalmente gente seria, che non litiga continuamente per futilità, come la sinistra, come facevano i 5 Stelle prima del golpe di Conte. Gente che ha il senso dello Stato e sente la responsabilità del mandato elettorale. Ci infondevano sicurezza.
Tutti hanno ragione
Purtroppo niente di tutto questo. C’eravamo illusi. Sono italiani anche loro e tutti depositari della verità. Anzi, più italiani degli altri perché patrioti, polemici e incontentabili, come il PD, cocciuti nelle loro convinzioni. Gli altri non possono avere ragione. Malintesi, accuse e ripicche sono cominciati il primo giorno di scuola – anzi, di asilo – in Parlamento.
Nel pizzino di Berlusconi-in favore dei teleobiettivi dei fotografi – nascevano i primi giudizi critici sulla Meloni. Era diventata, a pochi giorni dal 25 settembre, supponente e tanto altro. E lei rispondeva: “Non sono ricattabile”, credendo che per esserlo si dovesse rubare e qualcuno accorgersene. Invece, lo si può essere per non avere mantenuto una promessa, per avere mentito o anche per la mancata restituzione di un credito. Ed è a questa esazione che Berlusconi alludeva: il credito nei confronti della destra per averla sdoganata e portata fino a Palazzo Chigi. Probabilmente erano già cominciate le polemiche sulla Ronzulli, che la Meloni giudica inadeguata a fare la ministra.
Tutti più umili?
Però, pensandoci bene, la Premier poteva anche chiudere un occhio dato che peggio della Ronzulli ce ne sono stati tanti, ce ne sono e ce ne saranno. Al peggio in politica non c’è fine. Alla Meloni conveniva accontentare il fondatore del centro destra, senza il quale oggi non sarebbe al governo. Almeno la protetta del padrone è infermiera, certamente anche brava, mentre tanti altri non sono niente. Qualcuno anche meno di niente. Poi, come si fa a dire di no a un uomo come Berlusconi, che nel 2008 ha fatto ministra dello Sport la Meloni – a 31 anni lei era adeguata? – e Ignazio La Russa ministro della Difesa.
Nel centrodestra
Ma la gratitudine non essendo di questo mondo, non si può colpevolizzare la Meloni. Invece, Berlusconi la colpevolizza. Anzi, ce l’ha proprio con lei. Forse la colpa è di un’eccessiva lealtà della Ronzulli che ha peccato d’ingenuità e sincerità dichiarando la verità. Avrebbe potuto dire di essere medico o ingegnere. Non sarebbe la prima nell’ambiente politico, dove abbonda l’ignoranza e l’arroganza, a millantare titoli accademici che non si posseggono. Ma Berlusconi, che arrossisce quando dice la verità, tanto è abituato a mentire, questa volta pensava che non fosse necessario ricorrere alla menzogna, come quando giurava sulla testa dei suoi figli. Con la Ronzulli, invece, diceva la verità.
Nessuno gli aveva mai negato un favore. Ecco perché si è talmente arrabbiato che, il giorno stesso – si eleggeva il presidente del Senato – negava i voti di Forza Italia a La Russa. Sarebbe stato più saggio e prudente da parte del pretendente alla seconda carica dello stato aspettare 24 ore perché la rabbia di Berlusconi svanisse. Invece, con la fretta che contraddistingue questa maggioranza – chissà perché, noi post fascisti andiamo sempre di fretta, per poi tornare indietro – fece un inopportuno gesto di superbia. Ricorse alla disponibilità del terzo polo, sempre pronto a schierarsi dalla parte della zizzania, per avere i voti che mancavano all’elezione. Berlusconi si sentì bypassato e superfluo. Sarebbe già scoppiata la guerra nella destra se non fossero intervenuti i figli a chiedere al padre di interrompere le ostilità.
L’umiliazione no….
Anziché difendere il suo prestigio, Marina e Piersilvio si intromisero intimando al padre di fare pace con gli alleati. Quindi, per amore paterno il vecchio leader, che non si era mai sottomesso a nessuno, neppure a Craxi, andò a chiedere scusa alla Meloni, umiliandosi addirittura a incontrarla nella sede del suo partito, abituato com’era, invece, ad accogliere chiunque in casa propria. Per quel gesto fece pena, dal punto di vista umano, persino a chi lo aveva sempre osteggiato. Ma proprio per quella prostrazione, l’idillio era finito prima che cominciasse l’esperienza comune di governo. Seppure unto dal Signore Berlusconi si è legato al dito la mortificazione e da quel momento è diventato un alleato scomodo.
Sempre per la fretta superflua e incomprensibile – dimenticando che la gatta frettolosa fece i gattini ciechi e c’è anche il proverbio a ricordarcelo – la Premier incappò in alcuni errori e dovette rimangiarsi certi provvedimenti. Nel tentativo di riprendere i consensi perduti, di cui la Meloni si era arricchita, ora anche Forza Italia e la Lega, seppure in maniera silenziosa, fanno opposizione.
Tutti contro tutti anche in Lombardia
Intanto la Moratti, stanca di fare il n. 2 del leghista Fontana, che lei giudica mediocre, pur militando in Forza Italia, decide di sfidare la destra, pare all’insaputa di Berlusconi – ma è mai possibile? – alla cui successione la vedova mira. Con l’ospitalità nel partito del gatto e la volpe che vivono del contributo di transfughi e voltagabbana, si è candidata alla guida della Lombardia, dove sembra avere svuotato Lega e Forza Italia. Ma lo controlleremo tra due settimane, a scrutinio ultimato delle regionali. Tutto questo avviene in assenza di opposizione, che, per quanto riguarda il PD, è come se non ci fosse, impegnato com’è nella scelta del nuovo segretario.
Intanto i due alleati della Meloni dichiaravano guerra tra loro
Perché nel tentativo fallito di recuperare qualche voto almeno al Nord – anche se ormai il serbatoio della Lega sembra essere piuttosto inverosimilmente il Sud – Calderoli ha riproposto il suo vecchio programma, che da più di vent’anni cerca di trasformare in legge dello stato, sull’autonomia regionale differenziata. Consiste, in breve, nel trattenere buona parte delle imposte locali nella regione in cui vengono prodotte. Ovviamente il Sud ne uscirebbe danneggiato. Ecco perché Forza Italia osteggia il progetto, come fece già nel 2001 e nel 2008 quando era il leader maximo a guidare la maggioranza, La Meloni – il cui obiettivo principale è la riforma costituzionale per trasformare la repubblica parlamentare in presidenziale – quindi dando il potere a una sola persona e riducendo quello del Parlamento – è disposta a tutto, persino a concedere la riforma regionale, se la Lega voterà il suo semi-presidenzialismo. Ma siccome fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio, Fratelli d’Italia vuole votare le due leggi contemporaneamente, come lo scambio delle spie al checkpoint Charlie di Berlino, quando la Germania era divisa in due.
Invece i leghisti non vogliono aspettare le lungaggini della riforma costituzionale, che può durare alcuni anni e anche non realizzarsi se non si trovano i necessari due terzi di deputati e senatori. Viene, così, alimentata un’altra polemica. La diffidenza, però, era già nata alla vigilia di Natale per l’approvazione della legge finanziaria.
Per evitare eventuali brutti scherzi degli alleati, la Meloni ha messo la fiducia sia al Senato che alla Camera. Con una maggioranza così ampia da ambire persino alla riforma costituzionale, porre la fiducia è stato un chiaro segnale di mancanza di fiducia. Un’ammissione di crisi incipiente per un’alleanza che era appena all’inizio di un percorso che la stessa Premier, però, prevedeva già piuttosto tortuoso.
Non si salva nessuno: Renzi Nostradamus
Ecco perché questi menagramo di osservatori politici danno al governo solo pochi altri mesi di vita. Poi, magari, con la stessa maggioranza tornerà il solito maschio (e Renzulli ministra). Renzi, ormai specializzato in cadute di governo, fissa addirittura la data della crisi – come Nostradamus – entro le elezioni europee del 2024. Infatti, il governo che si prevedeva dovesse durare cinque anni, è spesso minato da fatti nuovi e imprevedibili date le polemiche in continua emersione. Per di più l’aumento del carburante ha minato la fiducia degli italiani e pare che l’idillio con la premier donna sia ormai finito o comunque notevolmente diminuito, come sempre accade quando si mettono le mani nelle tasche degli elettori.
Se poi Nordio batte i pugni
A completare il dissidio è infine arrivato Nordio, che, da ex PM, divenuto a 75 anni deputato di Fratelli d’Italia e ministro della Giustizia, sta creando problemi al governo, comportandosi come se ne fosse il proprietario. A causa di situazioni che sfuggono agli osservatori politici e forse a lui stesso, gli è scoppiato un astio improvviso e imprevisto contro i PM ai quali vuole limitare l’uso delle intercettazioni, persino dopo la cattura di Messina Denaro, che dimostra quanto siano necessarie per scoprire fatti di mafia e anche di corruttela crescente, che – ammette la stessa Meloni – non sono di minore gravità.
Pur non negando l’utilità del mezzo di controllo, il ministro sostiene che i magistrati ne abusano, scatenando l’indignazione dei suoi ex colleghi – con gradi sempre più elevati, Nordio per 40 anni è stato PM a Venezia – e la perplessità degli elettori. Anche la politica, che non riesce più a controllarlo né a farlo ragionare, è sorpresa del suo atteggiamento così determinato e intransigente. Eppure la sua candidatura e la nomina a ministro era stata fortemente voluta dalla Premier, che qualche mese fa lo aveva addirittura proposto per il Quirinale aggiungendo che “Se al parlamento non va bene neppure Nordio come capo dello Stato vuol dire che ormai il mondo va alla rovescia”.
Meno male che, poi, Salvini, su suggerimento di Berlusconi, propose la riconferma di Mattarella
Se no sarebbero stati guai seri avere un Capo dello Stato con l’astio e il rancore che mette oggi nell’azione politica. Tanto da far capire che persino la Meloni, prima Premier donna tanto agognata dagli italiani, che confidavano nella sua sensibilità femminile, può sbagliarsi al pari dei suoi predecessori uomini.
È inspiegabile forse a lui stesso tanta acrimonia nei confronti dei magistrati inquirenti, tacciandoli di abusare delle intercettazioni tanto da volerli privare del loro strumento più efficace. Ormai c’è un braccio di ferro tra lui e Salvini, che insiste nel non voler polemizzare con la Magistratura. E chiede nell’interesse di chi abuserebbero i suoi ex colleghi. Con l’espressione sempre aspra, corrucciata e disgustata, senza la speranza remota di un sorriso né di cordialità e neppure di un comportamento sereno, come se fosse impegnato in una battaglia personale contro i PM di cui ha fatto parte fino a cinque anni fa, quando, per raggiunti limiti di età, andò in pensione.
Attenzione che non paghi dazio l’informazione
Eppure Nordio fu un magistrato di successo, con una carriera sempre brillante, dimostrando dedizione e indubbio talento. Deve essere successo qualcosa che ha alterato i rapporti con i colleghi e ora vuole togliersi qualche sassolino dalla scarpa, dimenticando che un ministro deve fare gli interessi del Paese e della Giustizia. Ma anche quelli della maggioranza che, invece, mette in difficoltà e che è critica nei confronti del suo astioso operato. Tutto ciò sta accadendo a poco più di cento giorni dal giuramento del governo Meloni. C’è un’eterogenia di opinioni nella maggioranza che nessuno in campagna elettorale aveva previsto.
Finirà che a farne le spese sarà come sempre l’informazione, che i politici temono e che cercano sempre di imbavagliare, seppure gli italiani dimentichino qualsiasi evento nel giro di pochi giorni. Il compromesso consisterà probabilmente nel mantenere le intercettazioni, ma vietandone la pubblicazione, cioè contravvenendo alla libertà d’informazione.
Speriamo che non ci siano grosse multe o addirittura detenzione per i giornalisti che le pubblicheranno. Si proteggerà così l’anonimato dei corrotti. La Premier, che non può ammettere di essersi sbagliata nella scelta del ministro, continua a difenderlo. Anzi, avendone qualcuno chiesto le dimissioni, l’ha blindato. Significa che d’ora in poi la Meloni seguirà la stessa sorte di Nordio.
A due passi da Palazzo Chigi, sull’altra sponda del Tevere, c’è il Vaticano che ha un’esperienza politica millenaria
Se fossimo più umili prenderemmo esempio da quei furbi in caso di difficoltà. Da Paolo VI in poi vescovi, arcivescovi e cardinali a 75 anni debbono dimettersi dagli incarichi che ricoprono. A quell’età noi presuntuosi invece cominciamo una nuova carriera di cui non sappiamo nulla. Solo perché siamo intelligenti e nella vita precedente abbiamo avuto successo.
Tutti contro tutti. Tipico italiano. Anche a sinistra
È proprio una nostra deformazione caratteriale, tipica dell’italiano che mira continuamente al potere e che, intollerante sulle ragioni altrui, non lo vuole mollare, lo vorrebbe fino all’ultimo giorno di vita. E se non gli è possibile, rinuncia al proprio pur di toglierlo ad altri. Successe al PD durante la scorsa campagna elettorale. Pur cosciente dell’opportunità delle alleanze, trattandosi di elezioni col sistema maggioritario, rifiutò l’alleanza con il M5S per punirlo di non avere sostenuto il governo Draghi. Come se il banchiere avesse favorito il PD durante la sua permanenza a Palazzo Chigi. Tutto questo continua a succedere per ripicca, per mancanza di senso di responsabilità e anche per una buona dose di stupidità.
Purtroppo, anche Berlusconi, che è il solo uomo politico che, dopo Mussolini, ha saputo ammaestrare gli italiani, interpretando i loro vizi e capricci, invecchiando ha perso la lucidità e non se ne rende conto, né chi gli scodinzola ancora attorno può farglielo notare per non rischiare l’espulsione. Anziché individuare un giovane in gamba e istruirlo per farne il proprio successore, si ostina a gestire il potere contro le leggi della natura che non si possono alterare e destinando, così, la sua creatura politica alla disgregazione quando non avrà più le energie per gestirla.
O lui o nessuno. Muoia Sansone e tutti i filistei.
Ha addirittura privato i suoi fedeli della facoltà di pensare. Debbono solo eseguire, come un tempo i comunisti che ricevevano istruzioni dall’Unione Sovietica. Quel sistema, ripudiato dalle persone probe, ha fatto scuola persino a chi crede di averlo contrastato e distrutto. Tanto che Berlusconi l’ha copiato e Bonaccini è orgoglioso di averne fatto parte. Anziché essere biasimato, sembra essere il successore di Letta, sostenuto dalle cariatidi che sono in parlamento da mezzo secolo, qualcuno persino con la moglie, e fingono di chiedersi come mai il PD sia in crisi continua pur sapendo di esserne la causa.
Molto interessante e con chiara visione della realtà.