LE ELEZIONI EUROPEE

LE ELEZIONI EUROPEE

di Giuseppe Gullo

L’esito delle elezioni Europee ha riservato importanti novità sia in Italia che negli altri Paesi della Comunità. Un forte vento favorevole alle forze di estrema destra ha portato a rilevanti risultati formazioni di quell’orientamento, soprattutto in Germania e in Francia, e cioè nei due Paesi più importanti dell’UE che avevano fino a questo momento pilotato le scelte politiche più significative della Commissione. Il terremoto elettorale ha già prodotto i primi contraccolpi clamorosi con la decisione del Presidente francese di sciogliere l’Assemblea Nazionale e indire elezioni politiche per il 30 giugno. Scelta, questa di Macron, che dà la misura della gravità della sconfitta subita e del disperato tentativo di giocare il tutto per tutto puntando l’intera posta sulla roulette elettorale. L’elettorato francese modificherà, dopo appena tre settimane, il suo orientamento accordando a Macron la fiducia che gli ha negato la scorsa settimana? È improbabile che ciò avvenga mentre è molto più verosimile che il prossimo Governo sia a guida del partito lepenista.
La Francia ha vissuto in anni ormai lontani l’esperienza del governo a guida politica contrapposta rispetto a quella del Presidente con risultati sicuramente non memorabili per il naturale contrasto tra Governo e Parlamento da un lato e Presidente dall’altro. Oggi vi sarebbe in più una sostanziale modifica dell’equilibrio istituzionale della Commissione dell’UE, nel quale uno dei riferimenti e cioè la Francia si sposterebbe su posizioni euro scettiche se non nazionaliste. Se a una tale novità si aggiunge l’altra dell’indebolimento del Cancelliere tedesco il cui partito ha subito un tracollo, mentre l’estrema destra ha conseguito il 16% dei consensi diventando la seconda formazione tedesca, si ha la misura di ciò che è accaduto. Per non dire di ciò che è avvenuto in Austria e, in misura minore, in Spagna e Olanda.  Nessuno può sottovalutare il significato di un tale risultato nella Repubblica tedesca. La memoria corre a novant’anni fa quando Il nazionalsocialismo conquistò il potere ottenendo il consenso degli elettori per poi diventare il regime che si è macchiato di crimini orrendi. I campanelli d’allarme debbono essere ascoltati soprattutto se provengono da luoghi nei quali storicamente si sono verificati eventi che giustamente inducono timore e preoccupazione. Le cause della crescita elettorale di partiti dichiaratamente neo-nazisti vanno esplorate con molta serietà per essere affrontate con provvedimenti mirati.
Il voto italiano ha connotati particolari. Il maggior partito di Governo si rafforza e con esso la coalizione di destra che lo sostiene. FI supera la prova elettorale del dopo Berlusconi dimostrando un radicamento francamente inatteso. Nessuno avrebbe puntato sulla tenuta dei forzisti privi del loro fondatore, ispiratore e leader carismatico. La politica conferma la sua imprevedibilità e la capacità di stupire. La somma dei voti dei Partiti di destra è molto vicina alla maggioranza assoluta e questo dato oggettivo ha un valore preciso e molto significativo.
Nello stesso tempo sul fronte delle opposizioni il PD e la sinistra antagonista ottengono un buon risultato tanto da fare pensare ad un bipolarismo in nuce. I 5S precipitano al 10% e forse si avviano a un declino inarrestabile, mentre il terzo polo paga il prezzo altissimo della mancanza di una proposta politica unitaria. La maggiore novità si registra alla sinistra del PD e su di essa si aprirà un forte dibattito e un’accesa contrapposizione. La sinistra antagonista arriva al 7% beneficiando di un consenso che si è manifestato su candidature che hanno goduto di un forte supporto mediatico sulle quali, tuttavia, dal punto di vista politico qualche fondata riserva è più che legittima.    Intanto gli elettori che esercitano il loro diritto diminuiscono costantemente e la regola della minoranza che decide diventa la “normalità”.
Ad ogni competizione elettorale il problema viene riproposto senza che vi sia nessun seguito. Sembra ineluttabile il continuo calo dell’affluenza alle urne mentre in una parte dell’opinione pubblica si fa strada l’idea che la responsabilità è in fondo di chi non va a votare. È una risposta semplicistica a un problema complesso che riguarda tutte le democrazie c.d. mature e che rischia di mettere in crisi lo stesso fondamento del sistema democratico. Se un Paese come il nostro, che fino a pochi anni fa aveva percentuali di affluenza di tutto rispetto, oggi è sotto il 50% significa che vi è una forte disaffezione e che il processo mentale che induceva ciascuno a esprimere la propria scelta si è modificato profondamente. In quest’ultima occasione delle elezioni europee non si può neppure invocare la giustificazione che l’elettore si sia sentito spogliato del diritto di scegliere oltre al partito anche il candidato che potrà rappresentarlo. Il sistema elettorale europeo prevede le preferenze e tuttavia la percentuale dei votanti è arrivata sotto il 50% con numeri molto più bassi di quasi dieci punti nelle isole e nelle regioni meridionali. Eppure in Germania ha votato oltre il 64%, in Francia oltre il 51. Per quanto riguarda l’Italia in 15 anni vi è stato un calo di quasi 17 punti. Solo due anni fa alle politiche la percentuale era stata de 63,91%. l’Europa viene sentita molto lontana soprattutto dal popolo meridionale. Questo dato impone un maggiore impegno di chi crede nell’istituto comunitario per sollecitare il coinvolgimento e la partecipazione degli elettori.
Il Governo Meloni viene fuori dal voto rafforzato e, forse, in condizione di giocare un ruolo significativo nella formazione della maggioranza che dovrà esprimere il Presidente e la Commissione. Molto dipenderà dalla velocità del cammino che sembra avere intrapreso FdI per giungere all’approdo di un moderno partito conservatore che ha reciso ogni legame con le forze neo fasciste. Qualche segnale in questa direzione vi è stato, come la ferma condanna fatta dalla Presidente del Consiglio sulla responsabilità del delitto Matteotti in occasione del centenario dell’omicidio. Un ulteriore segnale potrebbe essere la modifica del ddl costituzionale sul premierato e la revisione dell’autonomia differenziata, introducendo sostanziali benefici a favore del sud. Il PD probabilmente avrà superato l’inghippo senza senso del c. d. campo largo, ma dovrà affrontare l’insidiosa concorrenza che viene dalla sua sinistra e che gli porrà notevoli problemi in politica estera per la posizione pro Ucraina e sul conflitto Israelo-palestinese, oltre che in materia di ambiente e risorse energetiche. Se le posizioni si dovessero radicalizzare andremo incontro a difficoltà crescenti di cui faremmo volentieri a meno.

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