LILIANA SEGRE E ELENA CATTANEO V/S GIORGIA MELONI*

LILIANA SEGRE E ELENA CATTANEO V/S GIORGIA MELONI*

di Pietro Di Muccio de Quattro

Pur di conservare il potere sarebbe perfino capace di diventare intelligente, sospirò il qualunquista inconsapevole. Ma enunciò un paradosso perché cupidigia del potere e sagacia dei legislatori non sono parallele. Fatto sta che il cambio costituzionale proposto dagli attori del premierato è reformatio in peius. La discussione in Aula del disegno di legge costituzionale, presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal Ministro per le riforme istituzionali e la semplificazione normativa (al maschile nella relazione, sebbene siano due signore), è iniziata come uno scontro tra donne al vertice delle istituzioni: Elena Cattaneo e Liliana Segre, senatrici a vita, versus Giorgia Meloni, detta Giorgia, presidente del Consiglio.
Sgombriamo innanzitutto il campo dall’equivoco malizioso che hanno fatto aleggiare sull’avvio del dibattito in Assemblea della riforma costituzionale. Il primo articolo del progetto uscito dalla Commissione abroga il secondo comma dell’articolo 59 della Costituzione, il quale stabilisce che “Il presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”. Significa che la riforma Meloni, se approvata, toglierebbe dalle mani del capo dello Stato la facoltà di conferire quello che a tutt’oggi può essere considerato il più alto onore della Repubblica in riconoscimento dei meriti conseguiti da cittadini italiani che hanno illustrato la nazione. I maligni hanno voluto insinuare che le critiche severe di Segre e Cattaneo contengano un sottofondo di amarezza e risentimento per la cancellazione della categoria a cui appartengono, come se, invece di orazioni per la Repubblica, pronunciassero ciascuna un discorso pro domo sua. Ma l’insinuazione, oltre che ingenerosa, è pure infondata, perché l’abrogazione non tocca minimamente la loro posizione, dal momento che il progetto contempla una disposizione transitoria (articolo 5) in base alla quale “Restano in carica i senatori a vita nominati ai sensi del secondo comma dell’articolo 59 della Costituzione, nel testo previgente”.
Dunque, premierato o non premierato, Elena Cattaneo e Liliana Segre resteranno in carica. Gli Italiani devono augurare alle due senatrici la più lunga vita perché i loro interventi sulla riforma Meloni non solo hanno illustrato il Senato e l’intero Parlamento ma anche fornito la prova che l’abolizione dell’istituto dei senatori a vita rappresenta un evidente errore del progetto.  Le loro voci sono state potenti e convincenti per contenuto, quanto abbellite dalla forma eloquente, inconsueta nelle aule parlamentari degli ultimi lustri, quasi che la gloria dell’oratoria greca e romana fosse andata perduta per sempre nell’eloquio dei rappresentanti. Sono voci libere per intima fede nelle loro certezze personali, che hanno sentito di dover esprimere per obbligo morale e politico, al quale dunque avrebbero obbedito comunque. E tuttavia è consolante suppore che possa aver giovato precisamente l’esser, quelle voci, le voci di due parlamentari il cui status le sottrae ai beneplaciti dei partitanti. Il che, poi, costituisce parte integrante della libertà dei senatori e deputati di “esercitare le funzioni senza vincolo di mandato” (articolo 67).
I discorsi delle senatrici Cattaneo e Segre sono eccezionalmente importanti perché attaccano alla radice il progetto costituzionale. Non si limitano a criticarne gli aspetti controversi, ma da questi ricavano la conclusione che il progetto è intrinsecamente sbagliato. Detto altrimenti, ritengono che con l’acqua sporca occorra buttar via il bambino. Il progetto è “allarmante” per la senatrice Segre, categorica: “Non posso e non voglio tacere”. Per la senatrice Cattaneo il progetto “aprirebbe una deriva plebiscitaria”. L’opposizione radicale al progetto è l’unica compatibile con la radicalità del progetto, che all’apparenza sembra modificare soltanto la nomina del presidente del Consiglio, rimettendola direttamente nelle mani del popolo, ma di fatto sovverte l’intera forma di governo e modifica sostanzialmente la figura del presidente della Repubblica, per conseguire uno scopo, cioè la stabilità del presidente del Consiglio, che il progetto invece pregiudica perché, cementando il Parlamento e il Governo nell’elezione contestuale, irrigidisce il rapporto tra i due organi costituzionali, sicché “simul stabunt aut simul cadent”. Toglie elasticità alla vita delle due istituzioni, ignorando incredibilmente che gli alberi più robusti sono i più flessibili. Dice la senatrice Cattaneo, una scienziata adusa al ragionamento: “Non regge al vaglio della logica, ancor prima di quello della democrazia avanzata, pensare che il Parlamento, eletto contestualmente al Presidente del consiglio e quindi sostanzialmente per trascinamento, non abbia alcuna sostanziale forma autonoma di controllo sull’attività del Governo, mentre il Governo può determinarne sia l’attività legislativa sia, in ogni momento, a discrezione del presidente del Consiglio, lo scioglimento. Non è logico”.
L’attacco ai fondamenti stessi del progetto fa giustizia della posizione possibilista dei tanti che, dentro e fuori del Parlamento, inclinano a un collaborazionismo consistente nel prospettare e proporre emendamenti che dovrebbero servire, nell’intenzione, a eliminare difetti che inficiano il progetto al punto di renderlo inaccettabile. Purtroppo, consimili difetti non sono poi identici nel giudizio dei possibilisti, sicché sommandoli portano alla stessa pregiudiziale avanzata e dimostrata dalle senatrici Cattaneo e Segre. L’aver messo il carro del premierato davanti al bue della legge elettorale è una pecca inemendabile. Se il progetto costituzionale impone alla legge elettorale (questa sconosciuta!) di assegnare sempre un premio “che garantisca una maggioranza dei seggi in ciascuna delle Camere alle liste e ai candidati collegati al Presidente del Consiglio”, la senatrice Segre ne deduce con logica socratica che nessuna legge ordinaria, pena l’incostituzionalità, potrà mai prevedere una soglia minima per l’assegnazione del premio. E con sferzante acribia conclude: “Paradossalmente, con una simile previsione la legge Acerbo del 1923 sarebbe risultata incostituzionale perché troppo democratica, visto che l’attribuzione del premio non scattava qualora nessuno avesse raggiunto la soglia del 25%”. Ricordiamo agli immemori che la “legge Acerbo” spianò la strada al fascismo.
Il progetto sul premierato assume un postulato implicito ma falso: il governo deve essere stabile per essere forte. Ma non è affatto debole adesso. La senatrice Cattaneo osserva: “La funzione legislativa, che per Costituzione spetta in via esclusiva al Parlamento, è diventata ormai, al contrario, quasi totalmente appannaggio del Governo, che ne dispone a piacimento e, se necessario, in modo tombale, con l’uso sistematico della decretazione d’urgenza combinata ai maxiemendamenti e al voto di fiducia, strumenti che dovrebbero essere eccezionali e invece sono divenuti la regola dei nostri lavori. Quindi l’elefante nella stanza che oggi si finge di non vedere non è solo ciò che è contenuto nel testo in discussione, ma soprattutto quello che nel testo non c’è, vale a dire la necessità di restituire forza, dignità, autonomia a un Parlamento indebolito”.
Del “Parlamento al contrario” e del “Parlamento degradato” il progetto costituzionale si occupa al solo fine di degradarlo ancor più rimettendone la vita all’arbitrio del presidente del Consiglio, padrone dei ministri e della legislatura. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. È il fondamento della nostra democrazia. Il Governo gode della fiducia del Parlamento, che rappresenta il popolo. Il Parlamento insedia il Governo e (con i delegati regionali) il Presidente della Repubblica. Il progetto costituzionale perverte questo modello dei Costituenti. Infatti, il Presidente del Consiglio, essendo insediato direttamente con l’elezione, sarà espressione della sovranità popolare, mentre il Presidente della Repubblica sarà espressione della sovranità parlamentare, nella migliore ipotesi, ovvero della stessa maggioranza governativa, nel peggiore dei casi, cioè dopo la sesta votazione per eleggerlo, come stabilisce il progetto innovando ai quorum di votazione per il Quirinale.
I sostenitori del progetto indulgono a ritenere che: primo, il presidente della Repubblica così eletto, al quale nella sostanza hanno tolto il potere di scioglimento delle Camere ed il potere di nominare il Governo, non può affatto considerarsi “declassato”; secondo, tale assetto non configuri un “bicefalismo spurio” tra presidente del Consiglio e presidente della Repubblica, foriero di attriti e conflitti. Il tutto per impedire quello che considerano un male estremo del sistema: il potere presidenziale di formare governi tecnici o di unità nazionale con maggioranze diverse da quelle uscite dalle urne. Come se non fossero pur esse, appunto, maggioranze che legittimano il Governo bensì nominato dal Quirinale ma nondimeno perfezionato costituzionalmente dalla fiducia parlamentare. Se credono questo, non dobbiamo stupirci che scambino per bellezza la deformità del progetto. Infatti, parlando in generale, i cattivi costituzionalisti somigliano agli idraulici, il quali la sanno lunga di tubi e rubinetti, però non hanno a cuore la qualità dell’acqua che ne sgorga.
In un lontano passato, quando un deputato pronunciava un discorso che i colleghi reputavano notevole o addirittura memorabile, gli tributavano l’onore dell’affissione, gridando in Aula: “Affissione! Affissione!”. Il discorso veniva attaccato alle bacheche della Camera e se ne ordinò addirittura la pubblicazione negli albi comunali. Nel riportare, qui sotto, il testo dei discorsi delle senatrici a vita Cattaneo e Segre è come se riprendessimo, al tempo di internet, l’antica usanza dell’affissione.

*Fonte Articolo e Foto: BeeMagazine del 24.05.2024

 

INTERVENTO SENATRICE A VITA LILIANA SEGRE

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Segre. Ne ha facoltà.
Prima di lasciarle la parola, voglio chiedere alla senatrice Segre di accettare la solidarietà, da parte della Presidenza e di tutto il Senato, per le volgari e anche pericolose minacce ricevute. (Applausi).

SEGRE – Signor Presidente, intanto la ringrazio per il fatto che mi lasci parlare seduta.
Signor Presidente, colleghe e colleghi, continuo a ritenere che riformare la Costituzione non sia una vera necessità del nostro Paese e le drastiche bocciature che gli elettori espressero nei referendum costituzionali del 2006 e del 2016 lasciano supporre che il mio convincimento non sia poi così singolare. Continuo anche a ritenere che occorrerebbe impegnarsi per attuare la Costituzione esistente e innanzitutto per rispettarla. Confesso, ad esempio, che mi stupisce che gli eletti dal popolo (di ogni colore) non reagiscano al sistematico e inveterato abuso della potestà legislativa da parte dei Governi, in casi che non hanno nulla di straordinariamente necessario e urgente. A maggior ragione mi colpisce il fatto che oggi, di fronte alla palese mortificazione del potere legislativo, si proponga invece di riformare la Carta per rafforzare il già debordante potere esecutivo.
In ogni caso, se proprio si vuole riformare, occorre farlo con estrema attenzione. Il legislatore che si fa costituente è chiamato a cimentarsi in un’impresa ardua: elevarsi, librarsi al di sopra di tutto ciò che, per usare le parole di Leopardi, «dell’ultimo orizzonte il guardo esclude»; sollevarsi, dunque, idealmente tanto in alto da perdere di vista l’equilibrio politico dell’oggi, le convenienze, le discipline di partito, tutto ciò che sta nella realtà contingente, per tentare di scrutare quell’infinito nel quale devono collocarsi le Costituzioni. Solo da questa altezza si potrà vedere come meglio garantire una con- vivenza libera e sicura ai cittadini di domani, anche in scenari ignoti e imprevedibili. Dunque occorrono non prove di forza o sperimentazioni temerarie, ma generosità, lungimiranza, grande cultura costituzionale e rispetto scrupoloso del principio di precauzione.
Non dubito delle buone intenzioni della cara amica Elisabetta Alberti Casellati, alla quale posso solo esprimere gratitudine per la vicinanza che mi ha sempre dimostrato; poiché però, a mio giudizio, il disegno di riforma costituzionale proposto dal Governo presenta vari aspetti allarmanti, io non posso e non voglio tacere. (Applausi).
Un tentativo di forzare un sistema di democrazia parlamentare introducendo l’elezione diretta del Capo del Governo, che è tipica dei sistemi presidenziali, comporta, a mio avviso, due rischi opposti: il primo è quello di produrre una stabilità fittizia nella quale un Presidente del Consiglio cementato dall’elezione diretta deve convivere con un Parlamento riottoso, in un clima di conflittualità istituzionale senza uscita; il secondo è il rischio di produrre un’abnorme lesione della rappresentatività del Parlamento, ove si pretenda di creare a qualunque costo una maggioranza al servizio del Presidente eletto attraverso artifici maggioritari tali da stravolgere, al di là di ogni ragionevolezza, le libere scelte del corpo elettorale.
La proposta governativa è tale da non scongiurare il primo rischio, penso a coalizioni eterogenee messe insieme pur di prevalere, e da esporci con altissima probabilità al secondo. Infatti, l’inedito inserimento in Costituzione della prescrizione di una legge elettorale che deve tassativamente ga- rantire, sempre mediante un premio, una maggioranza dei seggi a sostegno del Capo del Governo fa sì che nessuna legge ordinaria potrà mai prevedere una soglia minima al di sotto della quale il premio non venga assegnato. Paradossalmente, con una simile previsione, la legge Acerbo del 1923 sarebbe risultata incostituzionale perché troppo democratica, visto che l’attribuzione del premio non scattava qualora nessuno avesse raggiunto la soglia del 25 per cento.
Trattando questa materia, è inevitabile ricordare l’avvocato Felice Besostri, scomparso all’inizio di quest’anno, che fece della difesa del diritto degli elettori di poter votare secondo Costituzione la battaglia della vita. Per ben due volte, la Corte costituzionale gli ha dato ragione, cassando prima il Porcellum e poi l’Italicum perché lesivi del principio dell’uguaglianza del voto scolpito nell’articolo 48 della Costituzione e dunque mi chiedo come è possibile perseverare nell’errore, creando per la terza volta una legge elettorale destinata a produrre quella stessa illimitata compressione della rappresentatività dell’Assemblea parlamentare.
Ulteriore motivo di allarme è provocato dal drastico declassamento che la riforma produce a danno del Presidente della Repubblica. Il Capo dello Stato, infatti, non solo viene privato di alcune fondamentali prerogative, ma sarebbe fatalmente costretto a guardare dal basso in alto un Presidente del Consiglio forte di una diretta investitura popolare e la preoccupazione aumenta per il fatto che anche la carica di Presidente della Repubblica può rientrare nel bottino che il partito o la coalizione che vince le elezioni politiche ottiene in un colpo solo, grazie al premio di maggioranza. Anzi, è addirittura verosimile che, in caso di scadenza del settennato posteriore alla competizione elettorale, le coalizioni possano essere indotte a presentare un ticket con il numero uno candidato a fare il Capo del Governo e il numero due candidato a insediarsi l Quirinale avendo la certezza matematica che, sia pure dopo il sesto scrutinio, stando all’emendamento del senatore Borghi, la maggioranza avrà i numeri per conquistare successivamente anche il Colle più alto.
Ciò significa che il partito o la coalizione vincente che, come si è visto, potrebbe essere espressione di una porzione anche assai ridotta dell’elettorato, nel caso in cui competessero tre o quattro coalizioni, come già avvenuto in un recente passato, sarebbe in grado di conquistare in un unico appuntamento elettorale il Presidente del Consiglio e il Governo, la maggioranza assoluta dei senatori e dei deputati, il Presidente della Repubblica e, di conseguenza, anche il controllo della Corte costituzionale e degli altri organismi di garanzia, il tutto sotto il dominio assoluto di un Capo del Governo dotato, di fatto, di un potere di vita e di morte sul Parlamento. Nessun sistema presidenziale o semipresidenziale consentirebbe una siffatta concentrazione del potere, anzi l’autonomia del Parlamento in quei modelli è tutelata al massimo grado.
Non è dunque possibile ravvisare nella deviazione dal programma elettorale della coalizione di Governo che proponeva il presidenzialismo un gesto di buona volontà verso una più ampia condivisione.
Al contrario, siamo di fronte a uno stravolgimento ancora più profondo e che ci espone a pericoli ancora maggiori.
Aggiungo che il motivo ispiratore di questa scelta avventurosa non è facilmente comprensibile, perché sia l’obiettivo di aumentare la stabilità dei Governi, sia quello di far eleggere direttamente l’Esecutivo si potevano perseguire adottando strumenti e modelli ampiamente sperimentati nelle democrazie occidentali, che non ci esporrebbero a regressioni e squilibri paragonabili a quelli connessi al cosiddetto premierato. Non tutto può essere sacrificato in nome dello slogan «scegliete voi il Capo del Governo»; anche le tribù della preistoria avevano un capo, ma solo le democrazie costituzionali hanno separazione dei poteri, controlli e bilanciamenti (Applausi), cioè gli argini per evitare di ricadere in quelle autocrazie contro le quali tutte le Costituzioni sono nate. (Applausi).

 

INTERVENTO DELLA SENATRICE ELENA CATTANEO 

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Cattaneo. Ne ha facoltà.

CATTANEO – Signor Presidente, Ministra, colleghi e colleghe, è chiara a tutti l’eccezionalità della materia che stiamo affrontando in quanto in grado di incidere stabilmente sulle forme della nostra democrazia parlamentare. È per questo che nell’intervenire da non esperta della materia ho cercato di fare tesoro delle considerazioni che sono state espresse durante le numerose audizioni di costituzionalisti ed esperti in Commissione, per le quali voglio ringraziare l’intera Commissione affari costituzionali, a partire dal presidente Balboni.
Ho anche partecipato a diversi eventi come quello che si è tenuto alla Camera dei deputati lo scorso 8 maggio con la ministra Casellati e la presidente Meloni. Ho letto articoli di stampa e documenti, tra cui il denso dossier pubblicato lo scorso dicembre dalla Fondazione Astrid, a firma di oltre 30 costituzionalisti. In tutte queste occasioni mi hanno molto colpito i commenti, in massima parte critici o comunque preoccupati, da parte di studiosi della materia, anche provenienti da culture politiche molto diverse.
In particolare, mi colpisce un elemento centrale e allarmante di queste critiche, cioè che, secondo queste critiche, la riforma, nel proporsi di rafforzare la stabilità del Governo, finisca con l’alterare l’attuale equilibrio tra i poteri costituzionali, fino a pregiudicare, in assenza di profondi correttivi, la possibilità di una reale dialettica democratica. Ora, per capire se ciò sia vero, credo si debba guardare al contesto istituzionale materiale e quotidiano in cui la riforma si inserisce. Questo è quello che vorrei fare con voi adesso.
Sono in Parlamento da undici anni, ne seguo le attività e ho imparato da voi, colleghi senatori di ogni appartenenza, dai vostri interventi e dalle vostre iniziative che nella dinamica Parlamento-Governo c’è un organo costituzionale che è da tempo un grande malato, un organo che non riesce ad esercitare con pienezza il dominio che gli è proprio. Questo grande malato delle istituzioni repubblicane è il Parlamento.
Da voi ho appreso che la funzione legislativa, che per Costituzione gli spetta in via esclusiva (salvo casi eccezionali), è diventata ormai, al contrario, quasi totalmente appannaggio del Governo, che ne dispone a piacimento e, se necessario, in modo tombale, con l’uso sistematico della decretazione d’urgenza combinata ai maxi emendamenti e al voto di fiducia. Strumenti che capisco dovrebbero essere eccezionali e che invece sono divenuti la regola dei nostri lavori. Quindi l’elefante nella stanza che oggi si finge di non vedere non è solo ciò che è contenuto nel testo in discussione, ma a mio avviso soprattutto quello che in quel testo non c’è, vale a dire la necessità di restituire forza, dignità e autonomia a un Parlamento indebolito, perché è proprio un Parlamento forte e in salute a risultare indispensabile per la tenuta dell’equilibrio del sistema democratico e di diritto. È proprio il bilanciamento tra gli organi costituzionali e i loro poteri ad assicurare libertà, uguaglianza, diritti e benessere ai cittadini.
Colleghi, credo che possiate condividere la sensazione, che spesso ho, di vivere in un Parlamento al contrario (intendo rispetto alla Costituzione scritta), un Parlamento spesso degradato a mero ratificatore di scelte maturate altrove. Ecco, in questo contesto, immaginare che un domani il Governo o, più precisamente, il Presidente del Consiglio eletto possa determinare autonomamente lo scioglimento delle Camere significherebbe decretare la fine di un organo costituzionale già malato. Per scongiurare questa fine, credo che la discussione sul rafforzamento del Presidente del Consiglio non possa in alcun modo non avere come presupposto giuridico-costituzionale il rafforzamento del Parlamento.
Aggiungo che alcune previsioni di questa riforma, da quello che ho potuto capire anche da diversi vostri interventi, non sono negative di per sé. In astratto si potrebbero ritenere anche opportune (penso alla possibilità di nomina e revoca dei Ministri da parte del Presidente del Consiglio), ma diventano nel loro complesso inaccettabili se, come in questo caso, non vengono accompagnate da norme e istituti di rango costituzionale, legislativo e regolamentare volti a potenziare il Parlamento, facendo così da pesi e contrappesi del potere esecutivo.
Penso ad esempio al possibile inserimento in Costituzione di limiti alla decretazione di urgenza, già previsti dalla legge n. 400 del 1988 e oggi sistematicamente disattesi.
Penso all’innalzamento del quorum di voto per l’elezione dei membri degli organi costituzionali di garanzia, in modo da impedire che la maggioranza da sola possa determinarne la nomina; o ancora prevedere che almeno uno dei Presidenti delle Camere sia espressione dell’opposizione; o potenziare le attività del Parlamento in seduta comune e tanto altro.
Non regge al vaglio della logica, ancora prima di quello della demo- crazia avanzata, pensare che il Parlamento, eletto contestualmente al Presidente del Consiglio e quindi sostanzialmente per trascinamento, non abbia alcuna sostanziale forma autonoma di controllo sull’attività del Governo, mentre il Governo può determinarne sia l’attività legislativa sia, in ogni mo- mento, a discrezione del Presidente del Consiglio, lo scioglimento. Non è logico.
Per questi motivi, colleghi, concordo con coloro che sostengono che l’attuale proposta di modifica della Costituzione aprirebbe una deriva plebiscitaria, che, nell’investitura del capo, di un uomo solo o di una donna sola al comando, tradisce la sovranità popolare dei cittadini, in nome dei quali si vorrebbe realizzare questa riforma. (Applausi).
Credo che con questa riforma il Parlamento, già succube oggi del Governo, diventerebbe ostaggio di una persona sola, il Premier. Questa riforma non solo non risolve, ma rafforza, a mio avviso, una patologia del sistema. Io vorrei essere chiara: nessuno può imputare la debolezza del Parlamento a questo Governo, perché si tratta di una patologia nota, che anche io ho visto aggravarsi negli anni. Sarebbe però responsabilità unica, di questo Governo e della maggioranza parlamentare che lo sostiene, aggravarla ulteriormente.
Vorrei ulteriormente chiarire anche la mia visione su un altro aspetto: io non ritengo sia un tabù voler riformare la Costituzione. Ne erano consapevoli gli stessi costituenti. Sono andata a cercare l’ordine del giorno Perassi alla Costituente del 5 settembre del 1946, che ho sentito citare proprio dalla presi- dente Meloni in occasione del citato incontro alla Camera dei deputati.
In quell’ordine del giorno si riconosceva la necessità di introdurre forme di razionalizzazione della forma di Governo parlamentare concito – «dispositivi idonei a tutelare le esigenze di stabilità dell’azione di Governo e a evitare le degenerazioni del parlamentarismo».
Ma oggi, colleghi, il rischio non è la degenerazione del parlamentarismo, ma lo svuotamento della funzione parlamentare, un rischio insito in un progetto di riforma costituzionale che introdurrebbe una forma di Governo ibrida, né parlamentare né presidenziale. Un assemblaggio di modelli diversi, unicum mondiale, delle esperienze costituzionali delle democrazie a noi vicine.
Cito letteralmente da questo dossier della Fondazione Astrid: la ragione dell’assenza di questo modello dalle esperienze delle democrazie contemporanee discende evidentemente dal fatto che l’elezione popolare diretta del vertice dell’esecutivo, senza la presenza di una netta separazione dei poteri né di adeguati contrappesi istituzionali, presenti invece nelle forme classiche del Governo presidenziale, esula dai canoni ordinari che il costituzionalismo contemporaneo ha individuato come essenziali per la garanzia della democraticità del sistema e dei principi dello Stato di diritto.
Colleghi, io confido che su questa proposta possa svilupparsi un dialogo in grado di portarci a individuare un sentiero comune, per tenere insieme il rafforzamento della stabilità dell’Esecutivo con il rafforzamento della funzione parlamentare. Dovremmo essere tutti concordi che quest’Aula e quella di Montecitorio siano i luoghi naturali dove elaborare, nel confronto anche duro, purché leale, le migliori politiche pubbliche per tutto il Paese.
Le opzioni sul tavolo ci sono, in tanta parte anche tra gli emendamenti presentati. Penso al tema, che ho sentito proporre anche oggi qui, della sfiducia costruttiva sul modello tedesco. Nulla impedisce che si riesca a individuare un testo di riforma condiviso; un testo che, forte della maggioranza dei due terzi del voto dei parlamentari, segni l’inizio di una rinnovata capacità di iniziativa del Parlamento, che faccia di questo luogo il motore di una nuova stagione di riforma delle nostre istituzioni repubblicane. (Applausi).

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