L’invasione dell’Ucraina e l’imprevidenza energetica dell’Italia
di Peppino Gullo
La battuta che circola sui social è macabra ma coglie un aspetto non secondario della situazione che viviamo. Sotto una foto che ritrae Putin è scritto: “Candidato al premio Nobel per la medicina, ha fatto guarire il mondo intero dal Covid in 48 ore”
L’irrompere drammatico della guerra in Ucraina ha oscurato qualunque altra notizia per quanto importante e/o drammatica. La Russia sta occupando un Paese che fa parte geograficamente dell’Europa e che confina con paesi un tempo controllati dall’URSS e da anni ormai sempre più vicini all’Occidente ed alla sua alleanza militare. Comprendo bene la posizione di tutti coloro che in queste ore richiamano l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale sui tanti conflitti in atto in varie parti del mondo, dall’Afghanistan al Mali, dalla Siria all’Iraq solo per citarne alcuni. Ma non tutte le guerre sono uguali, nel senso che sono tutte eventi terribili, folli, tragici, ma se avvengono nel cuore dei paesi che rappresentano, con gli USA, la parte più ricca e progredita del pianeta, sono molto più pericolose e gravi di altri. I morti sono tali dappertutto e così i bombardamenti, i genocidi, gli esodi di massa; ma, quando ciò avviene alle porte della Nato il pericolo di una guerra totale è molto più alto. Probabilmente, da un punto di vista di principio, hanno ragione coloro che non accettano una simile considerazione, ma il realismo dei fatti porta a questa conclusione. La mobilitazione dell’opinione pubblica occidentale, per queste ragioni, deve essere massima e al contempo rispettosa degli sforzi che si stanno facendo e si faranno per giungere a una definizione concordata della contesa, nell’interesse di tutti.
L’appartenenza dell’Italia, in modo convinto e solidale, all’Occidente non è in discussione e in questo senso vanno lette con favore le dichiarazioni di rappresentanti di forze politiche, nel recente passato anti europeiste, che aderiscono apertamente alle scelte atlantiche; ma è necessario fare di più e trarre le giuste lezioni per il futuro. Abbiamo necessità di aumentare la nostra autonomia energetica sapendo che ciò che si sacrifica, se necessario, nel campo ambientale verrà ampiamente recuperato su quello economico e sociale. Non è tempo di polemiche, ma non si può continuare a non cercare il petrolio in Sicilia o il gas nell’Adriatico e poi lamentarsi per l’aumento delle bollette energetiche, così come non si possono spendere cifre folli e ingrassare il malaffare per non costruire termovalorizzatori, mentre la Germania, dai propri rifiuti produce energia e incassa miliardi per smaltire quelli dei paesi arretrati, tra i quali, purtroppo, l’Italia.
Abbiamo la fortuna, in questa drammatica situazione, di avere un primo ministro autorevole, conosciuto ed apprezzato in Europa e nel Mondo, in condizione di interloquire con le più importanti Cancellerie occidentali, e non è un caso che davanti al Parlamento abbia fatto chiaro riferimento alla necessità di aumentare la produzione interna di energia a tutti i costi, anche se fosse necessario riaprire le centrali a carbone; oppure, non lo ha detto ma mi sembra implicito, costruendo centrali nucleari come hanno fatto i principali paesi europei.
Non si può chiedere a gran voce di calmierare i prezzi di petrolio, gas e di tutto ciò che serve per usi privati e industriali e poi bloccare ogni iniziativa che renda possibile questo risultato. E’ necessario chiedere che tutto avvenga con la maggiore tutela possibile per la salute e l’ambiente e controllare severamente che ciò venga realizzato nel modo migliore. Non fare è la soluzione peggiore; o vogliamo sacrificare, che so?, lo sviluppo di una parte del Paese per cento alberi di ulivo?
Lo sviluppo delle città negli anni 60 del novecento, col fenomeno dell’urbanizzazione e la crescita a dismisura delle periferie con la creazione di grandi insediamenti abitativi con complessi dormitorio, è stato causa di degrado e di sviluppo di delinquenza e sradicamento sociale, ma ha contribuito, insieme ad altre cause, alla grande trasformazione di un paese agricolo come il nostro in una grande potenza industriale ancora oggi al secondo posto in Europa nel manifatturiero.
Sicuramente tutto questo ha avuto un elevato costo sociale e sarebbe stato forse possibile evitare o ridurre tante storture e costi in termini sociali e di sottosviluppo di aree meridionali e soprattutto interne. Tuttavia ha consentito di migliorare in modo eccezionale i servizi, l’istruzione, la qualità della vita, mettendoci al livello delle più progredite società del mondo sviluppato. Chi rimpiange il dopoguerra non ha conosciuto e vissuto quella realtà; non ha visto la povertà e l’emarginazione, l’analfabetismo di massa, l’emigrazione di milioni di concittadini verso le Americhe, il nord Europa e il nord Italia, la mancanza di igiene , la mortalità perinatale, il duro e mal retribuito lavoro dei campi e le rigide barriere sociali. Rispetto, serietà, educazione, sì, certamente, ma non rapportabili affatto al dolore, alla fatica, alle umiliazioni di intere generazioni.
Non bisogna dimenticare per andare avanti, rispettando i diritti delle persone e dei popoli e sapendo che ogni progresso ha costi sociali che non sono, purtroppo, eliminabili.