QUALE EUROPA? WHICH EUROPE?
QUALE EUROPA?
di MICHELE GENOVESE*
I sanguinosi eventi dell’Ucraina hanno rinsaldato il sentire comune dei Paesi membri dell’ Unione europea dando nuovo senso ad una forma di associazione tra Stati generosa e lungimirante alla sua origine e in molti dei suoi sviluppi, ma decaduta pericolosamente nei formalismi rituali e burocratici che son sembrati talvolta averla svuotata dei suoi contenuti più promettenti ed innovativi. E tuttavia esitazioni e retro-pensieri permangono, lasciando emergere divisioni d’intenti mai sanate. Scontiamo gli errori del passato. Primo tra tutti il fallimento, a metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, della Comunità Europea della difesa, concepita sulla scia del successo di quella del Carbone e dell’Acciaio, con visione ampia che spaziava dalla creazione di una forza armata transnazionale, all’instaurazione di una politica estera comune a quella di una politica industriale e degli approvvigionamenti, tutte basate sul settore degli armamenti, ma con prospettive ben più ampie ed articolate.
Il Trattato istitutivo della CED, accettato e parafato dai tutti i sei Stati membri, venne affossato in fase di ratifica parlamentare dall’ Assemblea Nazionale francese per la fine traumatica dell’avventura coloniale asiatica di quel Paese e della disfatta militare a Dien Bien Phu. La Conferenza di Messina avrebbe immediatamente rilanciato e ingigantito lo spirito unitario dei Sei portando, nell’arco di tempi insolitamente rapidi, agli immaginifici Trattati di Roma. Tuttavia, l’occasione in precedenza perduta è costata alla Comunità, poi Unione europea, lo status di nano politico, insignificante sugli scenari internazionali, schiavo di modesti, pretesi “interessi nazionali”. Gli innegabili successi conseguiti, nell’ambito del Mercato Comune, sono stati però costantemente mortificati dal mancato passaggio dei meccanismi decisionali verso forme più emancipate ed efficaci che superassero l’assetto embrionale dato dai Trattati degli anni Cinquanta, comprensibilmente prudenti per l’epoca della loro entrata in vigore, non più giustificabili in contesti più avanzati. Eppure il MEC ha condotto a un ammirevole progresso industriale, degli scambi e della crescita sociale con percentuali di sviluppo e crescita assai simili a quelle più recenti delle tigri asiatiche, ma in presenza di garanzie democratiche e dei diritti individuali ancora inediti in molte realtà dell’estremo Oriente.
Paradossalmente l’allargamento a un vasto numero di Paesi, in gran parte troppo di recente affrancati dal giogo del “socialismo reale”, non ha dettato l’esigenza di liberarsi preventivamente da un sistema decisionale inadeguato. Alla base di questo meccanismo c’è la necessità di richiedere l’unanimità dei consensi degli Stati membri.
D’altro canto, il Parlamento europeo eletto a suffragio universale diretto rimane tuttora sostanzialmente privo del potere di iniziativa legislativa ed è costretto a un dialogo per molti versi ineguale col Consiglio, di fatto legislatore definitivo. Risultato di questo sistema, per molti versi perverso e nettamente in contrasto con i principi accettati dai Paesi democratici di ispirazione illuminista, è il perpetuarsi di problematiche decisioni con effetti troppo spesso paralizzanti per l’intero sistema.
Il vigoroso campanello di allarme, attivato dall’invasione Russa dell’Ucraina, con la conseguente crisi umana, militare, energetica e politica illusoriamente e non sufficientemente prevista, ha generato un sussulto negli Stati membri. Ci si è resi improvvisamente conto che si erano finora privilegiate asfittiche “politiche” comunitarie basate sui sussidi e le prebende di un modestissimo bilancio comunitario, a discapito di ben più lungimiranti strategie di autosufficienza o di indipendenza energetica, alimentare e di reperimento delle materie prime strategiche. Soprattutto ci si è resi conto che una potenza globale economica, industriale, sociale e finanziaria non può prescindere da un adeguato coordinamento strategico e militare, sorretto da adeguate strutture politiche e diplomatiche.
Sarà in grado questa rapida presa di coscienza di portare a una altrettanto veloce inversione di marcia e alla adozione di adeguate linee guida immediatamente trasferibili in concrete azioni politiche, legislative ed organizzative ?
*già funzionario presso il Parlamento Europeo e presso la Commissione UE, Direzione Generale Ricerca e Sviluppo Tecnologico (1981/2012). Giornalista e scrittore.
WHICH EUROPE?
by MICHELE GENOVESE*
The shocking events which are severely affecting the Ukraine have in some way strengthened the sense of solidarity of the European Union member states, giving new meaning to this association between states that was undoubtedly generous and far-sighted at its origins and in many of its developments, but seems to have dangerously decayed into ritual formalism, therefore canceling several of its most promising and innovative aspects. Moreover, hesitations and concealed thoughts still allow divisions and selfish behaviors. We pay actually for previous mistakes. First of all, the failure in the mid-fifties of the last century of the European Defense Community, imagined just a few years after the successful launching of the Coal and Steel Community: the EDC, with a broad vision that ranged from the creation of a transnational army to the establishment of common policies on foreign affairs, industrial development and procurement pool of raw materials, all based on the defense sector, but with much broader and more articulated prospects.
The Treaty establishing the EDC, adopted and initialed by all six member states, was sunk during the parliamentary ratification procedures by the French National Assembly due to the traumatic end of the Asian colonial adventure and the military defeat at Dien Bien Phu. The Messin Conference immediately after relaunched and magnified the unitary spirit of the Six bringing, quite rapidly, to the imaginative Treaties of Rome. However, the previously lost opportunity left on the Community, and after on the European Union, the status of a political dwarf, insignificant on international scenarios, a slave to modest, alleged “national interests”. The undeniable successes achieved by the European Common Market have been constantly mortified by the failure to move the decision-making mechanisms towards more emancipated and effective forms, able to go beyond the embryonic structure given by the 1950s Treaties, understandably prudent at their entry into force, no longer justifiable in a more advanced context.
Nevertheless, nobody can deny the admirable progress achieved by the ECM countries in the fields of industrial development, trade and social growth with rates very similar to the more recent ones reached by the Asian tigers, but in the presence of democratic guarantees and individual rights still absent in many realities of the extreme East. We can’t understand why the enlargement to several countries at the time recently freed from the yoke of real socialism did not inspire the need to find, before the integration of those new members, necessary alternatives to an inadequate decision-making system, too often based on the blocking principle of unanimity. On the other hand, the European Parliament is still deprived of legislative initiative and is forced into a dialogue in many ways unequal with the Council of Ministers, in fact the final legislator. The result of this system clearly in contrast with the Enlightenment principles of many democratic countries, is the perpetuation of the difficulty to reach decisions, often with paralyzing effects on the entire system.
The robust alarm bell activated by the Russian invasion of the Ukraine by an illusory and insufficiently anticipated human, military, energy and political crisis, was a shock for the E.U. member states. It was suddenly realized that many short sighted “policies” based on subsidies coming from of a very modest Community budget had been favored to the detriment of momentous strategies of self-sufficiency or independence in vital fields such as energy, food and the procurement of strategic raw materials. Above all, it was suddenly clear that a global economic, industrial, social and financial power cannot be separated from adequate strategic and military coordination, supported by adequate political and diplomatic structures.
Will this so far neglected awareness be able to lead to a rapid reversal and to the adoption of adequate guidelines able to be immediately transferred into concrete political, legislative and structural actions?
*former official at the European Parliament and at the EU Commission, General Directorate for Research and Technological Development (1981/2012). Journalist and writer
Sarà in grado questa rapida presa di coscienza di portare a una altrettanto veloce inversione di marcia e alla adozione di adeguate linee guida immediatamente trasferibili in concrete azioni politiche, legislative ed organizzative?…
Secondo me NO proprio perché abbiamo perso, come ben descritto dall’autore, quel particolare, UNICO E IRRIPETIBILE momento storico a metà degli anni Cinquanta del secolo scorso…Ora, nell’epoca in cui ci sono lobbies e società private che hanno più potere decisionale e manipolatorio degli stessi Stati (per non parlare della UE), è troppo tardi… Game over!
La mia speranza è che alla fine di tutti gli sconquassi, di cui al momento stiamo facendo solo un primo assaggio, si arriverà fra una o due decine di anni – obtorto collo – ad una radicale rifondazione dell’ONU dotandola di sufficienti poteri di autogoverno a livello mondiale… Nonostante tutte le apparenze indichino il contrario, nella mia coscienza non voglio rinunciare alla dimensione della fede nelle possibilità dell’uomo e in un mondo migliore. Ovvero, una fede capace di sperare contro ogni speranza e contro ogni evidenza. “Spes contra spem”, diceva san Paolo… Sono d’accordo con lui.