Ricorrenze: Mani pulite e il Rogo di Giordano Bruno
di Peppino Gullo
Non vi è dubbio che da alcuni anni il giudizio prevalente dell’opinione pubblica nei confronti del mondo politico sia fortemente negativo.
La grande maggioranza dei cittadini pensa che il ceto politico sia costituito da affaristi, incompetenti, imbonitori, persone in cerca di facile successo e guadagno. Questo sentimento produce l’immediato effetto di una forte avversione, per non usare sostantivi più brutali, nei confronti della casta e nello stesso tempo una voglia di punizione e di condanna. Non è così per tutti. Vi sono non pochi esempi, soprattutto di amministratori locali, che mantengono un’alta percentuale di consenso.
Ma sono fenomeni abbastanza circoscritti tanto da rasentare l’eccezionalità. In larga parte l’opinione è negativa e l’atteggiamento è di sfiducia e di sospetto. E’ sufficiente frequentare qualunque mezzo di comunicazione di massa per averne ampia testimonianza.
Il giudizio non è sempre stato ferocemente negativo com’è ora, e non vi è sempre stato un distacco tra ceto politico e cittadini come quello attuale. Anche recentemente, discutendo con amici, è emersa l’idea che in Italia, come in buona parte del mondo occidentale, il politico è ritenuto politicante in senso dispregiativo e negativo.
E’ chiaro che il fenomeno ha cause precise e non può essere catalogato come un semplice effetto dei tempi nei quali viviamo, che sembrano travolgere momento dopo momento riferimenti tradizionali e certezze che sembravano radicate nella società. Non c’è dubbio che la velocità di diffusione delle notizie, tipica del tempo attuale, sia un elemento che contribuisce in modo rilevante alla formazione di opinioni che in passato avevano tempi di gestazione estremamente più lunghi. Tra notizie vere, false, verosimili, smentite, correzioni, sottolineature, commenti e altro, quasi sempre in tempo reale, tutto è portato a conoscenza di moltissimi, se non di tutti, con la conseguente creazione di nuovi personaggi, idoli che durano ore o giorni, influencer, e una vasta categoria di persone che conoscono e utilizzano i social, spesso spregiudicatamente,.
Non serve, ai fini del discorso che mi preme sviluppare, fare riferimento a epoche ormai lontane, sebbene siano trascorsi circa 70 anni nei quali, però, la società è cambiata radicalmente.
La classe politica dell’Italia repubblicana proveniva per la massima parte dal mondo cattolico cresciuto sotto la guida e la tutela del Vaticano di cui la DC rappresentava l’espressione politica. Come la Chiesa Cattolica aveva al proprio interno molte anime, da quella tradizionalista e profondamente legata alla dottrina delle Gerarchie ecclesiastiche, a quella moderatamente riformista e aperta a nuovi bisogni di una società in trasformazione, a quella della Caritas vicina agli ultimi e agli emarginati, a quella legata alla grande finanza e alla nobiltà nera di osservanza papalina e sostanzialmente nostalgica del Regime e della Buonanima.
Essa rappresentò fino agli anni 80 del Novecento lo Stato con il quale si identificava. L’esistenza di un forte partito comunista, il maggiore d’Europa, per decenni strettamente legato all’URSS e all’Internazionale Comunista, sostanzialmente impossibilitato a governare soprattutto per ragioni di politica internazionale e per l’appartenenza del nostro Paese al Patto Atlantico e al mondo occidentale, come maggior partito di opposizione, rendeva bloccata la nostra democrazia, impedendo fino agli anni 90 del secolo scorso l’alternanza al governo che era la regola nelle altre democrazie occidentali.
Il gruppo dirigente comunista, per la massima parte di formazione leninista e parzialmente gramsciana, formatosi nella Resistenza e prima ancora nell’esilio sostenuto dall’Unione Sovietica, aveva qualità e capacità. Vi erano nel PCI una forte motivazione ideologica e una fiducia incondizionata nel “Migliore” e in generale nei dirigenti del partito. Mancava del tutto il dibattito, il confronto, la dialettica, la possibilità di avere una diversa visione dei fatti e delle strategie. Era un’organizzazione con una rigida struttura piramidale dove il dissenso, anche se in assoluta buona fede ed espresso con spirito assolutamente costruttivo, era ritenuto eresia.
Allo stesso modo il sindacato, l’organizzazione giovanile, quella femminile e quelle collaterali dovevano ripetere la lezione già confezionata senza aggiungere nulla. Era un’armata preparata e selezionata ma pur sempre “militarizzata”. Neppure in occasione di grandi avvenimenti internazionali, nei quali l’URSS era coinvolta direttamente o indirettamente, era consentito dissentire, l’alternativa era essere fuori dal Partito. Anche i c.d. ”miglioristi”, Macaluso e Napolitano per fare qualche nome, non si esponevano, magari non approvavano ma non dissentivano. Solo dopo l’invasione della Cecoslovacchia si sentirono parole chiare, sebbene solo da parte di alcuni.
Molti anni fa partecipai a un convegno organizzato dalla FGCI nella loro scuola di partito sulle colline intorno a Roma. Dopo avere ascoltato la relazione era possibile andare via senza aver perso nulla. Nessuno aggiungeva o toglieva nulla. Ripeteva con parole più o meno diverse ciò che era stato già detto. Per un giovane che proveniva da esperienze di altro genere era un impatto forte dal quale si veniva fuori o accettando quel sistema o decidendo che era meglio litigare e dissentire ma mantenere viva la discussione e il confronto.
Gli altri partiti di centrodestra e di centrosinistra pagavano il prezzo altissimo di avere alla loro destra o alla loro sinistra due montagne, diverse per conformazione e struttura ma entrambe egemonizzanti e con la tendenza a lasciare piccoli spazi di sopravvivenza. Questi partiti mantenevano una forte connotazione ideologica richiamandosi al liberalismo, alla socialdemocrazia, agli ideali risorgimentali e azionisti. Nessuno di questi è riuscito ad avere un consenso superiore al 10/14% a fronte dei due maggiori che erano intorno al 30% con variazioni che li portavano più in alto o in basso ma sempre con una base non comparabile con quella degli altri.
Vi era tuttavia la forza delle idee e della politica che a esse era funzionale. Dirigenti di grande qualità e di alto spessore culturale e morale facevano parte di quei partiti c.d. minori che contribuirono con quelli maggiori alla ricostruzione e alla crescita che trasformò un Paese rurale in una grande realtà industriale. Il giudizio storico sullo sviluppo italiano è aperto e su di esso si è già dibattuto e dibatterà ancora a lungo. Ciò che si può affermare con certezza è che la ricchezza e il benessere sono cresciuti enormemente, che il livello della qualità della vita è aumentato, e che abbiamo vissuto decenni di straordinario cambiamento.
Si poteva fare meglio e di più? Si è pagato un prezzo altissimo in termini di valori etici? Ne è venuta fuori una società peggiore? Si stava meglio quando si stava peggio? Mille domande vengono in mente e altrettante risposte condizionate dalla storia e dall’esperienza di ciascuno. I fatti però sono sotto gli occhi di chi vuol vedere. Ciò che storicamente è difficile contestare è che i governanti del nostro Paese, nonostante scandali e periodi di grandissima tensione sociale, dal ‘68 alle Brigate Rosse e all’omicidio Moro, mantennero la fiducia dei cittadini-elettori. Nelle elezioni politiche del 1987, con un’affluenza dell’88,60 % la DC ebbe alla Camera il 34,31% dei voti il Pci 26,57% il PSI il 14,27% per citare i maggiori Partiti. Nel 1992 la Dc prese circa il 30%, il PCI il 27 % il PSI il 13,5 % . Due anni dopo, i Partiti che rappresentavano quasi il 70% degli elettori non esistevano più e un Partito appena nato, Forza Italia, diventava maggioranza relativa mentre la coalizione di cui essa era a capo vinceva le elezioni battendo la ”gioiosa macchina da guerra” del Pds.
Il 15 febbraio 1992 la Procura di Milano iniziava l’inchiesta che avrebbe cambiato la Storia del Paese per via giudiziaria. I partiti storici che avevano fatto l’Italia scomparvero, un’intera classe dirigente venne decapitata, lo scollamento tra politica e cittadini diventò abissale. Ieri uno dei protagonisti di quella vicenda ha invitato a non ricordare la data di oggi per il trentennale dell’inizio di “mani pulite”, ma piuttosto per il rogo di Giordano Bruno.
Chi vuole intendere, intenda.