LA SECONDA PRESIDENZA DI TRUMP, TRA SPERANZE E TIMORI

LA SECONDA PRESIDENZA DI TRUMP, TRA SPERANZE E TIMORI

di Giuseppe Gullo

Non sapremo mai quali sono stati i fattori determinanti che hanno dato origine alla vittoria a valanga di Trump. Il personaggio è talmente controverso, imprevedibile, discusso e folcloristico da autorizzare qualunque congettura. Nell’attesa preoccupata di vedere come concretamente cambierà la politica americana e quali conseguenze avrà in tutto il pianeta il radicale cambiamento preannunciato, alcune considerazioni nascono spontanee. I Democratici hanno commesso una serie di errori gravissimi da dilettanti allo sbaraglio. Dopo avere puntato sulla ricandidatura di Biden, a 40 giorni dalle elezioni si sono accorti di ciò che era evidente a tutti: il Presidente non era fisicamente in condizione di svolgere le alte funzioni alle quali chiedeva di essere confermato. Nell’ultimo anno almeno, nonostante le cautele, gli interventi dei collaboratori, i sostegni farmacologici e materiali, chiunque si rendeva conto che lo stato di salute del Presidente era fortemente peggiorato.
A quel punto sarebbe stato necessario interpellare i dirigenti e la base del Partito per scegliere il candidato che potesse essere in grado di contendere con successo lo scontro elettorale. L’averlo fatto all’ultimo momento con una scelta quasi obbligata è stato esiziale. La Harris per quattro anni era stata un’ombra. Pur ricoprendo un ruolo di grande rilievo, e ancora di più come vice di un Presidente fisicamente e politicamente gracile, non ha mai assunto posizioni significative, né in politica estera, né negli affari interni, dando l’impressione di non avere sufficiente personalità e capacità di iniziativa. I suoi sponsor puntavano evidentemente sul fatto che potesse dimostrare qualità diverse nel momento in cui fosse stata investita di responsabilità dirette e al massimo livello. Così non è stato e i risultati lo dimostrano. Probabilmente sarebbe stato meglio fare una scelta di rottura rispetto all’amministrazione Biden cercando di recuperare consensi tra le fasce sociali più deboli. La scelta della Harris invece ha avuto il significato di una continuità non apprezzata e di una chiusura del gruppo dirigente democratico rispetto alle istanze della popolazione marginalizzata e discriminata. Il tentativo di escludere Trump dalla competizione elettorale per via giudiziaria dalla quale i democratici non hanno preso le distanze, come avrebbero dovuto, è stato un boomerang. La vicenda dei dossier riservati è stata gestita talmente male da sembrare il classico espediente al quale fa ricorso chi non sa che pesci prendere. In una società come quella americana, nella quale i grandi apparati vedono e sentono tutto o quasi, chi potrebbe mai pensare che un ex Presidente lasciando la Casa Bianca abbia portato con sé chissà quali fascicoli top secret? Se in Italia vi sono ottocento mila persone sotto controllo è lecito pensare che negli USA siano otto o dieci milioni e nessuno si stupirebbe.
Cosa dobbiamo aspettarci dopo la vittoria di Trump? Nessuno può dirlo. L’ipotesi peggiore, per quanto riguarda i rapporti con gli alleati, è il raffreddamento dell’impegno americano nella Nato e la modifica dei rapporti privilegiati sia politici che commerciali con l’UE. Vi è poi il capitolo delle due guerre in corso. Trump ha visto il Presidente ucraino prima delle elezioni. L’impressione è che il nuovo Presidente non sia del tutto convinto delle ragioni di Zelensky. Per quanto riguarda Israele pare invece che vi sia maggiore sintonia con Netanyahu rispetto all’amministrazione uscente. Vedremo presto come andranno le cose. Oggi possiamo solo sperare che, come sostengono alcuni commentatori, gli apparati dell’amministrazione americana mantengano la barra dritta e che la realtà sia meno nera di quanto si creda. È accaduto in passato e speriamo che possa ripetersi.
La legge della Democrazia è inesorabile e deve essere accettata. Forse è questo il limite maggiore del Presidenzialismo e su di esso quanto è avvenuto in America dovrebbe far riflettere i fautori del premierato e dell’uomo solo al comando. Il parlamentarismo, con tutti i suoi problemi, resta pur sempre la massima garanzia conosciuta di equilibrio tra i poteri e, in definitiva, di vera democrazia.

 

Fonte Foto: Flickr.comGage SkidmoreCC BY-SA 2.0

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