Il sistema giustizia alla prova dei referendum

Il sistema giustizia alla prova dei referendum

di Giuseppe Gullo

Il Presidente della Repubblica, nel messaggio inviato a Congresso del Consiglio Nazionale Forense, ha ribadito la necessità dell’approvazione delle riforme del sistema giudiziario entro maggio per non pregiudicare l’assegnazione dei fondi europei del PNRR. Il tempo disponibile è molto poco, le tensioni sono molto forti, e il pericolo che non si raggiunga un accordo significativo è elevato. Gli incontri si susseguono non solo in ambito parlamentare ma soprattutto con l’Associazione Nazionale Magistrati.

Il vero e decisivo tavolo della trattativa è quello con la rappresentanza dei magistrati i quali, com’è stato rilevato, non intendono in alcun modo consentire che sia approvata una qualunque modifica del loro status, per quanto marginale, che non sia preventivamente approvata dalla loro associazione. L’anomalia di una tale posizione è evidente e, per alcuni aspetti, eversiva. Il Bel Paese è abituato ad avere bocciature solenni e preventive di proposte che partono dal potere esecutivo e che debbono essere discusse e approvate dal Parlamento. I sindacati l’hanno fatto mille volte anche in tempi recenti, sebbene in misura ridotta rispetto a prima, per la diminuzione della loro influenza e rappresentatività.

Le organizzazioni degli imprenditori sono anch’esse aduse a criticare il contenuto di molti provvedimenti prefigurando scenari disastrosi per le attività economiche. E’ un dato in qualche misura fisiologico in una democrazia parlamentare di un Paese sviluppato, nel quale le forze economiche e sociali sono interlocutori naturali e necessari.

Nel caso dei magistrati la situazione presenta aspetti del tutto peculiari. In primo luogo la riforma dell’Ordine Giudiziario riguarda uno dei poteri dello Stato e sicuramente non può essere condizionata, come accade purtroppo, proprio da chi deve eseguirla. Non si tratta di una finanziaria o della riforma del catasto che, per quanto importanti, non impattano direttamente su diritti fondamentali e costituzionali come quello della libertà personale, dell’inviolabilità del domicilio, della corrispondenza, dell’espressione del pensiero solo per citarne alcuni.

In secondo luogo va considerato lo stato in cui si trova la magistratura da anni. Ciò che è emerso e che viene fuori di continuo con la forza di un soffione di gas mefitico, è la rappresentazione, probabilmente approssimativa per difetto, della melma nella quale si muove la parte della magistratura che realmente conta. Quando sento dire, per cercare giustificazioni, che non si può fare di tutta l’erba un fascio e che non possono essere posti sullo stesso piano i molti giudici che fanno il loro dovere coi pochi che fanno politica, affari e mala giustizia, mi viene da pensare che chi fa tali affermazioni cerca di coprire il sole con un dito. E’ chiaro che il Giudice delle esecuzioni o quello addetto agli sfratti per morosità o alla volontaria giurisdizione si occupa di questioni che non sono al livello d’importanza e di attenzione sociale come accade per la custodia cautelare, i reati di mafia o ndrangheta o sacra corona o di concussione, corruzione e per illeciti contro la pubblica amministrazione. La differenza è costituita dalla qualità del diritto tutelato e dalla funzione che svolge il magistrato. Abbiamo mille prove non contestate del fatto che alcune procure hanno regolarmente e documentalmente superato ampiamente i limiti delle loro competenze per finalità del tutto diverse da quelle istituzionali.

Solo per fare un esempio: se corrisponde al vero, e non mi risulta che vi siano state smentite, che la caduta del Governo Prodi, a seguito dei provvedimenti contro l’ex ministro Guardasigilli dell’epoca, fu decisa a tavolino per rispondere al “torto” subito dall’ex magistrato ed ex sindaco di Napoli De Magistris, come sostiene nel suo libro Palamara, è stato commesso un reato o no? Se i fatti sono diversi da come riferiti sarebbe opportuno sapere come sono realmente avvenuti. In caso contrario chi avrebbe il dovere di farlo, avrebbe dovuto procedere per accertare eventuali responsabilità.

In terzo luogo, è tempo che la politica svolga pienamente il suo compito cercando un punto d’incontro e di mediazione, se possibile. In caso contrario deve assumere le decisioni che ritiene opportune nell’interesse generale. Non è in discussione solo il problema dei fondi europei, importantissimo per il nostro bilancio ed anche per la credibilità del Paese nell’Unione Europea, è in gioco una buona parte dei diritti di ogni cittadino di avere una Giustizia equa, trasparente e in tempi ragionevoli.

La discussione in corso è su aspetti marginali che non sono in condizione di risolvere i nodi strutturali di cui s’è parlato inutilmente mille volte: separazione della carriere, valutazione della professionalità dei giudici, progressione delle carriere per merito, modifica della competenza in materia disciplinare, introduzione di nuovi criteri per l’accesso in magistratura, solo per indicarne alcuni.

Il sorteggio limitato o il collegio uninominale per l’elezione del CSM non risolve nulla o quasi, sebbene sia necessario cambiare l’attuale sistema che ha creato scandali vergognosi. Occorre mettere mano ai problemi veri per cambiare il volto, oggi profondamente sfregiato, della Magistratura, e forse in questa prospettiva, a mio giudizio, l’unica vera speranza sono i referendum.

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