LA LOGGIA UNGHERIA È SPARITA
di Giuseppe Gullo
Adesso è ufficiale. La Loggia Ungheria non è mai esistita, quanto è accaduto è stato frutto della mente malata di Amara, dei suoi inconfessabili e in certa misura oscuri interessi personali. In realtà qualche riscontro c’è, scrive Cantone, ma non è tale da consentire di parlare di loggia segreta, qualche interferenza sull’attività del CSM è stata rilevata ma essa non è stata frutto di un’attività programmata tendente a condizionare il funzionamento e le decisioni dell’organo di auto governo della magistratura ma solo il perseguimento di obiettivi, promozioni e incarichi dirigenziali da parte di singoli giudici. Non vi sono pertanto sufficienti riscontri per andare avanti nell’inchiesta che quindi deve essere archiviata. Questo e molto altro è contenuto nelle 167 pagine con le quali la Procura di Perugia, competente per le ipotesi di reato nelle quali siano coinvolti magistrati della capitale, chiede che si ponga fine definitivamente a questa vicenda che ha scosso profondamente i vertici dell’ordine giudiziario e delle più importanti procure italiane.
I verbali contenenti le deposizioni dell’avvocato siracusano, legale di fiducia dell’Eni e di molte altre importanti aziende dalle quali ha ricevuto compensi di milioni di euro, che due magistrati con l’esperienza di Storari e di Davigo hanno ritenuto esplosivi tanto da indurli ad entrare in aperto conflitto con i vertici della Procura di Milano che ritenevano colpevolmente inerte, in realtà contenevano solo il racconto di vicende personali di poco conto. I nomi importantissimi di alti magistrati, componenti del CSM, commis di Stato, altissimi dirigenti di aziende pubbliche e grandi professionisti erano frutto della fantasia di un volgare calunniatore il quale aveva con loro interlocuzione e frequentazione ma in modo occasionale e solo per una cena o un aperitivo e niente più di questo. Storari e l’aggiunto Pedio che avevano raccolto nell’inverno del 2019 le dichiarazioni di Amara e le avevano secretate ritenendole tali da potere creare vere e proprie crisi istituzionali se il loro contenuto fosse stato conosciuto, hanno preso un abbaglio indegno della loro fama e lo stesso Davigo, che di questo tipo di indagini aveva un’esperienza trentennale, nel leggerli, dopo averli avuti in modo illegittimo, non ha capito proprio nulla di quanto andava farneticando Amara. Eppure proprio per questa vicenda in questi giorni si sta svolgendo davanti al Tribunale di Brescia il processo che lo vede imputato.
Archiviazione dunque senza che nessuno dei presunti componenti dell’inesistente loggia abbia mai ricevuto un avviso di garanzia per evitare un inutile stigma. Il termine usato, derivato dal greco antico, è molto utilizzato in botanica per indicare la parte superiore del fiore e in letteratura per significare una macchia, una puntura che possa in qualche modo attribuire un segno negativo a chi lo riceve. C’è da compiacersi per tanta delicatezza degna della fragilità e della gentilezza dei fiori che viene finalmente utilizzata da una procura per evitare che un punto nero, una macchia, un nonnulla possa alterare l’immagine angelica e incontaminata di indagati potenziali che tale non saranno mai. Quale differenza, quanta diversa sensibilità rispetto ai tempi di inchieste passate alla storia recente e più lontana del nostro Paese allorché Presidenti del Consiglio in carica venivano avvisati a mezzo stampa! Adesso nella verde Umbria si evitano anche le punture che come si sa sono fastidiose e procurano un irritante prurito. Probabilmente, quando le circostanze lo richiederanno, in futuro, da quelle parti, per evitare qualunque disturbo si eviterà perfino di aprire un fascicolo contro ignoti.
Sapremo tra breve quale sarà la decisione del GIP sulla richiesta di archiviazione ma è facile prevedere che le conclusioni della Procura siano la premessa per la definitiva conclusione della vicenda, almeno per quanto riguarda la loggia fantasma mentre per Amara è presumibile che vi saranno conseguenze di non poco rilievo. Ma non tutto ciò che è emerso era privo di fatti che potrebbero configurare ipotesi di reato. Amara era riuscito ad agganciare Palamara ed è noto a tutti ormai che quando c’è di mezzo l’ex Presidente dell’ANM la puzza di bruciato si sente a miglia di distanza. A chi si era rivolto l’avvocato per tutelare uno dei giudici in servizio a Siracusa, sotto processo disciplinare, con i quali aveva messo in piedi il suo ben conosciuto e efficace sistema? A Palamara ovviamente che in materia di questioni giudiziarie era allo stesso livello della Santa dei casi impossibili per i credenti. L’ex PM, già a processo a Perugia, pur senza incontrare mai ,a quanto pare, Amara, si diede da fare da par suo parlando con il relatore del procedimento e chiedendo notizie al Presidente della Cassazione. Non ottenne nulla né , in effetti, chiese niente se non informazioni ma…..fu contattato e si mosse. Non avrebbe dovuto farlo e pertanto la Procura di Perugia su questo episodio continuerà le indagini. E’ vero che Amara millantava e si è inventato l’esistenza di una loggia che non c’era ma il rapporto con Palamara c’è stato e quindi occorre andare fino in fondo. In effetti l’ex componente del CSM chattava e interloquiva con centinaia di magistrati, politici , membri del CSM, uomini d’affari e imprenditori ma perfino con Amara….! Quest’ultima notizia , riportata dai maggiori quotidiani, non è stata resa pubblica dalla Procura di Perugia ma è frutto del solito sistema che consente la diffusione di documenti secretati, a conoscenza di pochissime persone, senza che si sappia come e perché. Mi chiedo: se un fatto è conosciuto da quattro persone chi può averlo diffuso? Difficile rispondere senza un algoritmo!
Un garantista ha sempre fiducia e rispetto per il lavoro di chi svolge una funzione delicata come quella di promuovere l’azione penale e di giudicare le azioni dei cittadini. Ha il diritto tuttavia di pretendere che l’attività delle procure e dei giudici siano contrassegnate da una uniformità di comportamento e di giudizio nei confronti di tutti dal più reietto al più potente e ricco. La bilancia deve pendere solo per il peso dei fatti non per altre ragioni, considerazioni o condizionamenti. Su questo principio non è possibile derogare o indulgere.
Mille dubbi potrebbero essere avanzati sul metodo Amara, sulle connivenze e le coperture che un oscuro avvocato di provincia è riuscito ad ottenere fino ad arrivare a fatturare decine di milioni di euro di parcelle e a diventare sodale di potenti esponenti di organi di rilevanza costituzionale. Ma non avrebbe alcun senso farlo se non quello di alimentare una sfiducia nell’operato della magistratura che ha raggiunto ormai livelli impensabili. Ciò che invece è fondamentale è mantenere alto il livello di attenzione sul fiume carsico che attraversa l’ordine giudiziario affinché emerga il torbido e restino solo acque trasparenti. E’ un’illusione? Forse ma ad essa non è possibile rinunziare.