LO SPETTACOLO DEI 5STELLE STA FINENDO

LO SPETTACOLO DEI 5STELLE STA FINENDO

di Giuseppe Gullo

Lo spettacolo, ancora in corso, messo in scena dalla compagnia di avanspettacolo diretta dal prof. Conte occupa una parte dei notiziari politici italiani. In verità sembra la rappresentazione finale di una stagione che ha avuto l’apice nelle elezioni politiche del 2018, nelle quali il movimento creato da Grillo e Casaleggio ha conseguito l’eccezionale risultato del 32,8% dei voti, un fenomeno che ha avuto pochi precedenti nella storia repubblicana. Escluse le percentuali più elevate avute in periodi diversi dalla DC e dal PCI-PDS, l’unico esempio che presenta analogie con il voto del 2018 è stato quello conseguito da Forza Italia con la discesa in campo di Berlusconi, che ebbe nelle elezioni del 1994 il 21% al proporzionale e quasi il 43% all’uninominale, sconfiggendo la “gioiosa macchina da guerra“ di Occhetto, che riteneva di avere già vinto le elezioni a tavolino.
Le differenze tra le due competizioni sono enormi. Anzitutto l’affluenza alle urne che nel ‘94 fu superiore all’86% e nel 2018 di quasi il 74%, 12 punti in meno. Poi la legge elettorale. Nel 1994 si votò con il “Mattarellum “che aveva una consistente quota di seggi assegnati nei collegi uninominali dando origine ad alcuni risultati eccezionali come il 61/0 in Sicilia, mentre nel 2018 abbiamo votato con il porcellum, probabilmente la peggiore legge elettorale della storia repubblicana. Cosa determinò il successo dei pentastellati, che già avevano avuto nel 2013 il 25,50% e avevano fatto opposizione ai Governi Letta, Renzi e Gentiloni che si sono succeduti in quella legislatura? Se si ha la voglia di leggere, anche superficialmente, le cronache del tempo si rileva che il movimento aveva una connotazione di radicale contestazione della “casta” e dei suoi presunti “privilegi”, con continui proclami che promettevano la soppressione delle macchine blu, l’abbattimento delle indennità, la fine delle pensioni d’oro e dei benefit connessi allo status di membro del Parlamento, il limite di due mandati, la rotazione delle cariche, l’indicazione dei candidati attraverso la piattaforma Rousseau con votazione digitale degli iscritti, il principio ’”uno vale uno” come assoluto e inderogabile, il rifiuto della collaborazione al Governo con altre formazioni politiche, il rigetto di ogni forma di adesione o anche vicinanza a schieramenti di destra, di sinistra o di centro.
Alla prova dell’assunzione di responsabilità, come partito di maggioranza relativa, tutto è cambiato. La mancanza di una classe dirigente competente e qualificata si è immediatamente manifestata in tutta la sua gravità. Il populismo e il qualunquismo sono stati i fattori caratterizzanti delle disastrose esperienze di Governo a guida 5S, nelle quali nessuno degli impegni assunti con gli elettori è stato mantenuto. Il Presidente del Consiglio indicato, privo di qualunque esperienza di Governo, ha cercato fin dal primo momento di curare la propria immagine e di creare le premesse per diventare il solo punto di riferimento del Movimento. Questo disegno è stato favorito inconsapevolmente sia dall’inesperienza e ingenuità di Di Maio, che non si è reso conto che Conte gli stava erodendo il terreno sotto i piedi, sia dall’estremismo di Di Battista che si è chiamato fuori da un’esperienza che non condivideva, sia dal ruolo di Fico che dall’alto dello scranno di Presidente della Camera guardava con distacco l’evolversi degli eventi senza riuscire in alcun modo ad incidere sul loro esito.
La conclusione inevitabile è stata una serie di disfatte elettorali: alle politiche del 2022, nelle quali i 5S hanno perso la metà dei voti, alle successive scadenze del rinnovo del Parlamento Europeo con meno del 10%, e alle ultime regionali con percentuali sotto il 5%. A questo punto è scattato il programma del “parricidio”, con la convocazione di una costituente senza regole e senza democrazia fatta al solo fine di liberarsi dell’ingombrante presenza del fondatore e garante, per avere le mani libere e potere operare come meglio riteneva il nuovo lider maximo. Da qui i giochi per ottenere posti nel CdA Rai, rappresentanti nel CSM, presenze in altri organismi di primaria importanza e di rilievo costituzionale.
Ancora il duello non è finito. Quasi certamente si chiuderà con una scissione che ha il sapore della spartizione delle spoglie di un esercito in ritirata dopo pesanti sconfitte e perdite sul campo. La politica? Da questo punto di vista nessuna novità: non c’era prima e ancor di meno c’è adesso. Resta latitante sotto quel cielo nuvoloso. Vi è solo una lotta di potere tutt’altro che nobile, le cui finalità sono lontane mille miglia dalle dichiarazioni programmatiche di qualche anno fa. L’amara constatazione è che se il campo progressista dovesse davvero avere simili componenti, le speranze di vincere le elezioni e governare il Paese sono ben poche.

 

Fonte Foto: Pxhere.comCC0 1.0

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