L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA PORTA ALLA DISUNITÀ D’ITALIA

L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA PORTA ALLA DISUNITÀ D’ITALIA

di Giuseppe Gullo

Tranne novità non prevedibili, il prossimo martedì 23 gennaio il Senato voterà in prima lettura il ddl Calderoli che introduce nel nostro ordinamento l’autonomia differenziata. Secondo il testo in discussione le Regioni possono avocare a sé, con il consenso del Governo, 23 competenze e, tra queste, commercio con l’estero, istruzione (salvo alcune funzioni), tutela e sicurezza del lavoro, tutela della salute, alimentazione, ordinamento sportivo, protezione civile, governo del territorio, porti, aeroporti civili, grandi reti di trasporto e navigazione, produzione, trasporto e distribuzione dell’energia, valorizzazione dei beni culturali e ambientali.
Se si legge attentamente l’articolato si fa prima ad elencare ciò che resta allo Stato: Difesa e ordine pubblico, fisco, giustizia, politica estera ( in parte, il commercio va alle Regioni) e poco altro. Ma non è tanto questo. Ciò che colpisce e crea un giusto allarme è l’ovvia considerazione che è obbligato a fare chiunque in buona fede consideri quale sarà l’inevitabile conseguenza della legge in corso di approvazione. Sappiamo tutti che il nostro Paese procede a tre velocità. A scartamento ridotto dalla Sicilia alla Campania e sino alla Sardegna, più o meno alla stessa velocità che impiega un treno per collegare Messina a Trapani; a velocità normale nelle Regioni del centro, ad alta velocità nelle regioni del nord. In queste tre realtà, in ciascuna delle quali vivono molti milioni di abitanti, è tutto diverso: il PIL, il reddito pro capite, l’occupazione, il livello d’istruzione, la qualità della sanità, i trasporti, lo smaltimento dei rifiuti e la cura dell’ambiente, e tante altre cose, con l’unica eccezione dei flussi turistici, che, insieme a Roma, fanno segnare un grande vantaggio per il sud.
Questa situazione che riguarda anche due regioni già dotate di autonomia speciale, avrebbe dovuto indurre il legislatore, se veramente interessato a ridurre le differenze, a introdurre correttivi per implementare nelle regioni svantaggiate il livello dei servizi e di tutto il resto. Il Governo delle destre, sotto la spinta del Ministro Calderoli, già noto per essere stato il padre di una pessima legge elettorale (il c. d. porcellum), si sta muovendo in direzione esattamente opposta a quella che sarebbe stato politicamente saggio perseguire. La parola magica dell’autonomia differenziata sono i LEP, livelli essenziali delle prestazioni, che debbono essere comuni e uguali su tutto il territorio nazionale. Questo acronimo, fin’oggi solo indicato e di difficile comprensione per un comune cittadino, sarà specificato e riempito di contenuti, si dice, entro due anni dalla promulgazione della legge. Assisteremo ad un miracolo che consentirà alla Calabria, ultima regione d’Italia per reddito pro capite, di raggiungere l’Umbria o le Marche ? Siamo alla follia pura o alla mistificazione più becera.
Cosa avverrà concretamente? Ciò che è scritto, ma non è detto. Le regioni più ricche e dotate di migliori servizi miglioreranno ulteriormente il loro status, mentre le altre, e quelle meridionali in particolare, peggioreranno sempre di più. Autorevoli studiosi prevedono che, sia nel settore sanitario sia nella scuola, è molto probabile che le regioni più ricche offriranno compensi più elevati ai migliori docenti e ai medici più esperti causando uno spopolamento e un impoverimento delle strutture meridionali e un esodo ancora più marcato verso il nord. Questo sta già accadendo soprattutto in ambito universitario e nel campo della ricerca con un esodo verso università private e centri esteri nei quali ai nostri migliori ricercatori vengono offerti contratti ben retribuiti con buone prospettive di carriera legate al merito.
Scrive la Banca d’Italia, nella relazione sull’andamento economico del Paese nel 2023, che i risultati conseguiti sono ottimi rilevando che essi si sono concentrati nel centro-nord aumentando il divario tra regioni meridionali e centro-settentrionali. Questi sono dati certi, inconfutabili e tali da richiedere una autonomia differenziata esattamente opposta rispetto a quella proposta dal Governo. Come? Utilizzando la leva fiscale per trattenere ed attirare i giovani in cerca di occupazione. I contributi dovrebbero essere abbattuti per un congruo periodo e gli investimenti favoriti con tassi agevolati rispetto al centro nord. Da tempo in alcuni settori come, ad esempio, quello sanitario e para sanitario e per i laureati in materie scientifiche, l’offerta di lavoro è superiore alla domanda. Non è così nel meridione dove ingegneri, chimici, matematici, fisici restano per anni disoccupati tranne che non scelgano di andare via. Il fondo di perequazione nazionale dovrebbe essere modificato assegnando al sud maggiori fondi soprattutto per istruzione e sanità. Oltre all’aspetto politico-sociale, la proposta Calderoli contiene evidenti elementi di incostituzionalità di cui si occuperà, speriamo presto, la Consulta. Essa mina gravemente il principio dell’unità dello Stato e della sua integrità.
Se l’autonomia differenziata dovesse diventare legge, com’è purtroppo molto probabile, la repubblica “una e indivisibile” di cui all’articolo 5 della Costituzione subirebbe un colpo mortale e sarebbe invece sancita la disunità della Repubblica con tutte le ovvie conseguenze. Tra queste una sta prendendo corpo sul piano politico, e cioè la comparsa di tanti Masaniello, più o meno consapevoli di esserlo, che spaccano i partiti, creano movimenti qualunquistici, si nutrono del peggior populismo coniugando volgarità, prepotenza, vuoto torricelliano e folclore.

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