SUL FILO DEI RICORDI: COLLOQUIO NON IMMAGINARIO CON PAOLO PICCIONE*
di Giuseppe Gullo
In occasione della pubblicazione a cura dell’ARS degli interventi in aula e dei discorsi pronunciati durante cerimonie ufficiali nelle quali rappresentava il Parlamento siciliano, Paolo Piccione, già Presidente dell’ARS dal 17 luglio 1991 al 9 novembre 1993, si recò a Palermo per presenziare alla cerimonia. Fu accompagnato da un suo più giovane amico, che ho chiamato Francesco, col quale decise di tornare a Messina in treno. L’emozione e la stanchezza lo indussero a scegliere il mezzo meno faticoso. Nella sala d’attesa della stazione della Capitale siciliana, sul filo dei ricordi, venne fuori il racconto di alcune tra le molte esperienze vissute in una dimensione reale in cui i fatti s’intrecciavano con i desideri e le passioni.
Nel febbraio del 2024 Paolo Piccione compirà 92 anni. E’ tra gli ultimi testimoni della storia del PSI messinese e siciliano della seconda metà del ‘900 di cui è stato protagonista.
Di questo ho cercato di dare conto in questa ricostruzione, tutt’altro che immaginaria, di quel colloquio, con un solo scopo: quello di affermare che le passioni non subiscono l’usura del tempo, e che esse rappresentano una tra le ragioni per cui la vita vale la pena di essere vissuta con i dolori, le amarezze, le gioie e le soddisfazioni che può dare.
“La scena si svolge nella sala d’aspetto della stazione centrale di Palermo. Sul Palcoscenico vi sono due soli personaggi, il Presidente novantenne, vestito elegantemente di scuro, cravatta in tinta, ben pettinato e rasato e il suo accompagnatore, Francesco, vent’anni di meno, vestito di grigio, baffi e piccolo pizzo bianco, accanto a lui. Su una sedia poco più in là di una panchina di cinque posti vi sono una borsa professionale e i cappotti . Non vi era freddo nonostante fosse Febbraio e la stanza, grande e spoglia non fosse riscaldata. Sparsi sui sedili, lontani dai due, volti anonimi di persone in attesa di prendere il treno.
Il Presidente non aveva voluto tornare in macchina a Messina nonostante gli fosse stato offerto di essere accompagnato da una macchina dell’ARS con autista. L’automobile lo stancava. Trovava molto meno faticoso il treno che gli consentiva anche una maggiore possibilità di movimento durante le tre ore del viaggio.
Erano stati accompagnati alla stazione ed erano in attesa di salire sul treno in partenza alle 15.
Francesco – Presidente, come ti senti, ti sei stancato? Mi è sembrato che durante la cerimonia hai avuto un momento di difficoltà, o mi sbaglio?
Presidente – No, non mi sono stancato. Piuttosto mi sono emozionato. Non mettevo piede a Palazzo dei Normanni da più di dieci anni e sebbene fossero posti che conoscevo benissimo, mi è sembrato di vedere particolari nuovi che non ricordavo. Mi ha fatto piacere poterti far visitare gli uffici e la stanza del Presidente che non sono visitabili. Come hai visto sono veramente eccezionali, chi li vede per la prima volta resta a bocca aperta:
Francesco – E’ vero . sono venuto all’Assemblea un’infinità di volte, anche quando eri Presidente tu ma non mi era mai capitato di vedere lo studio e le altre stanze della Presidenza. Di solito andavo nei locali del gruppo o nei saloni delle riunioni. Quel palazzo è bellissimo , in alcune parti unico.
Presidente – Tutti i Presidenti hanno sempre mantenuto il palazzo dell’Assemblea come meritava di essere conservato. L’Assemblea ha sempre stanziato fondi adeguati. Purtroppo questo non è avvenuto per tanti bellissimi palazzi della nobiltà che sono stati letteralmente saccheggiati e andati in rovina. Solo da qualche anno alcuni degli eredi hanno capito che potevano utilizzare i loro magnifici palazzi come veri musei da destinare, in parte, anche ad eventi mondani. Alcuni imprenditori , quasi tutti non siciliani purtroppo, ne hanno comprato altri all’asta o per quattro soldi, hanno speso per ristrutturare e hanno creato centri culturali e resort di lusso che sono una vera e propria meraviglia.
Francesco – Hai conosciuto eredi decaduti della grande nobiltà palermitana ? Il patrimonio delle residenze delle grandi famiglie della Capitale siciliana è di grande livello e il loro abbandono è una delle cause del degrado cittadino.
Presidente – Ho amato Palermo un poco alla volta quando ho incominciato a viverci due o tre giorni a settimana. Avevo preso l’abitudine di andare in giro di sera per il centro della città alla ricerca di luoghi particolari, angoli caratteristici e monumenti meno conosciuti. Spesso mi accompagnava il mio autista che abitava a Palermo e aveva sposato una palermitana. Conosceva le viuzze del centro “palmo a palmo”, i posti dove facevano ancora la “meusa” come doveva essere fatta e le altre specialità palermitane che puoi mangiare solo lì con quel gusto. Il pesce a Sferracavallo o a Porticello in locali quasi nascosti dove era stato pescato qualche ora prima.
La cosa però che mi ha impressionato di più è stata l’enorme quantità di opere d’arte, quasi tutte in abbandono, che si trova per strada appena ti sposti da via Maqueda o via Roma e vai verso l’interno. Alzi gli occhi e vedi meraviglie scrostate, cadenti ma eccezionali. I nobili che ho conosciuto si dividevano in due categorie: quelli che erano consapevoli del fatto che le loro famiglie avevano scritto la storia dell’isola e del Regno delle due Sicilie e che i loro feudi erano immensi tali che loro stessi non li avevano visitati interamente. Quando li incontraii erano gentili, raffinati ma mai compiacenti. Non parlavano del passato né facevano sfoggio dell’antica ricchezza, se ne era rimasta, me se chiedevo del periodo spagnolo o piemontese erano in condizione di riferirti episodi che non avevo mai sentito. Non mi è mai capitato che chiedessero cortesie né che cercassero particolari attenzioni. Mi facevano capire garbatamente che tra loro, Grandi di Sicilia, e me in quel momento al vertice del Parlamento più antico del mondo, vi era una distanza non colmabile, ovviamente a loro favore. Se poi nella discussione veniva fuori che qualcosa la conoscevo , che non ero a quel posto per caso e che amavo le cose belle, allora alcuni di loro mi concedevano di farmi vedere un oggetto, un documento, un mobile particolare per farmi capire che sapevano che potevo apprezzare. Caro Francesco sono necessari secoli per arrivare a saper fare questo senza che il tuo interlocutore lo ritenga offensivo.
Francesco – E l’altra categoria? I fannulloni, i perditempo, quelli che hanno trascorso la vita sperperando senza ritegno?
Presidente – L’opposto. Persone da nulla, prive di decoro e di rispetto per il cognome che portavano del quale, spesso, non conoscevano l’importanza. Vivevano di espedienti dopo avere venduto o svenduto patrimoni immensi ed essere stati raggirati da “campieri” disonesti e infedeli e da donne e uomini compiacenti e senza scrupoli. Avevano un atteggiamento deferente , chiedevano di tutto da cose importanti a stupidaggini con aria ammiccante come di chi vuole farti capire che sa come “togliersi l’obbligo”. Discutere con questi era una sofferenza. Dopo le prime volte li ho evitati accuratamente
Francesco – E le nobildonne? Ne hai conosciuto? Hai avuto qualche occasione d’incontro particolare?
Presidente – Si verificava per la parte femminile la stessa situazione che ti ho detto, con poche eccezioni. Le eredi delle grandi famiglie, dirette o per matrimonio comunque di origini molto importanti, erano dame di grande classe e, generalmente, di notevole cultura. Avevano avuto il precettore o erano andate in collegi esclusivi a Napoli, sapevano conversare, dimostravano conoscenza della situazione politica e sociale dell’isola, avevano un portamento naturalmente elegante ed una grande raffinatezza. Le altre erano attricette, cameriere che avevano sedotto il padrone, popolane che avevano usato la loro bellezza sfiorita per diventare quello che mai avrebbero potuto essere e mai sono diventate, Principesse, duchesse o contesse. In un solo caso ho conosciuto un’ex ballerina di avanspettacolo che aveva appreso come comportarsi ed era stata in condizione di far rigare dritto il Marchese fannullone di cui era diventata moglie. Ho avuto una sola volta una cena importante.
Francesco – Quale occasione è stata ? c’era una ricorrenza speciale?
Presidente – E’ venuta a Palermo ospite di una Principessa una componente della famiglia reale del nord Europa. Il Ministero degli Esteri ci avvisò che per ragioni di protocollo il Presidente della Regione e quello dell’Assemblea avrebbero dovuto essere presenti alla cena di gala. Mia moglie non volle venire. Ci andai da solo. Fu un’esperienza unica e irripetibile. Hai presente le scene del Gattopardo di Visconti? Molto di più la realtà rispetto alla finzione.
Francesco – E i palermitani ? intendo dire le persone, gli ambienti che hai frequentato e conosciuto che impressione ti hanno fatto?
Presidente – Ho frequentato la Capitale siciliana per 15 anni con continuità. Ho avuto crescenti responsabilità nel Governo regionale fino a raggiungere la Presidenza dell’Assemblea. Le cariche mi hanno consentito di conoscere molta gente di tutta la Regione. Ho fatto fatica a capire che i palermitani si sentono e sono diversi dagli altri. Per prima cosa appena vengono a sapere che vieni da Messina, la provincia “babba”, mettono accanto al tuo cognome un doppio meno. Se poi provieni dalla città o dalla Jonica i meno diventano tre. Si riducono se la tua origine è da S. Agata in poi.
Ci sono almeno due Sicilie, quella occidentale di cui Palermo è la massima espressione e Trapani e Agrigento i satelliti . La Sicilia “sperta” come la definisce Bufalino che dell’isola ha scritto una descrizione superlativa. E’ quello il luogo dei feudi e dell’occupazione delle terre, di “cosa nostra” e della mafia esportata negli USA, della conca d’oro, della contiguità tra politica, affari, delinquenza organizzata, apparati dello Stato, lotta alla mafia, eroi morti nell’adempimento del loro dovere e professionisti dell’antimafia, di uomini, mezz’uomini, piglianculo, ominicchi e quaquaraquà, per dirla con Sciascia.
L’autentica erede della grande civiltà araba della Kalsa e normanna della Cappella Palatina, del magnifico barocco di Casa Professa e della Cattedrale , della Vucciria e di Ballarò, dei quartieri nei quali vale la legge dell’onore e sono stati organizzati i più truci omicidi della nostra storia recente. Giorgio Boris Giuliano è stato mio compagno di scuola e fin da ragazzo aveva qualcosa in più e di diverso rispetto agli altri. Chiesi una volta al nostro Professore di lettere perché non lo interrogasse quasi mai. Mi rispose: “Non ne ho bisogno, capisco quello che pensa” Quando la mafia lo uccise, capii quello che intendeva dire. Pur essendo messinese aveva capito il fenomeno mafioso e lo contrastava come doveva essere . Fu ucciso per questo come è capitato a Falcone, Borsellino, Chinnici, Cassarà e pochi altri. Se non capisci l’organizzazione criminale non sei pericoloso. La mafia uccide chi può colpirla al cuore, non ammazza per ammazzare.
Francesco – Pensi di avere avuto contatti con ambienti mafiosi? Hai avuto sensazioni o prove in questo senso?
Presidente – La mafia, in linea generale, non contatta chi non proviene dalle loro zone e non ne conosce le regole. Non dico che chi proviene dalla Sicilia Occidentale è contiguo alla mafia. Non è così . Chi è nato a Palermo o nelle altre province occidentali , conosce fin da piccolo quella realtà anche se non vi partecipa o addirittura la lotta. Non è un caso che, con l’eccezione di Giuliano, i veri eroi anti mafia provengano da lì o da fuori Sicilia. E’ lo stesso fenomeno che accade, in altro contesto e con modalità del tutto diverse, a chi è nato e cresciuto a Messina ed è “buddaci” nella suo DNA.
Ti sei chiesto per quale ragione una provincia separata da una striscia di mare da Reggio Calabria di cui è stata sempre il porto commerciale e sul Tirreno confinante con Palermo , che ha al proprio interno una parte dei Nebrodi che sono stati un centro importante della mafia legata ai pascoli, non ha mai avuto e non ha una delinquenza organizzata neppure paragonabile a quella vera? E’ una pianta velenosa che per fortuna non alligna nella nostra terra.
La mafia, in linea generale, non parla con te, sa che non capiresti e comunque non si fida, non ti ritiene “all’altezza”. Può sembrare paradossale ma ne sono convinto. Parla con gli alti burocrati, con chi gestisce la macchina amministrativa, con chi conosce i canali segreti che sai che esistono ma non riesci a vedere.
Sai quando vi è stato il primo Presidente del Governo regionale proveniente dalla provincia di Messina? Nel 1991, 25 anni dopo l’autonomia, fu Vincenzino Leanza che proveniva da San Teodoro , al confine con la provincia di Palermo, e il cui unico figlio è stato eletto all’Assemblea nella lista del PD nelle ultime elezioni.
Francesco – Vuoi dire che Messina è stata sempre ai margini della vita politica siciliana? Non ha mai avuto un peso rilevante a livello regionale e nazionale?
Presidente – Ai margini no ma sicuramente non ha avuto il peso di Palermo e di Catania sicuramente per ragioni di consistenza elettorale ma anche per altri motivi. Non si spiega diversamente ad esempio il ruolo di una piccola provincia come Agrigento che è meno della metà della nostra.
Francesco – Come sono stati i tuoi 15 anni di esperienza palermitana?
Presidente – Sono nato povero. Mio padre era questurino. Per un periodo era emigrato in America dove aveva lavorato al mercato del pesce. Mia madre si occupava della famiglia , cinque figli, entrambi di Torre Faro . I loro sacrifici hanno consentito a me e ai miei fratelli di studiare e migliorare la condizione sociale. Due miei fratelli, un maschio e una femmina, sono morti giovanissimi di gravissime malattie. La loro scomparsa ha segnato profondamente la mia adolescenza e la mia vita. L’impatto con la morte, tragica e dolorosissima di persone così vicine, mi ha segnato per sempre. Ha anche forgiato il mio carattere facendomi ben distinguere ciò che veramente conta da quello che tutto sommato è secondario. Questo mi ha molto aiutato nelle scelte che ho fatto in seguito.
La guerra è stata l’altra esperienza drammatica che ho vissuto da ragazzo e che è rimasta scolpita nella mia mente. Per evitare i bombardamenti che erano prevalentemente sul porto, andammo a vivere a Torre Faro dove mio padre aveva una casa con un piccolo giardino. Otto anni difficili che hanno fatto nascere il mio amore per quel borgo di pescatori dove vado appena posso anche solo per prendere una granita e guardare lo Stretto.
Giocavo con i miei compagni accanto ad un carro armato tedesco , un panzer Tigre abbandonato, e subito dopo un bombardamento andavo a cercare, con loro, frammenti di bombe sparsi lungo la riviera. Ricordo con precisione la lunghissima fila di camion tedeschi, ordinatissimi, che portavano i soldati in ritirata verso la Calabria. Giorni e giorni, sembrava interminabile, sotto i bombardamenti degli alleati. Dopo poco tempo arrivarono gli alleati , finirono i bombardamenti e la grande paura. Restarono ancora a lungo la fame, le macerie, l’incertezza e il dubbio che fosse cambiato poco. In quel periodo frequentai gli scout. Questa esperienza mi avvicinò alla religione cattolica che non ho mai abbandonato e che ho praticato più intensamente dopo essere stato arrestato fino ad oggi.
Anni duri e difficili pieni di lutti e di tanti periodi di sconforto.
Francesco – Quali furono le svolte della tua vita ?
Presidente – La prima fu il trasferimento a Torino da mia sorella maggiore per fare l’Università. Pina, mia sorella, aveva trovato lavoro a Torino alle poste. Abitava in via Nizza accanto ad una fabbrica di cuscinetti della Fiat dalla quale veniva un rumore assordante. Era una donna generosa e affettuosa e disse ai nostri genitori che mi avrebbe mantenuto lei. Abitai nel capoluogo piemontese due anni e mezzo, dormendo in cucina. Frequentavo Giurisprudenza ma trovavo difficoltà a fare amicizie e ad inserirmi negli ambienti di una città chiusa e poco disponibile ad accogliere studenti poveri e meridionali. Frequentai dei colleghi ebrei che vedendomi solo mi cercarono e mi offrirono la loro amicizia. Fu un legame importante durato molto a lungo. Erano socialisti e discutendo con loro mi appassionai alla politica. Nacque lì il mio amore per il cinema frequentando un circolo nel quale si proiettavano pellicole di ogni genere. Mi capitò in quel circolo di conoscere i fratelli Levi.
Dovetti però rientrare a Messina dove non avevo conoscenze in ambito universitario ma avevo lasciato amici che ritrovai. Uno di questi, studente di medicina, già impegnato in politica nel suo piccolo paese , di cui sarebbe diventato presto Sindaco, sapendo come la pensavo mi invitò ad iscrivermi al PSI. Lo feci aderendo alla corrente autonomista di cui era leader nazionale Pertini.
Francesco – Come fu il tuo impatto con la politica attiva ?
Presidente – Non fu facile né esaltante. Eravamo un gruppo minoritario in una federazione nella quale il gruppo dirigente faceva parte della sinistra del Partito i c.d. carristi , filo comunisti ai quali erano sostanzialmente subalterni. Avevano un’ampia maggioranza di circa l’ottanta per cento e ci “tolleravano” quasi come borghesi infiltrati. Eleggevano un deputato nazionale, uno regionale, i consiglieri al Comune di Messina e non lasciavano nessuno spazio alla minoranza interna. In sostanza facevamo una politica di testimonianza pensando ad un Partito diverso , più aperto al sociale e meno rigido nei rapporti con la DC e gli altri Partiti democratici.
Nei congressi prendevamo circa il 20% ma eravamo fuori da tutto. La situazione sarebbe rimasta certamente così se non fossero intervenuti fatti nuovi e imprevedibili.
Francesco – A cosa ti riferisci?
Presidente – Adesso ti dico. Ero già laureato e avevo fatto gli esami di procuratore legale. Ero fidanzato e capivo benissimo che l’attività politica era solo complementare rispetto a quello che avrei deciso di fare. Ero molto preso dal rugby che praticavo con continuità con il ruolo di “talloner”. Anch’esso mi è servito molto. E’ un gioco duro, leale , impegnativo che richiede temperamento e applicazione.
Francesco – Mi stai dicendo che la politica era quasi un passatempo…..
Presidente – Non era allora l’impegno prioritario. Il principale era quello di decidere cosa fare. Il lavoro era poco, le disponibilità economiche molto limitate, i guadagni con la professione saltuari . La svolta avvenne , come spesso capita , per merito e fortuna agli inizi degli anni 60. La società elettrica aveva costruito a Torre Faro e sulla costa calabrese i Piloni per il passaggio dell’alta tensione attraverso lo Stretto. Insieme con Armando Russo, collega ed amico carissimo oltre che grande avvocato, raccolsi circa 400 firme per citare in giudizio la società elettrica per ottenere a favore dei residenti un indennizzo per il rischio e l’inquinamento conseguenti al passaggio dei fili. Una class action ante litteram. Ci avvalemmo della consulenza tecnica di un geometra poco noto ma bravissimo e con pochi soldi anticipati dalle persone che si erano fidate, iniziammo il giudizio. La strada era tutta in salita. Non c’erano precedenti, la società elettrica aveva schierato a sua difesa i principi del Foro e noi eravamo degli sconosciuti.
Francesco – Non mi dire che riusciste a vincere la causa!
Presidente – Mai come in quest’occasione la fortuna venne incontro alla nostra audacia! Nel 1962 il Parlamento varò la nazionalizzazione dell’energia elettrica e, segno del destino, la legge fu fortemente voluta dal PSI. Venne costituita l’Enel la quale decise di chiudere tutto il contenzioso pendente . Fu per noi e per i 400 che ci avevano dato fiducia quello che oggi definiremmo il super enalotto. La causa venne transatta , agli attori fu liquidata una consistente somma che divisero tra loro e a me e a Russo fu pagato un onorario milionario con il quale la nostra condizione economica cambiò sostanzialmente.
Francesco – Come cambiò la tua vita dopo questo successo professionale?
Presidente – Divenne definitiva la decisione di fare l’avvocato. Fu determinante il risultato del giudizio dei cavi al quale si aggiunse l’aiuto di mio suocero che era un tributarista di prim’ordine e mi fece orientare ad occuparmi di quel settore ancora non saturo. Come spesso capita, i risultati importanti portano lavoro e altri successi.
Accadde poco dopo la conclusione della vicenda cavi che una grossa nave svedese, per un errore di manovra, tranciasse dei cavi nello Stretto. La nave, assicurata dai Lloyd’s, fu posta sotto sequestro e il danno economico per l’armatore e l’assicuratore era molto alto per ogni giorno di inattività. Gli avvocati degli assicuratori ,che avevano saputo che Russo ed io ci eravamo occupati con successo della questione cavi, si rivolsero a noi. Entro due giorni ottenemmo il dissequestro della nave e riuscimmo a chiudere il contenzioso con una soluzione che i Lloyd’s giudicarono conveniente.
Francesco – Un nuovo successo professionale che ti incoraggiò ancora di più.
Presidente – Mi capitò allora un episodio molto particolare. Definita la questione, mi misi in contatto con il collega di Milano per parlare dell’onorario. Incontrai una persona eccezionale. Pensando di chiedere una gran cifra indicai le nostre competenze in due milioni. Mi rispose con una risata dicendomi amichevolmente che ero un “pirla” . Ci fece avere molto di più e mi diede una lezione che non ho mai dimenticato: Se chiedi poco pensano che vali poco. E’ così, come ebbi modo di verificare in seguito.
Francesco – Da quel momento hai preso il volo nella professione.
Presidente- Gli anni 60 furono magici. Mi ero sposato alcuni anni prima con l’attuale mia compagna di vita, avevamo avuto la nostra prima figlia, avevo cominciato a guadagnare bene e all’improvviso sbocciò anche la politica.
Francesco – Cosa accadde di nuovo ?
Presidente – Nel 1964 la sinistra del Psi in contrasto con la maggioranza nazionale, lasciò il Partito e fondò il PSIUP. Tutto il gruppo dirigente di Messina confluì nel nuovo Partito. Dalla sera al mattino noi autonomisti , perenne minoranza, ci trovammo ad essere la guida politica del Partito a Messina. Se non vi fosse stata la scissione, difficilmente saremmo diventati maggioranza e non avremmo avuto accesso agli incarichi elettivi e non che toccavano ad un Partito di governo com’era il Psi e come è stato fino al momento in cui il ciclone etero guidato della Magistratura non lo facesse dissolvere insieme agli altri Partiti che avevano fatto grande la Repubblica, con le “eccezioni“ che sappiamo.
Francesco – Quale fu l’effetto della scissione per quanto ha riguardato te e il gruppo autonomista a Messina?
Presidente – Cambiò tutto. Nel giro di poche settimane fummo i rappresentanti del Psi a Messina e nella provincia. Ero parte integrante del gruppo dirigente e al suo interno avevo un legame forte con colui che sarebbe diventato nel giro di alcuni anni il leader del Partito a Messina e poi in Sicilia con un ruolo di rilievo anche a livello nazionale che gli consentì di fare a lungo il Ministro in Dicasteri importanti, Nicola Capria. Mi impegnai nella ricostruzione della federazione insieme al nuovo gruppo dirigente. Ero giornalista pubblicista, iscritto all’albo siciliano e diressi per sei anni Azione Socialista, il giornale della Federazione messinese. Sono stato iscritto per oltre cinquant’anni come pubblicista e mi fu data una medaglia per ricordare il mezzo secolo di attività.
Francesco – La nuova situazione ti indusse a fare scelte che altrimenti non avresti fatto?
Presidente – Scelsi la politica. Vedi Francesco, ognuno di noi si muove spinto dalle passioni, dalla ricerca di ciò che maggiormente lo appaga e lo rende per quanto possibile felice. Almeno per me è stato così. Mi sono innamorato di mia moglie e , appena possibile, l’ho sposata, sono stato attratto dalla professione e mi sono misurato con le difficoltà che presentava la competizione con gli altri, ho avuto una possibilità in politica e l’ho colta come ho potuto e saputo e fino a quando mi è stato consentito. Tutte queste scelte sono state determinate dalla passione per ciò che facevo. Ovviamente vi erano anche gli aspetti concreti, diciamo così quotidiani, ma alla base c’era un piacere ed una soddisfazione che, in forma diversa e con diversa intensità, ho ancora.
Francesco – Mi stai dicendo che non hai considerato cosa rischiavi e quello che potevi ottenere?
Presidente – Se non hai ambizione non vai da nessuna parte. Allo stesso tempo tra varie possibilità scegli quella che ti piace di più anche se sai che è più rischiosa o che economicamente è meno redditizia. La spinta decisiva è quella che senti dentro. Se non ce l’hai, accenderai un fuoco di paglia che si esaurirà molto presto.
La politica è stata ed è una mia grande passione. Lo sono anche il cinema, l’arte, le cose belle, la religione. La politica lo è di più ed è per sempre. Ho avuto la fortuna di potere realizzare alcuni “sogni” giovanili. Sono andato molte volte al festival del cinema di Venezia e ho potuto assistere a prime mondiali di grandi capolavori e vivere l’atmosfera magica di quel mondo che è finzione e nello stesso tempo rappresentazione della realtà, ho viaggiato molto ed ho visitato i più grandi musei del mondo, ho seguito il percorso artistico di un grande pittore mio amico , mancato da poco, Luigi Ghersi di cui ho collezionato decine di opere. Passioni sempre presenti ma che gli anni hanno attenuato. La politica no! Anche oggi quando leggo o sento esponenti della c.d. seconda Repubblica blaterare come se scoprissero chissà quale verità, provo la stessa repulsione che sentivo 60 anni fa anche se poi concretamente non posso fare nulla per esprimere la mia opinione oltre che parlarne con poche persone.
Francesco – Come hai vissuto questa esperienza che ha occupato buona parte della tua esistenza?
Presidente – Ho cercato di conciliare la passione e la libertà. Credo di avere mantenuto fermo il principio di giudicare con la mia testa, sempre anche quando per varie ragioni, anche per opportunità, ho accettato decisioni che non ho condiviso. Quando mi è stato chiesto ho detto la mia opinione e ciò che ritenevo giusto anche se spesso ho dovuto accettare cose che pensavo essere fatte male o indirizzate a colpire qualcuno.
Non ho mai, credo, esercitato il potere con arroganza ma ho cercato, per quanto possibile, di comprendere le ragioni degli altri. Non ho mai danneggiato nessuno forse ho omesso di dare sostegno, quando forse avrei potuto, a chi lo cercava. La politica come tutte le attività umane è un miscuglio di sentimenti ed interessi. Ciò che ne viene fuori è un cocktail che non ha una ricetta definita nel quale molti aggiungono “ingredienti” non previsti, spesso molto amari. L’invidia, il risentimento, la gelosia, l’odio e anche la solidarietà, l’amicizia e la lealtà, come in tutto ciò che è fatto dagli uomini, sono presenti e talvolta diventano predominanti gli uni sugli altri. In tanti casi gli interessi in gioco sono alti e le reazioni spesso di livello più grande rispetto ai fatti. Di questo non bisogna stupirsi. I Partiti erano il riflesso della società di cui avevano pregi e difetti. Al loro interno tuttavia, tranne eccezioni che ci sono state, chi aveva qualità emergeva ed aveva apprezzamento e considerazione. Intervenivano poi altri mille fattori ma la regola era questa.
Francesco – I riflessi siciliani dell’inchiesta di Milano che ha annientato l’intera classe dirigente dei Partiti post liberazione hanno causato la fine della tua carriera politica. A distanza di tanti anni che lettura dai di quegli avvenimenti?
Presidente – Ovviamente ho riflettuto molto a lungo su questa vicenda. Alla fine ho tratto delle conclusioni di cui ti dirò.
Sul fenomeno generale che riguardò l’intera classe politica e imprenditoriale, la verità non la conosciamo e probabilmente non la sapremo mai, o tra molti anni. Se fossi giovane dedicherei il mio tempo a studiare le carte disponibili nella speranza che gli USA soprattutto ma anche il Cremlino e altre Cancellerie Europee forniscano il materiale secretato. Solo persone superficiali e/o in malafede possono ritenere che un gruppo di magistrati abbia potuto fare da solo quel che ha fatto facendo crollare un sistema politico che fino al 1992 era ampiamente maggioritario nel Paese e si reggeva sui Partiti distrutti dalle inchieste.
Francesco – Pensi a un sorta di golpe sostenuto da potenze straniere.
Presidente – Penso quello che ti ho detto. Aggiungo che è un fatto che Craxi per il caso Sigonella era entrato in fortissima tensione con gli Usa e che aveva sempre sostenuto anche economicamente i Palestinesi. E’ certo inoltre che una buona parte del mondo imprenditoriale , con forti interessi nella stampa, si era progressivamente disaffezionato alla DC ed aveva cercato nuovi referenti. Non sono però in condizione di dire nulla di nuovo rispetto a quanto già sappiamo. Hai letto la dichiarazione recentissima di Davigo che per giustificare il suo comportamento nel caso Amara ha riferito dell’incontro di Borrelli con il Presidente Scalfaro? Se avessero voluto avrebbero potuto fermare o limitare gli sviluppi dell’inchiesta come era stato fatto mille volte.
Francesco – Qual è allora la tua idea?
Presidente – E’ un argomento che ancora oggi mi fa bruciare le carni. Nessuno che non lo abbia vissuto può descrivere cosa significa essere prelevato a casa in piena notte, portato in carcere, sottoposto all’umiliazione dell’ispezione corporale e del tampone delle impronte digitali e sbattuto in una stanza 2m per due con un buco per bagno e un lavandino in condizioni igieniche spaventose. Rischi di impazzire se non hai nervi saldissimi e un’immensa fiducia. Ogni volta che ne parlo vivo tutto questo come se stesse capitando adesso e sento i brividi che mi percorrono la schiena.
Pensi ai tuoi figli, a tua moglie, a quello che stanno provando, al loro dolore, alla mortificazione e all’imbarazzo di vedere amici e conoscenti. Ti è crollato il mondo addosso senza ucciderti ma ferendoti a morte in un’agonia che non conoscevi psichica anzitutto ma anche fisica. È una violenza brutale, inimmaginabile, profonda tale per cui per sopravvivere devi pensare che è un incubo e che a breve ti risveglierai e sarà svanito.
Dopo un poco, 12 ore, un giorno forse, capisci che è tutto vero ed allora mille pensieri attraversano la mente. Cerchi di rimuovere i più terribili ma tornano. Ti salvi solo se sai che c’è chi ti vuole bene sempre e comunque e se ti aiuta la fede. La sola voce che ho sentito in isolamento e’ stata quella del Cappellano che mi ha dato un Rosario. Per un credente è importante, molto più di quello che si possa pensare
Anche oggi dopo oltre trent’anni quel ricordo mi commuove e mi turba e nonostante le assoluzioni e i mancati appelli di chi mi aveva incarcerato, la ferita sanguina e brucia.
Il carcere non è un castigo ma una tortura dell’anima e del corpo. A chi lo ha richiesto e disposto solo per estorcere dichiarazioni o apparire come fustigatore del “ malcostume “ auguro di provare su se stesso la stessa sofferenza che ha causato.
Mi chiedi che idea mi sia fatto di quanto è accaduto.
Ti ho detto di essere cattolico praticante e che la fede mi ha molto aiutato a superare il trauma del carcere e di tutto quanto ha travolto il sistema, le persone che lo rappresentavano e la società stessa.
Nei vangeli sinottici ho trovato la risposta leggendo molte volte il racconto del tradimento di Giuda. Intendiamoci non penso neppure lontanamente che possa esserci un qualunque accostamento tra le due vicende. Da un lato un personaggio che ha cambiato la storia del mondo e dall’altro chi avrà solo un rigo negli annuari.
Penso solo che i racconti evangelici diano insegnamenti universali validi in ogni tempo. Gli inquisitori cercavano il modo e l’occasione di imprigionare colui che ritenevano reo. Hanno trovato colui che per denaro ha fornito le informazioni che cercavano e hanno proceduto.
Qui, forse, è accaduto che la vittima sacrificale venisse individuata in chi rappresentava un’alta istituzione e non aveva difese o le aveva molto deboli. Il designato venne consegnato per consentire a chi aveva necessità di apparire per i suoi fini tutt’altro che di Giustizia di ottenere ciò a cui veramente teneva e che era il risultato della caccia grossa che si era aperta. Il luogo della “ricompensa” non contava, valeva solo il suo contenuto.
I piccioni, come sai caro Francesco, sono animali molto ingenui, facile preda dei cacciatori e dei loro cani”.
A questo punto arrivò il treno e lo presero. Per tutto il viaggio non si dissero una sola parola.
*Avvocato civilista e tributarista, ha iniziato l’attività professionale giovanissimo nella città dello Stretto dov’era nato e si era laureato nel 1954. Per circa due anni ha frequentato la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino frequentando ambienti vicini al movimento socialista.
Tornato nella sua città natale, si iscrisse al PSI aderendo alla corrente autonomista di cui era leader nazionale Pertini , minoritaria nella federazione di Messina retta da una salda maggioranza di sinistra filo comunista.
Dopo la scissione che diede vita al PSIUP, fece parte della maggioranza della federazione ricoprendo l’incarico di vice Presidente dell’IACP negli anni 60. Nel 1970 venne eletto nel Consiglio Comunale di Messina divenendo vice Sindaco nelle Amministrazioni presiedute da Merlino e Andò.
Nel 1981 venne eletto all’Assemblea Regionale Siciliana nella quale ricoprì le cariche di Presidente del Gruppo socialista, di Assessore ai Lavori Pubblici e nel 1991 di Presidente Dell’Assemblea, il più antico Parlamento del mondo.
Nel 1993 la furia distruttrice delle inchieste giudiziarie, tutte concluse con assoluzioni piene, interruppe la sua carriera pubblica ma non la passione per la politica che permane ancora oggi.
Piccione ha sempre coltivato i suoi interessi culturali e la sua curiosità intellettuale che lo hanno portato in giro per il mondo e spinto a scattare migliaia di foto che fanno parte del suo ricco archivio personale. Ha sempre amato l’arte con un particolare interesse per la pittura e la scultura di artisti messinesi e siciliani. E’ stato boy scout negli anni difficili del dopoguerra in un gruppo di Torre Faro dove ha abitato in quel periodo e che è rimasto il suo luogo dell’anima. Ha giocato a rugby , si è appassionato alla guida degli aerei, che avrebbe voluto fare professionalmente, e soprattutto ha vissuto l’impegno politico per tutta la vita come desiderio di migliorare le condizioni di vita del popolo siciliano.