SERVE UN VERO PARTITO LIBERALDEMOCRATICO
di Giuseppe Gullo
In una fase storica nella quale gli equilibri precariamente disegnati dalle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale sono saltati e l’Europa, dopo quasi ottant’anni, è insanguinata da un conflitto che dura ormai da due anni e mezzo e di cui non si vede la fine, mentre il Medio Oriente vive la tragedia della sfida per la sopravvivenza tra due popoli che si accompagna a forti rigurgiti di antisemitismo, la politica italiana è in preda a convulsioni molto preoccupanti. La coalizione al Governo, pur forte della legittimazione del voto, annaspa nel mare magnum della quotidianità dimostrando la forte inadeguatezza della sua classe dirigente. Il limite maggiore è la mancanza di strategia e la difficoltà di avere una proposta politica adeguata ai problemi del Paese, insieme alla mancanza di senso dello Stato.
Sarebbe ingeneroso e fazioso non riconoscere alcune importanti riforme già fatte in questi due anni di Governo, come in materia di giustizia e di disciplina fiscale per i redditi medi da lavoro autonomo. Come non si possono non segnalare le criticità del provvedimento in discussione alla Camera che introduce nuovi reati, o l’errore politico della scelta di non votare la Presidente della Commissione europea che ha collocato l’Italia fuori dai veri centri decisionali, in termini ancora più evidenti dopo la presentazione del rapporto Draghi sullo Stato dell’Unione, accolto da quasi tutti i Paesi come il manifesto per il rilancio della Comunità.
A fronte di questa situazione con molte ombre e pochi sprazzi di luce, il PD punta tutto sul campo largo, ridefinito sarcasticamente fisarmonica, nel tentativo disperato e improbabile di conciliare posizioni molto lontane e talvolta antitetiche su questioni di primaria importanza sulle quali i margini dei distinguo sono veramente sottili. Una cosa è essere in disaccordo sullo ius scholae, altra è non condividere la linea occidentale sul sostegno militare ed economico all’Ucraina, come fanno i 5S, o, come fanno AVS e una parte del PD, sposare la causa palestinese ignorando che la guerra è stata iniziata da Hamas e che i palestinesi e buona parte del mondo arabo vogliono la distruzione fisica di Israele.
La politica è per sua natura mediazione e ricerca della soluzione migliore per il bene della collettività ma con alcuni limiti non superabili. Tra questi vi è la scelta pro Occidente a sostegno dell’Ucraina, la convinta adesione all’alleanza nordatlantica e la conferma del diritto di Israele a vivere sul territorio che gli è stato assegnato dall’ONU rispettando il diritto degli altri popoli a un’esistenza dignitosa e pacifica. E ‘ necessaria un’intesa politica chiara e condivisa per contrastare con successo la destra che ha al proprio interno anime diverse, alcune sicuramente non democratiche né filoccidentali, ma che concretamente riesce a compattarsi sulla linea moderata e atlantista della Presidente del Consiglio.
A sinistra, nel fronte c. d. “a fisarmonica”, le distanze sono enormi. La politica latita mentre aumentano i veti personali e le perplessità. Renzi è costretto in Liguria a presentare una lista di sostegno al candidato della sinistra senza simbolo per “aggirare” il veto di Conte, mentre alcuni deputati di IV e di Azione lasciano i loro partiti in polemica con le decisioni prese da Renzi e da Calenda. È questo l’enorme limite dei partiti personali, nei quali le decisioni sono prese dal leader senza che neppure i gruppi parlamentari abbiano voce in capitolo.
I problemi più gravi ed evidenti sono emersi proprio nell’area politica che viene definita del centro democratico. Esiziali sono state le elezioni europee del giugno. scorso con la sciagurata decisione di correre con liste separate e il conseguente, prevedibile, risultato negativo che ha lasciato milioni di italiani senza rappresentanza. L’ipotesi politica sulla quale ha lavorato l’ex Presidente del consiglio ed ex segretario del PD non ha avuto successo. La sua creatura ha avuto sempre un consenso molto limitato. Alle elezioni politiche del 2022 Italia Viva e Azione, per una volta insieme, hanno preso il 7,7 %, un buon risultato che tuttavia non ha intercettato i voti perduti dai 5S e da Forza Italia, che sono stati invece raccolti da FdI e dal PD. Renzi e Calenda non sono riusciti a raccogliere il consenso del ceto medio moderato di estrazione socialdemocratica, liberale e cattolica, che non ha creduto alla loro proposta politica. La rissosità dei due leaders ha dato il colpo di grazia a un ‘idea meritevole di ben altra sorte. Il tracollo elettorale del 2024 ha fatto il resto.
È morta quella possibilità, o piuttosto è in grave crisi e ha bisogno di essere rianimata? Un nutrito e qualificato gruppo di intellettuali, imprenditori, economisti, storici e giornalisti ha lanciato sulle pagine del Riformista un appello che è un manifesto per la rinascita di “un Partito liberal-democratico in Italia, che sia plurale e innovativo“. Tra i firmatari Cottarelli, Testa, Auci, Galli, De Nicola e molti altri, i quali scrivono di volere creare “un’alternativa chiara e comprensibile tanto ai sovranisti quanto ai “fronti popolari”. Una forza che rappresenti e difenda la libertà d’impresa, di scambio e di lavoro, l’europeismo e l’atlantismo, che sappia coniugare la tutela dell’ambiente con l’innovazione scientifica e tecnologica, che difenda il rigore di bilancio diminuendo e riqualificando la spesa pubblica e abbassando e rendendo più razionali le tasse, il merito anche nella pubblica amministrazione, la concorrenza e le liberalizzazioni e che promuova lo stato di diritto, la giustizia giusta, le libertà individuali e il modello della società aperta. Una forza che sappia innovare le forme e gli strumenti di partecipazione politica, anche per dare voce e partecipazione ai più giovani, e che sappia tradurre le sue istanze in proposte concrete e pragmatiche per la vita di tutti i giorni, dialogando con le realtà civiche e sociali, con il terzo settore e con il mondo del lavoro e dell’impresa. Il rapporto Draghi ci ha posto di fronte le sfide per l’Occidente e l’Europa”.
È una sfida ardita che va accettata nell’interesse dell’Italia e delle generazioni che verranno.
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