LA MANOVRA DI BILANCIO, TRA LUCI E OMBRE
di Giuseppe Gullo
La legge di bilancio è da sempre l’atto politico più rilevante e significativo del Governo. Su di essa si sviluppano le dispute più accese tra coloro che la sostengono, sempre e comunque, e quelli che la bocciano con pari nettezza. Chi si occupa di analisi politica ha l’obbligo di provare a dare un giudizio quanto più possibile aderente alla realtà e di trarne di riflesso le valutazioni in ordine all’azione e alle scelte della maggioranza. Con la necessaria riserva data dal fatto che l’iter parlamentare in corso potrà apportare modifiche anche rilevanti rispetto alla proposta esitata dal CdM. A sostegno della propria tesi i fautori degli opposti schieramenti mettono in evidenza gli elementi che giudicano favorevoli omettendo di indicare quelli di segno opposto e in tal modo componendo un puzzle con le tessere combacianti ma inevitabilmente monco.
La manovra che è stata annunciata ha chiaroscuri che meritano attenzione. Va dato atto al Governo di avere messo ordine nei conti cancellando due provvedimenti dei Governi a guida 5S che hanno creato voragini nel bilancio dello Stato: il reddito di cittadinanza e il bonus 110. Il primo fu varato dall’esecutivo giallo-verde e celebrato, in puro stile populista, con l’apparizione al balcone di Palazzo Chigi di mezzo Governo in festa che proclamava la fine della povertà in Italia. La realtà è stata molto diversa. Il RdC è costato ai contribuenti oltre 10 miliardi l’anno, ha avuto un’applicazione per c.d. “allegra”, ha favorito truffe solo molto parzialmente scoperte e ha incentivato la scelta di non cercare occupazione preferendo il sussidio senza battere il classico chiodo. Il secondo provvedimento, ben più costoso, sul quale il Governo è intervenuto è stato il bonus edilizio del 110% varato dalla maggioranza giallo-rossa, Conte ancora Presidente e Gualtieri ministro del Tesoro. Le cifre sono pazzesche, secondo fonti ufficiali oltre trecento miliardi. Anche se si volessero considerare veritiere alcune stime relative agli incrementi produttivi nel settore edilizio e non venissero conteggiati gli usi illegali dei finanziamenti, il buco sarebbe vicino ai 150 miliardi. Non era facile né scontato che queste misure sconsiderate venissero abrogate. L’averlo fatto è meritevole del giusto riconoscimento.
Sul versante fiscale viene confermato il cuneo che diventa misura strutturale e ne viene ampliata la platea dei beneficiari con vantaggi limitati ma pur sempre positivi. La pressione sui contribuenti resta molto alta soprattutto sul reddito fisso, mentre il contrasto all’evasione e al lavoro nero procede con difficoltà nonostante il miglioramento del relativo gettito. Secondo alcune stime pubblicate in questi giorni, l’evasione nei settori ristorazione, bar e caffetterie, lavanderie, autonoleggi, assistenza agli anziani e simili oscilla tra il 70 e 80%. Veramente incredibile! Vi è peraltro la prova che la percentuale indicata si abbassa notevolmente nel caso di farmacie e spese sanitarie, la cui parziale detraibilità induce l’utente a richiedere la fattura o lo scontrino fiscale. Se questa possibilità venisse estesa ad altre categorie, principalmente a quelle nelle quali l’evasione è più alta, è presumibile che la percentuale di evasione si ridurrebbe di molto.
Secondo importanti economisti non filo governativi, i conti complessivamente vengono mantenuti in ordine, il debito pubblico resta sotto controllo anche se su livelli comunque molto elevati, lo spread tende al ribasso e la previsione di crescita non molto lontana dall’1%, non esaltante ma comunque migliore di quella tedesca e francese. Questi sono dati di fatto sui quali si può storcere il naso ma che restano reali.
Quali sono i punti di caduta della manovra ? Il centro studi di Confindustria ha pubblicato un report in base al quale il nostro Paese avrà bisogno di 120.000 lavoratori extra comunitari in più ogni anno, presumibilmente per i prossimi dieci anni. Questa previsione contrasta con il numero effettivo di persone accolte che per l’anno in corso sarà di circa 20.000. Questi numeri impongono un cambio di approccio e di strategia rispetto a questo problema importante e delicato. È sotto gli occhi di tutti che l’Italia è un Paese di anziani e in decrescita demografica, e che i nostri connazionali non intendono fare alcuni lavori pesanti e mal retribuiti. Questa situazione è destinata a continuare con il conseguente aumento della domanda di manodopera non specializzata. Che senso ha proseguire in una politica di sbarramento all’immigrazione? Non sarebbe più produttivo concordare con i Paesi di provenienza maggiori contingenti annuali, chiedendo e facendo un attento controllo per evitare infiltrazioni terroristiche e di delinquenza organizzata? Che senso ha insistere in costose operazioni di collocamento in altre nazioni per poche unità di immigrati di cui potremmo peraltro utilizzare le capacità lavorative? o finanziare generosamente i Paesi nord africani per bloccare le partenze? Perché non provare a destinare questi fondi per incentivare l’inserimento dei migranti in alcuni settori in forte sofferenza come l’agricoltura? Le posizioni assunte dalla maggioranza su questo argomento sono sbagliate e in evidente contrasto cogli interessi del Paese, come sottolineato dall’associazione degli imprenditori.
Il Governo ha bisogno di trovare trenta miliardi per far quadrare i conti. Ritorna la promessa di tagli ai ministeri e la tassazione una tantum degli extra profitti delle banche. I primi sono una vera e propria araba fenice che si risolverà, come per il passato, in interventi di modesto rilievo a carico dei ministeri politicamente più deboli. La seconda, già inutilmente annunciata negli anni scorsi, seppure dovesse andare in porto, porterebbe benefici provvisori compensati da perdite negli anni successivi oltre a scoraggiare gli investitori specie stranieri.
Particolarmente infuocato il dibattito sui fondi destinati alla sanità. Il nostro Paese destina il 6,2% del pil al SSN. Cifra rilevante ma inferiore a quella dei Paesi più industrializzati. Ciò nonostante, come riconosciuto anche da un recentissimo libro firmato dalla Gabanelli, il nostro SSN resta uno dei migliori tra quelli dei Paesi sviluppati. Sicuramente è necessario aumentare le risorse da destinare al settore ma avendo obiettivi chiari. Anzitutto la formazione del personale sanitario e parasanitario. Il superamento del numero chiuso nelle università comporta forti investimenti per mettere le strutture in grado di ricevere un gran numero di studenti. È paradossale che alcune Regioni, come Calabria e Sicilia, abbiano necessità di assumere personale proveniente dall’estero e in qualche caso dall’altra parte del pianeta. Nel breve periodo è possibile intervenire con una migliore organizzazione dell’esistente ma è chiaro che se non si programma e si realizza un piano decennale che coinvolga le Università destinando fondi adeguati non si va da nessuna parte. Lo squilibrio di prestazioni tra le regioni e al loro interno si accentuerà con il conseguente inevitabile effetto di un ulteriore scadimento del servizio e di un maggiore ricorso alla sanità privata da parte di chi ha la possibilità di farlo.
Lo Stato impiega il 4,2% delle proprie risorse per l’istruzione. Rispetto ai Paesi più sviluppati si tratta dello 0,5% in meno della media. Recentemente con i fondi del PNRR è stato avviato il “progetto sud”, che ha l’obiettivo di colmare le ” lacune di molte scuole del Mezzogiorno che mancano di personale e materiali didattici“. Alla stessa stregua e con maggiori risorse dovrebbe essere varato un piano per la formazione universitaria soprattutto nelle facoltà scientifiche, e in primo luogo per medicina e personale paramedico e infermieristico. Negli ultimi dieci anni due milioni di giovani, prevalentemente laureati, hanno lasciato il Mezzogiorno per trovare altrove adeguato lavoro. La gran parte non è tornata nei luoghi d’origine. Così facendo il reclutamento di personale laureato in medicina da Cuba o dall’Argentina diventerà sempre più frequente invece di diminuire.
Il Governo naviga a vista senza fare grandi danni ma senza una visione strategica dei problemi che hanno necessità di essere affrontati e programmati nel medio- lungo periodo. Non è questo quello che serve all’Italia. All’orizzonte, purtroppo, non si scorge nessuna novità positiva che induca alla speranza.
Fonte Foto: pexels.com – Kaboompix.com – Licenza