
LA PROTEZIONE MILITARE USA NON C’È PIÙ, DEVE PENSARCI l’EUROPA
di Giuseppe Gullo
È finito il sogno americano? Il Paese delle grandi opportunità e della possibilità di emergere e diventare un self made man di grande successo mondiale è diventato uno Stato illiberale nel quale perfino i diritti fondamentali sono messi in discussione e sono a rischio? Stiamo assistendo al declino di quella che è stata definita la più grande democrazia liberale del pianeta? Domande legittime rese attuali dalla politica aggressiva e intimidatoria di Trump. Le risposte, tuttavia, richiedono ponderazione ed equilibrio, oltre che lo sforzo di comprendere, per quanto possibile, le ragioni di tutti.
I punti di partenza nell’approccio a questioni così complesse e delicate debbono prendere le mosse da alcune certezze della storia meno recente. Il contributo americano per la vittoria delle forze alleate nella Seconda guerra mondiale è stato decisivo. Le forze armate USA hanno pagato un prezzo altissimo in vite umane e in risorse economiche per sconfiggere Germania, Italia e Giappone. Dopo la fine della guerra si sono assunti il compito di sostenere economicamente la ricostruzione dei Paesi sconfitti che erano venuti fuori dal conflitto in condizioni disastrose, dalle quali si sarebbero risollevati forse in tempi molto più lunghi e con prospettive assai più incerte rispetto a quanto è avvenuto. Tutto questo ha richiesto consistenti contropartite in termini di concessioni militari da parte dei Paesi beneficiari degli aiuti, com’è avvenuto per le basi USA sul territorio italiano, e inoltre la partecipazione alla NATO e la solidarietà politica con il fronte occidentale in sede internazionale. Gli Usa hanno interpretato questo ruolo di Stato guida a modo loro, con eccessi che ben conosciamo e con ricorrenti conati imperialisti per i quali hanno pagato prezzi altissimi e subito sconfitte cocenti che hanno contribuito non poco a fare perdere il consenso di una parte dell’opinione pubblica mondiale più sensibile alla salvaguardia dei principi di autodeterminazione dei popoli. Corea, Vietnam, Afghanistan, Iraq hanno rappresentato negli anni esempi di interventi militari con milioni di morti la cui responsabilità è stata attribuita, con fondamento, alla volontà egemonica degli Usa.
Nel settore commerciale gli States hanno creato un sistema del quale erano il perno, che coinvolgeva l’intero mondo occidentale, il Giappone e altri Paesi vicini, con il quale hanno tenuto ai margini Russia, Cina, India e molti paesi non allineati. La crescita eccezionale dell’economia cinese e, in minore misura, di quella indiana e le contromisure adottate da quei Governi insieme al Brasile e ad altri in via di sviluppo, ha modificato sostanzialmente il quadro di riferimento innescando nuove prospettive e diverse alleanze. Nel contempo la Russia ha ripreso a coltivare l’idea di tornare ad avere sotto il suo diretto controllo alcuni dei Paesi che avevano fatto parte dell’URSS stabilendo rapporti politici e commerciali più stretti coi Governi che avevano aderito al BRICS.
In sostanza sia in campo militare che in quello economico-commerciale lo status successivo alla fine del secondo conflitto mondiale è andato in frantumi. Occorre dare atto che questi decenni sono stati per l’Europa occidentale e i paesi alleati degli USA il più lungo periodo di pace e prosperità nella loro storia. L’Italia ha subito perdite di militari impegnati fuori dai confini nazionali nelle c.d. missioni di pace, le più gravi a Nassirya, ma è stata del tutto estranea a qualunque partecipazione diretta a conflitti sia in Europa che in altre parti del mondo.
La rottura più grave dello status quo è stata l’aggressione della Russia all”Ucraina, ormai in corso da più di tre anni. Altri conflitti in giro per il pianeta non hanno lo stesso significato dirompente dei questa guerra che si svolge proprio nel cuore dell’Europa e che vede impegnata direttamente una potenza nucleare vincitrice della seconda guerra mondiale. La stessa guerra di Gaza ha motivazioni diverse sebbene produca effetti anch’essi molto gravi.
Su questo terribile scenario si è abbattuto il ciclone Trump, che con ogni evidenza non lo ha determinato quanto piuttosto rischia di aggravarlo. La novità più importante è che l’America dichiara di non volere più essere la garante della sicurezza europea dal punto di vista militare ed economico. È una novità dagli effetti dirompenti. Un dato rende l’idea delle dimensioni del problema. Gli USA contribuiscono alle spese NATO per 730 miliardi di dollari l’anno rispetto ai 24,4 dell’Italia e ai circa 170 complessivi di Gran Bretagna, Germania e Francia. Se gli States chiudono i finanziamenti o li dimezzano la NATO dovrà ridurre drasticamente la sua attività e sarà a rischio di chiusura.
L’Europa è in grado di sostituire gli USA in termini economici e di professionalità e preparazione del personale? Sicuramente no, almeno nell’immediato e forse per il prossimo quinquennio. Cifre delle dimensioni di quelle sopra indicate sono stratosferiche e comporterebbero un aumento della pressione fiscale sicuramente non sopportabile da parte dei contribuenti europei. A questo occorre aggiungere che l’addestramento e l’equipaggiamento delle nostre forze armate sono molto lontani da quelli USA con l’ovvia conseguenza che il livello di efficienza è molto più basso.
Le forze politiche italiane piuttosto che prendere atto di una situazione di emergenza e pensare a come venirne fuori hanno subito colto l’occasione per schierarsi su fronti contrapposti tra i partiti e all’interno di essi. I più agguerriti come sempre sono coloro che sembrano vivere nel paese dei balocchi. Niente esercito, niente armi, niente finanziamenti ma solo “fiori dentro i cannoni.” Se poi qualcuno dovesse attentare all’integrità del territorio nazionale e alla sicurezza di tutti, ci difenderemo con migliaia di ghirlande sperabilmente non listate a lutto.
I suggerimenti più appropriati arrivano dagli interventi del Presidente Draghi, il quale si sforza di fare intendere l’urgenza e la gravità del problema senza essere ascoltato e talvolta, come è accaduto alla Camera in una sua recente audizione, nella disattenzione dell’uditorio. Eppure, il riarmo, seppure a fini difensivi, dell’UE è una fondamentale decisione non più procrastinabile.
È tale sotto il profilo politico, in quanto rappresenta una svolta radicale rispetto alle decisioni assunte negli ultimi ottant’anni, e crea una forza militare a fini difensivi che tuttavia non ha unità e omogeneità di comando, pur contando su una potenza nucleare, la Francia, e su un colosso economico come la Germania il cui riarmo, che proprio la nascita dell’UE e dell’Euro tendevano a imbrigliare, fa venire i brividi, mentre il Paese europeo da sempre alleato degli Usa, la Gran Bretagna, appare come la moglie abbandonata all’improvviso in un ménage in forte crisi.
Lo è sotto l’aspetto economico, in quanto richiede il reperimento di risorse talmente rilevanti che uno Stato fortemente indebitato, come il nostro, potrebbe trovare solo con un prelievo forzoso straordinario o ricorrendo alla drastica riduzione delle prestazioni sociali.
Scenari tutti fortemente inquietanti rispetto ai quali la prima risposta delle forze politiche di maggioranza e di opposizione è quella di procedere in ordine sparso, dividendosi e facendo prevalere la tattica rispetto all’interesse generale.
Un’ultima considerazione. Nella querelle sullo spirito di Ventotene un punto è certo. Spinelli e Rossi ritenevano imprescindibile la creazione di un esercito europeo. Questa necessità si ripropone oggi in termini pressanti. Sono scelte che condizioneranno il futuro delle prossime generazioni e richiedono responsabilità e unità. Materiale molto raro di questi tempi, purtroppo!
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