MAGISTRATI, SCONTRO FINALE SULLA RIFORMA, CON QUALCHE PRIVILEGIO

MAGISTRATI, SCONTRO FINALE SULLA RIFORMA, CON QUALCHE PRIVILEGIO

di Giuseppe Gullo

Il variegato e tumultuoso mondo dell’amministrazione giudiziaria nel nostro Paese riserva continue sorprese che talvolta sconcertano. Tutta l’attenzione dell’opinione pubblica, del mondo politico e della magistratura è rivolta in questo momento al duro scontro in atto tra Governo ed Ordine giudiziario sul tema della separazione delle carriere e della modifica della scelta dei componenti del CSM. Il confronto è aspro a tal punto che l’Anm, che rappresenta la quasi totalità dei magistrati, ha indetto uno sciopero e ha preannunciato altre forme di contrasto per impedire l’approvazione del ddl costituzionale all’esame del Parlamento. È chiaro a tutti che la posta in gioco è molto alta, ben più dello stesso contenuto della riforma governativa, essendo in gioco il riequilibrio dei poteri da alcuni decenni alterato dalle invasioni di campo illegittime delle Procure. Nello stesso tempo lontano dai riflettori, vicende certamente minori ma significative per il loro contenuto ed i protagonisti procedono a fari spenti nel disinteresse generale. 

La prima e più grave riguarda la sterilizzazione della norma, introdotta dalla riforma del 2022, che prevedeva il divieto per i magistrati che avevano collaborato con il Guardasigilli presso gli uffici del Ministero, di assumere incarichi direttivi per tre anni dopo la cessazione del lavoro. La ratio della norma è quella di evitare che il ruolo ricoperto possa in qualche misura “favorire” nomine di particolare rilievo dirigenziale. La legge c. d. “mille proroghe”, malvezzo di tutti i Governi, ha sterilizzato il divieto bloccandone l’applicazione fino al 2026 in attesa, forse, di abrogarla o modificarla. La lobby dei fuori ruolo ha messo a segno un punto a proprio favore e probabilmente alcuni degli inquilini togati di via Arenula già studiano come essere nominati in posti molto ambiti e altrettanto importanti. Anzi ottengono il riconoscimento di potere utilizzare il servizio prestato al ministero come titolo che attribuisce un punteggio premiale. Non solo essi possono assumere da subito incarichi dirigenziali, ma hanno maggiori possibilità di ottenere l’incarico non per avere esercitato la giurisdizione bensì per avere svolto attività di collaborazione politico-amministrativa al fianco del Ministro. Viene così istituzionalizzato il principio che il merito non ha alcuna attinenza con l’attività propria dei giudici quanto piuttosto con la rete di relazioni che si è riusciti a stabilire. Ennesima anomalia di un sistema che crea necessariamente un corto circuito a scapito della trasparenza e del merito. Illuminante la dichiarazione dell’unico componente indipendente del CSM, dott. Mirenda, a proposito del programma del neo Presidente dell’Anm: “Per recuperare onore e prestigio, la Magistratura non ha affatto bisogno di un paio di giudici ammazzati… Servono, invece ( cosa di cui non v’è traccia nei radar dell’ANM), equilibrio, etica, deontologia e terzietà nell’esercizio della funzione. Qualcuno lo dica al confuso dott. Parodi… Perché, se davvero il Presidente dell’ANM avesse a cuore le sorti della magistratura, bene farebbe, allora, a dire come stanno le cose; bene farebbe a denunciare la tossicità dell’affarismo correntizio che soffoca ogni spinta autoriformista in seno all’Associazione; bene farebbe a chiarire come la cinghia di trasmissione ANM-CSM impedisca al sindacato dei magistrati di essere il primo cane da guardia di un opaco Autogoverno che, troppo spesso, è il primo a genuflettere i magistrati. Dica, una volta per tutte, così come già aveva fatto lucidamente il precedente segretario della sua corrente, nel luglio 2022, che senza sorteggio non si va da nessuna parte. Da lì, solo da lì, può ripartire un rinascimento morale della giurisdizione.” Parole pesanti come macigni!

La seconda vicenda riguarda il dottor Davigo. Com’ è noto la Cassazione ha condannato in via definitiva l’ex magistrato, divenuto famoso come la mente giuridica del Pool di Milano, per violazione di segreto d’ufficio quale componente del CSM. Sono pubbliche e continue le affermazioni fatte dall’ex PM relative al fatto che qualunque indagato avrebbe dovuto essere immediatamente sollevato da incarichi pubblici e perfino dichiarato non candidabile e non eleggibile. Evidentemente però queste regole valgono per tutti ma non per lui. Il dottor Davigo, dal momento della condanna definitiva a oggi, ha continuato a svolgere le funzioni di Presidente di una Commissione tributaria a Milano. Ciò che è obbligatorio per tutti e che la legge impone per chiunque sia condannato in via definitiva non è valido per Davigo o, meglio ancora, non gli è opponibile in ragione dell’essere al di sopra della legge! Non solo, le autorità preposte all’applicazione della legge restano inerti, o forse stanno aspettando che trascorrano i pochi mesi che mancano per il compimento dei suoi 75 anni, termine per il naturale pensionamento, per dire poi che non vi è luogo a procedere essendo l’interessato in quiescenza. Tranne che, considerata la chiara fama del protagonista di questa storia tutta italiana, non si trovi un’altra adeguata e prestigiosa collocazione per un alfiere della Giustizia giusta, beninteso per gli altri.

Fonte Foto: Pxhere.comCc0 1.0

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