LA CRISI ECONOMICA *

LA CRISI ECONOMICA *

di Guido Di Massimo

C’era stata un’opera di moralizzazione unica: nessuno rubava più niente. Avvennero cambiamenti inimmaginabili e cose che a volte avevano raccontato i vecchi nell’incredulità generale. Si cominciò con il lasciar le case aperte o con la chiave nella toppa, in modo che anche in propria assenza un amico in visita potesse entrare, accomodarsi e aspettare; e si continuò con lasciare aperti i negozi, anche in assenza dei proprietari; dalle gioiellerie scomparvero i sistemi di allarme e blocco di porte e casseforti; dalle banche scomparvero vetri antiproiettile, vigilanti armati, telecamere a circuito chiuso e tutti quegli strumenti che prima servivano a scoraggiare furti e rapine. Alcune banche dovendo rinnovarsi o cambiare sede, aprirono gli uffici all’aperto, e la loro unica preoccupazione fu quella di creare ripari per la pioggia e il vento ed evitare i danni che potevano provocare gatti, cani randagi, uccelli ed altri animali che inavvertitamente avrebbero potuto  creare scompiglio tra carte e banconote; che per questo solo motivo era sconsigliato lasciare sui banconi. L’unico pericolo di furto veniva dalle gazze ladre, ma per queste bastava non lasciare in giro cose che brillavano o luccicavano. Poliziotti e vigilanti armati continuavano a girare più per abitudine che per necessità, e i turni di pattuglia cominciarono ad essere chiamati “turni di passeggio”.
Cambiò completamente il modo di vivere e sembrò d’aver toccato il cielo con un dito. Alcuni dati statistici però cominciarono a preoccupare e da alcuni settori economici iniziarono a sentirsi malumori; si ebbero anche moti di piazza e vennero fuori una quantità di problemi: in giro non si vendeva più nemmeno una pistola scacciacani; avevano chiuso prima le armerie e subito dopo le fabbriche di armi riversando sulle strade una quantità di disoccupati frustrati e avviliti; le compagnie dei vigilanti erano andate tutte fallite, così come quelle dei fabbricanti di vetri antiproiettile e di macchine blindate. Il Ministero degli Interni aveva ridimensionato il personale e, tranne una minoranza trattenuta per lavori d’ufficio, aveva licenziato tutti i poliziotti; le carceri erano ormai quasi vuote e anche i secondini, in attesa di essere cacciati via tutti, furono drasticamente ridimensionati. I pubblici ministeri, sia quelli d’assalto che quelli da ufficio erano preoccupati, così lo erano i giudici di sorveglianza, quelli tutelari, i giudici giudicanti e i cancellieri, che per questo si rivolsero al Consiglio Superiore della Magistratura che li rassicurò: erano inamovibili ed eliminabili solo mortis causa. E poi avevano tanti milioni di cause e processi arretrati che sarebbero stati bene per altri 73 anni. In ogni modo il CSM avrebbe proposto altri cavilli per ritardare ancora cause e processi che però correvano pericolo di esaurimento, più perché i topi mangiavano i fascicoli che per la conclusione di cause e processi; e per far durare di più i fascicoli avrebbero assunto una quantità di gatti affamati da rinchiudere a guadagnarsi da vivere negli archivi: ogni topo eliminato sarebbe stata una pratica salvata.
Anche le fabbriche di casseforti, chiavi, lucchetti, grimaldelli, piedi di porco, coltellacci a serramanico, antifurti, reti metalliche di protezione, tele rilevatori, visori notturni, sirene ecc. chiusero, così come chiusero gli allevatori e gli addestratori di cani da guardia e gorilla. E ogni ditta che chiudeva si portava dietro il fallimento di fornitori e subfornitori di materiali e servizi; si instaurò un processo a catena e la disoccupazione, prima quasi sconosciuta, arrivò al 65 % della popolazione; i disoccupati erano tutti i giorni in piazza a vociare ed avrebbero fatto cadere il governo se non si fosse corso subito ai ripari.
In gran segreto, per non allarmare nessuno fu deciso lo stato di emergenza. Altrettanto segretamente fu esaminata la questione e trovato in men che non si dica il giusto rimedio: reintrodurre nella società ladri e truffatori. C’erano sempre stati ed erano elemento essenziale e insostituibile; erano il lievito dell’economia: senza di loro la società era devitalizzata e morta. Sorse il problema del come reintrodurre ladri e truffatori, mestieri ormai aborriti da tutti, e di come giustificare moralmente l’operazione che, necessariamente, doveva essere “coperta”. Furono rapidamente decise azioni che riportarono l’economia alla floridità di un tempo: innanzitutto furono processati e condannati alla prigione perpetua gli evangelizzatori che avevano estirpato dalla società i mestieri di ladro e truffatore; le accuse furono di turbativa economica, attentato alla ricchezza della Nazione e disastro economico. Nel processo lo Stato si costituì parte civile e oltre alla prigione furono condannati al risarcimento dei danni. Poi la Polizia di Stato e la Guardia di Finanza furono incaricate di organizzare corsi accelerati e segreti per ladri e truffatori, che si dovettero importare dall’estero con la promessa di carriere mirabolanti. Infine, dovendo ridare al furto e alla truffa la corretta legittimazione sociale, fu istituita una commissione di studi che avesse appunto questo fine.
Il lavoro più interessante lo svolse proprio questa “Commissione per la Legittimazione del Furto”. Si mise al lavoro e presto nei giornali, in televisione, nelle università, nelle tesi di laurea, nelle riviste specializzate di diritto, giurisprudenza e storia cominciarono a essere dibattuti temi tipo “il furto come strumento di redistribuzione dei redditi”, “l’appropriazione indebita come passaggio di proprietà atipico”, “la truffa come elemento di vitalità economica ”, “se la proprietà è un furto, l’abolizione del furto comporta l’abolizione della proprietà: ce lo possiamo permettere?”, “nella storia ha lavorato per l’uguaglianza sociale più il furto che qualsiasi dottrina politica sull’egualitarismo”, “rilevanza economica delle tangenti”, “furto, truffa, appropriazione indebita e falso in bilancio come strumenti di giustizia sociale”, “protezione giuridica dell’appropriazione indebita”, “prevalenza dell’istituto giuridico del possesso su quello della proprietà”, “il diritto protegge l’iniziativa, il furto è iniziativa, il furto va protetto”.
La commissione istituì anche premi e borse di studio atte a sensibilizzare il popolo e in particolare i giovani; furono istituite cattedre universitarie di “furtologia” e furono nominati professori molti ricercatori e “cultori della materia”.
Presto i furti ripresero, così come le truffe, le appropriazioni indebite, i falsi in bilancio, le corruzioni, i pagamenti di tangenti e tutto quanto serve al paese per vitalizzare l’organismo economico: riaprirono le fabbriche di antifurto, pistole, vetri antiproiettile; riaprirono e si ampliarono le compagnie di vigilanti, furono assunti con decreti urgenti quantità enormi di poliziotti, nuovamente allevati ed addestrati cani da guardia e gorilla, riaperte e ampliate le carceri, ricostruiti secondo criteri di massima sicurezza banche, negozi di cambio e gioiellerie; solo nei palazzi di giustizia giudici e topi continuarono serenamente il loro lavoro di smaltimento dei processi senza scossoni.
L’economia si risollevò rapidamente, la disoccupazione cessò come d’incanto e una notte nella piazza centrale della capitale comparve il “monumento al ladro”, un magnifico grandissimo monumento in bronzo con sotto, scolpita nel marmo, la parola “GRAZIE”.

* articolo tratto dall’opera di Guido Di Massimo, “Il cane col papillon” (edizioni Robin), per gentile concessione dell’Autore

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