PIANTIAMOLA DI CHIAMARLE “FAKE NEWS”. SI CHIAMANO MENZOGNE*

PIANTIAMOLA DI CHIAMARLE “FAKE NEWS”. SI CHIAMANO MENZOGNE*

di Pietro Di Muccio de Quattro

Sentire alla radio e alla tv il gridolino “è una fake, è un fake” suscita un moto di compatimento e smarrimento. Perché gli anglicismi inutili vengono dal Maligno

Di tutti gli anglicismi inutili che guastano il nostro dolcissimo italiano, ‘fake news’ è forse il peggiore, non solo perché sta sia per ‘notizie false’, sia per ‘menzogne’, ma pure perché addolcisce, eufemizza, il nostro vocabolo ‘menzogna’ che invece ha un significato drastico. Consiste in “un’asserzione, dichiarazione coscientemente falsa”. La carica semantica è avvalorata dall’etimologia. Secondo il “Dizionario etimologico” di Cortellazzo e Zolli, la parola ‘menzogna’ deriva da “mentione(m)”, cosa falsamente ricordata, incrociatasi col vicino “mentiri”, mentire: la stessa essenza della dottrina cristiana, che considera la menzogna come facente parte della natura del diavolo, ha lasciato la sua impronta nella formazione del nuovo termine”. Nientemeno! 

In buona o mala fede?

Sentire alla radio e alla tv il gridolino “è una fake, è un fake” suscita un moto di compatimento e smarrimento. I ciarlieri presenzialisti radiofonici e televisivi stanno approvando o condannando la, o il, fake in questione? Intendono ‘menzogna’ o ‘ciancia’? C’è differenza. E non poca. Eccetto a fin di bene, una cosciente menzogna intenzionale può essere una perfida cattiveria o una frode interessata. Dicerie e frottole sono piuttosto chiacchiere che malignità. Il senso comune associa ‘menzogna’ a ‘vergogna’: chi mente senza pudore o inganna con disonestà dovrebbe vergognarsene anziché venirne elogiato. Ma tenere a freno l’inclinazione anglicizzante in radio e televisione risulta arduo, specie nei confronti di chi mastica l’inglese come una gomma masticabile. 

Invece la carta stampata dovrebbe fare ammenda e riconsiderare l’uso smodato degli anglicismi, non tanto per patriottico amore verso la lingua italiana, ma semplicemente per farsi capire, per umiltà, per servire i lettori anziché servirsene. Lettori, i quali sono sempre meno di numero e sempre più ignoranti, nel senso che in maggioranza non capiscono l’italiano di base delle elementari (stavo per scrivere ‘basic’, accidenti!), figuriamoci il proliferare di termini inglesi superflui nel testo ma utili ad accreditare l’autore come padrone di Shakespeare sebbene immemore di Dante (l’Alighieri, chi era costui?).

C’è un diavoletto in tipografia

Nel giornalismo esisteva il “proto”, o comunque si chiami oggi, cioè il controllore del testo composto per la stampa. Correggeva gli errori, anche d’italiano. I refusi, quando di vocabolario, grammatica, sintassi, per non attribuirli all’autore ed esporlo alla berlina, venivano addebitati al misterioso “diavoletto della tipografia”. Se ci son di mezzo le parole, orali o scritte, il diavolo infatti torna sempre protagonista. Nel Vangelo è detto: “Sia il vostro parlare: sì, il sì; no, il no. Il di più viene dal Maligno.”

Ecco, gli anglicismi inutili vengono proprio dal Maligno, anziché dal “diavoletto della tipografia”. Il vanesio, che ostenta l’insulso compiacimento della conoscenza di un vocabolo inglese esibito a sproposito, dovrebbe essere, se non bandito dalle redazioni, almeno sottoposto alla ferrea autorità di un istituendo correttore ufficiale o, nelle more, ad una sorta di “schiaffetto del cresimato” che il direttore dovrebbe assestargli per ogni vocabolo inglese adoperato dove basta e avanza il dovuto italiano.

Perciò, niente fake news. Sono menzogne.

*Articolo e Foto tratti da BeeMagazine del 26.03.2025

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