QUATTRO REFERENDUM PER UNA LEGGE ELETTORALE COSTITUZIONALE
di Giuseppe Gullo
La quasi totalità dei costituzionalisti, politologi, commentatori di vicende istituzionali e del ceto politico, che non fa parte dei “cerchi magici”, è convinto che l’attuale legge elettorale italiana, il c. d. rosatellum, sia incostituzionale e sia anche causa non secondaria della crescente disaffezione degli elettori nei confronti della politica. L’astensione aumenta ed è ormai vicina al 50%, per cui il governo che viene fuori dalle urne non è espressione della volontà della maggioranza degli elettori ma della minoranza più consistente. In tal modo, i principi fondamentali della Democrazia liberale, che si basa sulla rappresentanza, vengono minati dalle fondamenta. La scelta dei parlamentari non viene fatta dagli elettori come sarebbe naturale che avvenisse, bensì dai capi dei partiti che, inserendo persone di loro fiducia nelle liste bloccate e candidando fedelissimi in collegi uninominali sicuri, determinano la quasi totale composizione dei gruppi parlamentari. Corollario di questo meccanismo è la dequalificazione della rappresentanza, in quanto il criterio di selezione non è il merito e la qualità dell’eletto, quanto piuttosto il suo legame col leader che ha il potere di nominarlo.
La stessa legge prevede inoltre un meccanismo per cui la scelta del candidato nel collegio uninominale si estende obbligatoriamente alla lista bloccata del collegio plurinominale, così costringendo l’elettore a votare candidati che altrimenti potrebbe non volere votar. La previsione della soglia di sbarramento del 3% nazionale, e cioè quasi un milione di voti nell’ipotesi del 60% dei votanti, non consente di dare rappresentanza a opinioni significative, anche modeste, ma portatrici di istanze di grande tradizione e di alto valore culturale e sociale. Tutto questo ha causato gli effetti negativi che conosciamo e che nessuno partito ha voluto seriamente affrontare. Il Rosatellum è in vigore da 7 anni e ha “regolato” le politiche del 2018 e del 2022 creando la situazione attuale senza che nessuno dei partiti che si sono succeduti al governo abbia fatto nulla per cambiarla.
Sin dal 2017, un gruppo di avvocati con vasta esperienza politica anche a livello parlamentare, come gli ex senatori Felice Besostri ed Enzo Palumbo, hanno promosso appositi ricorsi dinanzi a numerosi uffici giudiziari d’Italia evidenziando dubbi di costituzionalità che avrebbero potuto consentire alla Corte di esprimersi sulla legittimità del Rosatellum rispetto alle prescrizioni della Costituzione. A distanza di sette anni, c’è stata nei giorni scorsi un’ordinanza del tribunale di Torino che ha rigettato i dubbi di costituzionalità con motivazioni alquanto surreali, come quando ha ritenuto di potere salvare il voto congiunto obbligatorio inventandosi un dovere di coerenza a carico dell’elettore, costretto a votare anche chi non vorrebbe.
Da qui la necessità di utilizzare lo strumento del Referendum abrogativo per eliminare alcune delle storture presenti nel Rosatellum. I quesiti referendari, depositati in Cassazione il 23 aprile dal Comitato del Referendum per la Rappresentanza (Co. Re. Ra.), si propongono i seguenti obiettivi:
- quesito 1: Abolizione del voto congiunto tra candidati uninominali e liste plurinominali, per cui l’elettore potrebbe esercitare effettivamente il suo diritto a un voto personale e libero;
- quesito 2: eliminazione delle soglie di accesso per le liste autonome (3%) e per le coalizioni (10%), e tutte parteciperebbero alla distribuzione dei seggi ottenendo una rappresentanza esattamente corrispondente al rispettivo risultato elettorale; resterebbe solo la più modesta soglia dell’1% per le liste coalizzate;
- quesito 3: abolizione del privilegio concesso ad alcuni partiti di essere esenti dalla raccolta delle firme per presentare candidature, per cui tutte le liste dovrebbero essere corredate dalle firme di presentazione degli elettori che, essendo in numero eccessivo, verrebbero dimezzate almeno in tutti i casi di anticipazione delle elezioni rispetto alla naturale scadenza;
- quesito 4: divieto di pluricandidature, per cui residuerebbe la possibilità di candidarsi in un solo collegio uninominale e in un solo collegio plurinominale, le cui liste dovrebbero comunque avere un numero di candidati pari a quello degli eligendi, così da eliminare alla radice il fenomeno dei seggi eccedentari e il c. d. effetto flipper tra una circoscrizione e l’altra.
A questa iniziativa, che sconta inevitabilmente le strettoie costituzionali che ne condizionano l’ammissibilità, si accompagnerà una legge d’iniziativa popolare per introdurre la possibilità per l’elettore di esprimere anche qualche preferenza, come accade nelle elezioni europee, regionali e comunali, cosa questa che si è rivelata impossibile per via referendaria; in tal modo, sostiene Palumbo, il Parlamento cesserà di essere il luogo dei nominati e diventerà il luogo degli eletti.