LA LINEA ROSSA

LA LINEA ROSSA

di Giuseppe Buttà

La guerra in Ucraina, in corso da oltre un anno e sempre più a rischio di allargarsi ad altri paesi, interroga nel profondo la nostra coscienza. Tutti ci chiediamo se e fino a quando forniremo a quel paese armi e quante e quali. Ma, nel nostro Occidente – che Cirillo e Putin dipingono come terra del degrado morale, così come prima i comunisti lo definivano sede dell’oppressione capitalistica – solo in Italia pare ci siano molti che tendono a nascondersi dietro la cortina fumogena del pacifismo: è molto triste, ma non sorprendente, apprendere che il 50% degl’italiani non è con la Russia né con l’Ucraina e che il 45% è contrario all’invio di armi al Paese aggredito. Né sorprende che molti di essi si preoccupino oggi della durata della guerra, dell’invio delle armi, del pericolo nucleare, della pace universale mentre non se ne preoccuparono, anzi gongolarono, quando, a fomentare la guerra e a fare rischiare l’olocausto nucleare era l’invio di armi dall’URSS e dalla Cina in Corea, in Vietnam, a Cuba.
Dobbiamo purtroppo ammettere che il nostro Paese sta dimostrando ancora una volta di essere uno dei punti deboli – lo è stato già all’epoca della ‘guerra fredda’ quando una buona parte dell’opinione pubblica, antiamericana, pencolava verso l’URSS dove stava sorgendo il sole dell’avvenire – e ciò non è effetto soltanto della filosofia del «Francia o Spagna purché se magna» ma anche della faziosità endemica, e ancestrale, della nostra politica, pronta a dividersi anche di fronte alle forze esterne. I coristi e i solisti della pace pensano che la precondizione delle trattative sia la cessazione dell’invio di armi all’Ucraina ma non vogliono rendersi conto che il vero ostacolo al raggiungimento della pace sono gli obiettivi che si propone la Russia. E, comunque, essi pretendono che si segni la linea rossa oltre la quale non si vada nell’obbedienza agli “imperialisti americani”.
Alcuni – in particolare il “Trio Lescano” formato da Tarquinio-Santoro-Travaglio, con le voci soliste e stonate di Conte e Berlusconi – ci dicono, ci avvertono, ci implorano di ricorrere alla diplomazia per risolvere la questione territoriale tra Russia e Ucraina e, in nome della pace, si dichiarano disposti a cedere alla Russia tutto ciò che chiede (e che si è già preso o potrebbe prendere). Nel 2014 – dimenticando quanto fosse stato inutile e dannoso concedere i Sudeti a Hitler – il presidente Obama scelse ottusamente di non muovere un dito quando Putin invase la Crimea e mandò le sue truppe in Donbass per alimentare e sostenere la secessione di quelle regioni. La prova del nove dell’inutilità e della pericolosità del girarsi dall’altra parte, del lasciar mano libera a Putin e alla sua gang – Cirillo, Kadyrov, Prigozhin, Lavrov, Medvedev, etc. – è che, negli otto anni successivi a queste concessioni, Putin si è potuto riarmare per tentare di ricostituire il suo impero fino ai vecchi confini dell’URSS, dalla Georgia e dall’Ucraina alla Moldavia, all’Estonia: è la prova che, concedendogli oggi il dito, dovremo presto lasciargli in bocca tutta la mano. Fino a che punto tutto ciò non ci dovrebbe interessare?
Berlusconi e qualche suo seguace le sparano grosse sulle responsabilità di Zelensky. Per esempio Flavio Tosi sostiene che «non si può negare che Zelensky talvolta con le sue dichiarazioni, e soprattutto con le sue ultime richieste alla Nato di caccia da combattimento, non punta certamente a placare il conflitto. Al contrario, il rischio anche non voluto è poi quello di intensificarlo ed estenderne i confini. Zelensky prima di essere eletto presidente, era un comico, certamente si è trovato in una situazione tragica, delicatissima e di grande pressione, tuttavia credo sia lecito e opportuno chiedersi se è all’altezza di tessere la tela per arrivare alla pace». Forse Tosi e Berlusconi non sanno che, almeno nella mente di Putin, la tela per la pace è già fatta: è una “tela strappata”, è uno “smembramento dell’Ucraina” molto simile allo smembramento della Polonia sancito dal Patto Ribbentrop-Molotov.
A un tale coro pare si stia unendo anche il PD sotto la guida illuminata del nuovo segretario, Schlein, la quale si barcamena tra guerra e pace: «È necessario sostenere il popolo ucraino, non è in discussione. Ma non ci può essere sinistra senza l’ambizio­ne di costruire un futuro di pace. I conflitti non si risolvo­no solo con le armi». Con la speranza di vedere un «prota­gonismo forte dell’Unione Eu­ropea» e l’obiettivo di arrivare a una «conferenza multilate­rale di pace», la Schlein cerca di mascherare la svolta ‘pacifista’ sbandierando le sue ascendenze ucraine, ma non ci riesce perché, pur di colpire la Meloni per il suo ‘nazionalismo’, ricorda la sua storia familiare antifascista e antinazionalista e dà mandato al suo luogotenente, l’immarcescibile e onnipresente Boccia, di annunciare il progetto perché sia l’Europa a prendere il controllo sulla NATO e così sottrarsi allo ‘strapotere’ degli Stati Uniti nella determinazione delle strategia ‘atlantica’.
A parte le possibili considerazioni sulla utilità e realizzabilità di una tale proposta, non è sbagliato pensare che, con questo rigurgito delle pulsioni anti-americane dei vecchi comunisti, la Schlein stia pagando il suo debito elettorale ai vari Scotto, Bersani, etc., ma anche a Conte e ai 5S, che pare abbiano concorso alla sua elezione con una massiccia iniezione di voti. A essere onesti, bisogna ricordare che una tale linea è stata sostenuta anche da Romano Prodi che si è detto stupefatto – come la sua stessa faccia testimoniava – di come gli aiuti all’Ucraina non si stessero accompagnando a una linea diplomatica per fare cessare la guerra e ha esclamato: «non possiamo assuefarci a una guerra infinita!»
Per non parlare degli innominabili 5S e delle esternazioni di Berlusconi, potremmo dire che la palma delle acrobazie diplomatiche possa essere attribuita alla Lega che ha tentato di ritagliarsi uno spazio ‘pacifista’ per bocca del suo capogruppo in Senato: «piaccia o non piaccia, dobbiamo rispettare gli accordi internazionali … ma ci chiediamo se gli Stati Uniti e la NATO hanno una strategia per la pace? Chiediamo meno atlantismo in modo che l’Italia riprenda il suo ruolo di ‘esploratore’ … cara Meloni serve una riflessione sull’Ucraina: siamo ostaggi della propaganda bellicista …  noi siamo preoccupati per l’invio di armi sempre più potenti. Ma quali missili e quali caccia!» Il sen. Romeo forse vorrebbe mandare all’Ucraina solo i tricche-tracche e le castagnole; ma non si senta tranquillo: anche se mandasse all’Ucraina solo queste ‘potentissime armi’, egli non sfuggirebbe alle ire di Medvedev.
Bravi! Vadano a dirlo a Putin che ha concepito la sua ‘operazione speciale’ come una sorta di una nuova Holodomor, lo sterminio per fame con il quale Stalin piegò l’Ucraina alla dominazione sovietica.
Nell’intervista al Corriere e Repubblica, Papa Francesco esprime preoccupazione per il conflitto in Ucraina, a suo avviso diventata già «una guerra mondiale, cominciata a pezzetti … Perché le grandi potenze sono tutte invischiate». Ma non si può dire che la sua ansia per la pace venga chetata dall’atteggiamento dei russi, visto che aspetta ormai da più di un anno che gli si apra una ‘finestrina’: «Il secondo giorno della guerra sono stato all’ambasciata di Russia presso la Santa Sede a dire che ero disposto ad andare a Mosca a patto che Putin mi lasciasse una finestrina per negoziare. Mi scrisse Lavrov dicendo grazie ma non è il momento». Bergoglio però non ha mai ricevuto da Lavrov un’altra lettera in cui gli si dicesse ‘vieni, il momento è arrivato’.
Ora, il Papa, pur riconoscendo che la Russia agisce in funzione dei suoi ‘interessi imperiali’, pensa che la via per la pace sia quella di far tacere gl’interessi «degli imperi di altre parti. Proprio dell’impero è mettere al secondo posto le nazioni», attribuendo così all’Occidente la maggiore responsabilità della situazione attuale.
Tra le più stridule delle voci stonate vi è quella dell’ex ambasciatore Sergio Romano che non ha esitato a perdere la sua fama di esperto con una serie di affermazioni apodittiche e piuttosto criptiche consegnate in una recente intervista al Corriere della Sera: «Credo che anzitutto bisognerebbe interrogarsi sulle ragioni per cui questa guerra è scoppiata e quali sono le motivazioni che tendono a farne un conflitto quasi inarrestabile. Tenga presente che in questa guerra c’è una forte componente antirussa. In altre parole, è una guerra contro la Russia. Non è presentata come tale per una serie di ragioni, alcune giustificabili altre no, ma il Nemico c’è e per tutti quelli che sono impegnati nel conflitto quel Nemico è la Russia. Naturalmente la Russia si difende. Quelli che maggiormente hanno desiderato una guerra contro la Russia non hanno ottenuto, quanto meno per il momento, i risultati che speravano. La Russia si difende con una certa efficacia e a questo punto è diventato estremamente difficile per coloro che la desiderano e l’hanno desiderata mettere fine al conflitto».
Non si capisce bene se il sapiente e paludato ex ambasciatore voglia sostenere che a volere la guerra sono stati l’Ucraina e i suoi alleati e non la Russia; non si capisce se egli voglia sostenere che è la Russia a doversi difendere e non l’Ucraina. O, meglio, si capisce fin troppo bene che le serate di San Pietroburgo (per lui, di Mosca) hanno lasciato un segno oscuro sulla visione del mondo di Romano tanto da fargli sentenziare che la NATO avrebbe dovuto cessare di esistere alla fine delle ‘guerra fredda’. Per lasciare il passo alla Russia e alla Cina e a Al-Qaida?
Dino Cofrancesco propone una strada da seguire per la pace: «La Crimea a Putin ed il Donbass federale». È una proposta più sincera e più onesta perché esce dal generico rivelando i termini sui quali si fonda, ma, a mio avviso, è fondamentalmente impraticabile, e per tre ragioni: 1) Se federazione dev’essere, come anche a me piacerebbe, non si capisce perché la Crimea non dovrebbe farne parte e debba invece essere lasciata alla Russia; 2) a meno che non esista una nuova forma di federalismo che io non conosco, uno stato federale ucraino, comprendente sia la Crimea che il Donbass, dovrebbe essere fondata sui principi classici dell’indipendenza e dell’unità di politica estera, di difesa e finanziaria: sarà mai la Russia disposta a concedere a una federazione ciò che oggi nega all’Ucraina unitaria?; 3) una tale proposta, dice Cofrancesco, dovrebbe essere fatta da «un’Europa forte, indipendente, sovrana, quale auspicavano i federalisti dell’’800 e del ‘900, [un’Europa che non si accodi] sempre e in ogni contingenza politica, agli Stati Uniti e alla Nato che ne è il braccio armato oltre Oceano»: ora, una tale Europa non esiste e, se esistesse, dovrebbe a mio avviso restare sempre integrata nel sistema di alleanze dell’Occidente per evitare che il pilastro americano su cui oggi essa si regge venga sostituito da uno sino-russo.
Lucio Caracciolo ci ha spiegato come la guerra in Ucraina stia ridisegnando gli equilibri in Europa e che «il rumoroso rientro della Cina sulla scena internazionale … potrebbe inavvertitamente prolungare e inasprire il conflitto in Ucraina». Caracciolo è uno studioso di grandi capacità ma, talvolta, torna allo strabismo che gli fa vedere una realtà deformata: l’analisi è giusta, l’inavvertitamente è sbagliato; la Cina sa perfettamente che il suo cosiddetto piano di pace per l’Ucraina è un paravento dietro il quale si nasconde la sua strategia egemonica.
Ma ciò che è meno condivisibile della posizione di Caracciolo è questa sua ipotesi: gli Stati Uniti di Joe Biden sono interessati a stabilire un asse con la Polonia e i Paesi scandinavi per “alleggerire” il peso di Germania e Francia nella NATO. Secondo Caracciolo, «Per tenere i russi a distanza e i tedeschi a bada, la Polonia deve ospitare gli americani in casa e abitare da coprotagonista la casa europea dell’America che è l’Alleanza Atlantica in espansione».
Non c’è dubbio che a Washington servano alleati in Europa «capaci di partecipare al contenimento della Russia senza pretendere troppo dall’America» e ciò perché, se è vero che gli Stati Uniti sono legati alla Gran Bretagna da una relazione speciale e che in Europa cercano partner strategicamente più affidabili, ve ne sono altri molto meno affidabili o perché inseguono la loro ‘grandeur’ o la loro ‘ostpolitik’ o perché sono infiltrati da forze antiamericane.
Il direttore dell’Avvenire, Tarquinio, dice che l’Occidente manda armi all’Ucraina per fare la guerra per procura alla Russia e insinua perfidamente che gli Stati Uniti stiano dissanguando gli ucraini per soddisfare gli sporchi interessi dei fabbricanti di armi: sono quasi le stesse parole usate da Putin che ha accusato gli Stati Uniti e la Gran Bretagna di voler fare una guerra alla Russia fino all’ultimo ucraino. Il povero Tarquinio, dicendosi disperato per le sofferenze che la guerra comporta, fa finta di non capire che è necessario aiutare l’Ucraina a difendersi; fa finta di non capire quale sia la posta in gioco e pensa che l’Occidente si sia impegolato in Ucraina con il falso alibi della difesa della democrazia e che, ipocritamente, non vede i 197 conflitti in corso nel mondo e si volta dall’altra parte: egli sa di dire una grossa sciocchezza ma, infuocato dal suo anti-occidentalismo, la dice lo stesso. Allo stesso modo, Amnesty International, accusa l’Occidente di avere un doppio standard tale da chiudere gli occhi davanti alla Cina o altri paesi che ledono i diritti umani e la democrazia. Se, con ciò, Tarquinio e Amnesty intendono dire che, spesso, la politica dell’Occidente è quella del non intervento in situazioni di crisi, scoprono l’acqua calda; certo l’Occidente non intende, e non può, essere il ‘poliziotto del mondo’; altra questione è invece l’equilibrio e la sicurezza: allora, se vuole continuare a esistere e a difendersi, l’Occidente deve mettere in giuoco tutto il suo peso là dove occorre: in Ucraina, in Medio Oriente, nel Pacifico, in Africa.
Nessuno di questi volenterosi ‘operai della pace’ – antioccidentali perché antiamericani – ha però chiesto che si segni anche la linea rossa che la Russia non deve varcare: la linea oltre la quale tutti, essi compresi, dovremmo essere disposti a batterci per fermare la volontà revanscista-imperialista chiaramente annunziata nel discorso che Putin ha fatto il 21 febbraio scorso davanti a una turba di gerarchi ossequienti: tentando di formare un asse con la Cina e, forse, con l’India, egli ha lanciato un progetto per scardinare l’Occidente.
Un progetto che è stato discusso quando il presidente Xi Jinping – latore di un ‘piano di pace’ per l’Ucraina che ha tutta l’aria di un diktat pro-russo – è stato in ‘missione’ a Mosca dal 20 al 22 marzo per concordare con Putin «un ulteriore sviluppo delle relazioni di partenariato globale e dell’interazione strategica tra Russia e Cina». I due, fiutata la loro consanguineità di dittatori comunisti, hanno varato un piano pomposamente chiamato ‘nuovo ordine mondiale’; un piano che, indorato di miele ucraino per fare inghiottire alla Russia il rospo cinese, intenderebbe sacrificare l’Ucraina o gran parte di essa e la sua prerogativa di stato sovrano alla conquista russa e alla pax cinese. Sulla pace in Ucraina Xi Jinping è stato chiaro: «La risoluzione del conflitto in Ucraina sarà possibile se le parti seguiranno le linee guida del concetto [cinese] di sicurezza collettiva».
A questo punto dovrebbe essere a tutti chiaro che la guerra in Ucraina non è soltanto una questione di confini, di minoranze etniche o di piccoli interessi economici: è una prova di forza che la Russia sta facendo – anche per conto della Cina – per misurare la nostra capacità di resistenza; una cartina al tornasole per trovare i punti deboli dell’Occidente e provare a dividerlo. Sappiamo benissimo che l’Occidente non è un mondo perfetto e non abbiamo bisogno che i vari Tarquinio ce lo ricordino: nemmeno il Vaticano è perfetto ma ciò non significa che lo si debba demolire o lasciare ai suoi nemici.
La democratizzazione delle relazioni internazionali, di cui la Cina si fa paladina (ma la Cina sa forse qualche cosa della democrazia?), e il multilateralismo sono certamente obiettivi da perseguire ma l’equilibrio mondiale richiede il rafforzamento e l’unità dell’Occidente e non il suo indebolimento. Di fronte al dilemma guerra o pace, un Occidente diviso e indebolito consegnerebbe il mondo ad altre egemonie, alla Cina che non cessa mai di perseguire i suoi obiettivi anche con i più paradossali machiavellismi quali il vertice pechinese tra Cina, Arabia Saudita e Iran. È per questo motivo che il mondo occidentale dovrebbe restare unito; è per questo motivo che l’Unione Europea si dovrebbe rafforzare dentro l’Alleanza atlantica invece di cercare la ‘terza via’ che ne farebbe invece una pedina dell’asse russo-cinese; ci spiace ma dobbiamo ammettere che la pace non si costruisce con le parole – nemmeno con quelle sagge del Papa – ma, ahimè, solo mostrandosi decisi a difendersi: a costo di una nuova ‘guerra fredda’, di un nuovo ‘equilibrio del terrore’ che ci assicurarono la pace instabile del dopoguerra.
Bisogna che i pacifisti si rassegnino al ‘realismo’.

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