LA METAMORFOSI DI DAVIGO, DA GIUSTIZIERE A GIUSTIZIATO
di Giuseppe Gullo
La sesta sezione della Cassazione ha definito il processo nel quale era imputato Davigo confermando la sentenza sul reato di violazione del segreto d’ufficio e annullando con rinvio la parte relativa alla diffusione a terzi dei verbali. La condanna di Davigo è pertanto divenuta definitiva per quanto riguarda uno dei capi d’imputazione e per conseguenza tecnicamente la “fedina penale“ dell’ex PM è quella di un pregiudicato. Concretamente non vi saranno effetti negativi per l’ex magistrato qualunque sia l’esito del nuovo giudizio davanti ad altra sezione della CdA di Brescia. Ciò che rileva, e molto, è il significato che assume la condanna definitiva di un simbolo della parte più intransigente dell’opinione pubblica, che ha sempre sostenuto che gli indagati, e a maggior ragione i condannati, dovessero essere allontanati da qualsiasi carica o responsabilità pubblica e dalla possibilità di interloquire sui problemi istituzionali del Paese.
È partita subito la controffensiva dei pro-Davigo. La reazione assolutamente intollerabile è quella di coloro che fanno parte dei “duri e puri” che, di fronte a questa vicenda, iniziano il gioco dei distinguo. È l’antico male della doppia morale, secondo cui se un certo comportamento viene assunto da un avversario politico o comunque da un soggetto che non rientra nel perimetro degli “amici”, è grave, scorretto, antidemocratico, sostanzialmente reazionario e contrario ai sacri e intoccabili principi di garanzia posti dalla Costituzione. Se al contrario proviene da un sodale, è la legittima espressione della libera volontà di quel soggetto che ha sicuramente finalità nobili volte a migliorare le condizioni della democrazia.
Nello specifico del caso Davigo, poiché non è possibile negare la realtà dei fatti e cioè una responsabilità penale accertata in via definitiva, viene introdotto l’argomento che per il dottor sottile parlano la sua vita professionale, il rigore e la serietà sul posto di lavoro, la lotta continua e senza macchia contro il malaffare. È esattamente il contrario di ciò che sarebbe opportuno dire in una simile contingenza. Sarebbe il caso di dire che l’Ego smisurato che ne ha contraddistinto tutte le fasi dell’ttività – tanto da affermare che vi sono solo colpevoli che bisogna andare a scovare, che chi viene assolto è solo uno che l’ha fatta franca, che i tre gradi di giudizio sono un’inutile perdita di tempo e che l’Italia va rivoltata come un calzino – lo ha portato a ritenere di essere al di sopra della legge e che non potesse essergli opposto il segreto istruttorio.
Il fatto è che sono stati creati miti fondati su qualità inesistenti o comunque artificiosamente ingigantite, attribuendo finalità etiche a comuni attività investigative nelle quali sono state talvolta utilizzate impropriamente forme restrittive o intimidatrici delle libertà personali per ottenere confessioni o chiamate di correo. Le nebbie cominciano a diradarsi. La vera natura di falsi eroi viene a galla e molto più sarà chiarito nel momento in cui gli archivi saranno accessibili e si conosceranno quelli che potrebbero essere stati gli obiettivi e i mandanti.
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