IL SERVIZIO ‘MILITANTE’ DELLA SCHLEIN
di Giuseppe Buttà
Quando Elly Schlein espugnò la segreteria del PD – mai s’erano visti un ‘colpo di partito’ così ben riuscito e una vecchia ‘classe’ dirigente così ‘suicidaria’ da farsi defenestrare totalmente – ci chiedemmo se la sua insonne agitazione e la maschera identitaria del radicalismo di massa che lei avrebbe imposto al PD sarebbero state un bene per il Paese, ma eravamo sicuri che non lo sarebbero state per il suo partito; ci chiedevamo insomma se e fino a quando una organizzazione di gestione del potere come è quella del PD – definito da uno dei suoi maggiori sponsor, Carlo De Benedetti, «un partito di baroni imbullonati … una compagine che, dopo decenni di politica conservatrice, è difficile considerare ancora come progressista … un partito irriformabile, dilaniato e avvitato nei propri psicodrammi interni anziché proiettato nella soluzione di problemi reali» – potesse sopportare le bizzarrie della segretaria.
Oggi abbiamo la conferma della fondatezza della domanda. Il PD non è guarito dalla sua malattia ereditaria né è in grado di chiarirsi le idee dal momento che la testa della Schlein, come ha detto lei stessa nell’intervista rilasciata qualche mese fa al ‘New York Times’, è come un bazar disordinato di idee e “soluzioni ambientaliste e femministe” per demolire “un paese chiaramente patriarcale” e per promuovere insieme i diritti lgbtq+ e dei migranti in quanto, a suo dire, «diritti civili e diritti sociali sono strettamente interconnessi».
Ogni volta che la segretaria del PD si concede alla scena ci aspettiamo qualche novità. Non sul piano delle idee perché quelle della Schlein – che tra i suoi titoli vanta di essere una ‘donna che ama un’altra donna e che non è una madre’ ma una ex ‘sardina’ iscrittasi direttamente alla direzione del partito – sono già ben stabilite, consolidate e scontate, sono quelle del ‘progressismo’ fasullo e dei ‘social’, la fonte d’informazione e di formazione alla quale si abbevera avidamente.
La novità che possiamo aspettarci dalla Schlein è, al massimo, il calore dell’invettiva sia pure ancora da perfezionare nell’oratoria e nella gestualità – la volenterosa ex sardina deve ancora fare un corso di recitazione e studiare molto – o il colore della giacchetta indossata; ne ha tante, un’infinità, tutte dello stesso modello (immodificabile come quello della giacca di Mao) e però sempre sorprendenti: rosa pallido o verde inglese, rosso fuoco o grigio topo, fucsia o melanzana, gessato o a pois. Il bianco non le si addice.
È per questa sua sensibilità ai colori che la Schlein ama le sfilate – gay pride, manifestazione anti squadrista di Firenze, piazza dei ‘nuovi brigatisti’ col passamontagna arruolati da Grillo, tutte le adunate di Landini, etc. – e le riviste di moda.
Ma ora ci ha veramente sorpreso: Schlein ha lanciato la ‘lunga marcia’ dell’estate militante e non andrà in vacanza! Le resta soltanto da sostituire la sua divisa primaverile, la ‘giacchetta’; quella per l’estate militante, Elly potrebbe trovarla sfogliando ‘Vogue’.
Per non esagerare come fa Vincenzo De Luca – il quale dice che «la segretaria del Pd è una ‘cacicca’ ante litteram che consuma 300 euro l’ora per le imbecillità» e ha ridotto il partito «alla fame elettorale» – si potrebbe prevedere, parafrasando il titolo di un celebre film, che la chiamata alle armi per una ‘estate militante’ durerà una sola estate. Non tanto perché anche la ‘leva’ ha una sua durata ma, soprattutto, perché gli incursori paracadutati sulle spiagge rischiano di essere fermati sul ‘bagnasciuga’ se non ricacciati in mare a causa della scarsità di munizioni di cui saranno forniti; i capi ‘gruppettari’ dello stato maggiore della Schlein, tutti rappresentanti dell’armata brancaleone (sardine, Sel, Articolo 1, etc.) rientrata nel corpaccione del partito, pendono dalla bocca di Beppe Grillo e di Giuseppi Conte per le password da usare sotto gli ombrelloni: avendo così poco nel tascapane, i nuovi ‘militanti estivi’ al più potranno prendere la tintarella.
In mezzo a questo gran caos, i discorsi che Elly pronuncia davanti alla direzione del partito sono invece rassicuranti – e, allo stesso tempo, disperanti – con il refrain: «mettetevi comodi. Siamo qui per restare».
La segretaria ha dato fondo al suo politichese, maccheronico e farfugliato, per negare che il Partito Democratico non ha una ‘linea politica’; semmai, ha detto con tono accorato, «di contenuti siamo pieni ma siamo bravi a coprirli con le divisioni interne» e la sua strategia prevede appunto di mettere in campo una sorta di ‘organo di Stalin’ per «suonare lo stesso spartito e far emergere le 4.850 cose che abbiamo in comune».
Forse, la Schlein ha risolto anche il secolare problema della ‘quadratura del cerchio’ spiegando a tutte e a tutti – Elly non manca mai di rivolgersi al suo uditorio distinguendo le femmine dai maschi: a Ventotene si è pure inventato l’appello alle madri oltre che ai padri del federalismo europeo ma ha dimenticato le ‘madri surrogate’ – la «linearità del modello circolare» per abbattere la ‘mascolinità tossica’.
Non si può che compiangere chi, da quando l’ex sardina si è ritrovata nella stanza dei bottoni, al Nazareno non si fa altro che tentare di ‘spiegarne’ il pensiero per renderlo comprensibile e, anche, digeribile almeno per le varie fazioni del PD.
Il PD è infatti passato dall’alta cultura del Segretario Letta, professore parigino, a quella nazional-popolare dei cantautori citati dalla Schlein e, quindi, bisogna tradurre tutto quello che questa dice e fa perché sono appunto queste 4.850 cose che ubriacano i suoi malcapitati ascoltatori: sta dalla parte dell’Ucraina, però cerca la pace; fa opposizione dura sul PNRR e sull’Autonomia dopo averli confezionati; dice che la casa è un diritto ma da ‘tartassare’; vuole un reddito di cittadinanza elevato a potenza, cioè un reddito ‘universale’ (anche per i marziani?); vuole la ‘transizione verde’, che costa diversi miliardi ai cittadini, ma ‘in economia’; va al funerale e poi se ne pente; considera antiquato e populista l’armamentario ideologico dei 5S ma se ne vuole impossessare non solo per prendersene gli elettori ma anche per darsi un programma; e, per non dispiacere questi futuri compagni di ‘campo’, parla di ‘punt e mes’ anziché di MES e annuncia botte da orbi fiscali, specialmente sul patrimonio immobiliare. Ma questo, a essere sinceri, non è solo una carenza della Schlein: è il difetto genetico del PD.
Infatti, le arrampicate sugli specchi dell’alleato-guru Goffredo Bettini non bastano a dare nobiltà teorico-ideologica a questa guerra estiva; Bettini si chiede perché, nonostante i suoi difetti genetici, questa destra – e Meloni in particolare – riesca a godere del gradimento della maggioranza degli italiani (almeno nei sondaggi): «Non tutto può essere giustificato da un vento reazionario che spira a livello internazionale e, neppure, dalle divisioni delle opposizioni; che pure pesano. L’impressione è che, nonostante tutto, il governo riesca a evocare e interpretare (in modo propagandistico, ma efficace) l’insofferenza dei cittadini rispetto alla confusione e alla paura che i processi di globalizzazione hanno diffuso in tutta l’Europa. Coglie, in questo senso, meglio della sinistra un desiderio di protezione e di tranquillità nel mare in tempesta. Sono messaggi diversi, ma a guardar bene, vanno nella stessa direzione. Europeismo minimo, nazionalismo, riaffermazione della famiglia tradizionale, la sicurezza (ora anche quella stradale), l’ostilità verso gli immigrati, un garantismo spinto che allude a ‘lasciar fare’, le tasse intese come una rapina di Stato. Potrei continuare. È un mescolamento generale di temi che prefigurano una vita meno esposta, non assillata da vincoli, complicazioni … persecuzioni».
In sostanza, il guru – ideatore di molte ipotesi politiche spesso pittoresche e nostalgiche tra le quali la riduzione del M5S a partito contadino polacco – questa volta coglie nel segno: il governo ha una linea politica sia pure, dice lui, sbagliata; la sinistra non ne ha alcuna.
Mancando di meglio, allora l’estate militante ha avuto il suo debutto con temi avvincenti e politicamente di grande rilievo offerti dal fondo del barile raschiato fino all’ultimo deposito di melma: la denuncia presentata da una ragazza contro il figlio del Presidente del Senato, La Russa è divenuta l’arma segreta. Cambiando pelle, anziché giacchetta, nei giorni scorsi la Schlein si è avventata contro il La Russa padre – reo di aver sollevato qualche dubbio sulla veridicità dell’accusa di violenza sessuale mossa contro suo figlio – dicendo che «è disgustoso sentire dalla seconda carica dello Stato parole che ancora una volta vogliono minare la credibilità delle donne che denunciano una violenza sessuale a seconda di quanto tempo ci mettono, o sull’eventuale assunzione di alcol o droghe, come se questo facesse presumere automaticamente il consenso. Il Presidente del Senato non può fare vittimizzazione secondaria: destra patriarcale; così La Russa mina la credibilità di tutte le donne».
Forse alla progredita e giovane Schlein sarebbe piaciuta una ‘destra transgender’ e, delusa, ha perciò fatto uno sforzo immane per mettere in campo il concetto di ‘vittimizzazione secondaria’, ma ha mostrato chiaramente di non saper distinguere il suo disgusto dal diritto di difesa che ha l’accusato: poveri noi!
Comunque, Schlein non è rimasta da sola; il plotone d’assalto era formato, tra gli altri, dal ‘brillante’ Travaglio che ha appioppato al malcapitato La Russa padre un reato gravissimo – interrogare il figlio per conoscerne la versione dei fatti «è abuso di potere clamoroso perché lui è il politico più importante dopo Mattarella» – e dalla ‘vestale’ Rosy Bindi che, «nel rispetto più assoluto del rapporto padre-figlio», ha inchiodato la seconda carica dello Stato al silenzio: non doveva prendere le difese del figlio esibendo la sua professionalità avvocatesca e «mostrando mancanza assoluta di rispetto per le donne che subiscono violenza in ogni parte del mondo».
Non ricordo che Schlein, Travaglio e Bindi abbiano detto una sola parola sugli sproloqui del Grillo padre in favore del Grillo figlio.
Ah, già! Il Grillo padre non era Presidente del Senato! E, allora, forse ha ragione Giampiero Mughini il quale – «dato che in Italia la gran parte del discorso pubblico è influenzato dalle appartenenze ideologiche, niente di più facile che il destino processuale del figlio del presidente del Senato sia condizionato dal marchio politico di La Russa padre» – paventa che il processo all’Apache La Russa sarà un processo a suo padre, a prescindere dalla ‘violenza sessuale’.
Le premesse ci sono tutte: le grandi ‘libertarie’, le attiviste di ‘Non una di meno’, hanno già affisso per le strade di Milano la sentenza di condanna: «La Russa padre e La Russa jr: i violadores siete voi. Vogliamo cacciare La Russa da ogni incarico pubblico, vogliamo chiusi i locali della famiglia e lo studio legale su cui si fonda il loro potere economico e politico, vogliamo requisiti i loro soldi affinché siano devoluti ai centri antiviolenza».
L’esecuzione della pena avrà forse luogo a Piazzale Loreto.
Viene dunque il dubbio che, se La Russa non avesse espresso i suoi dubbi, gli strateghi dell’estate militante, ne avrebbero subito dedotto un’ammissione di colpevolezza sì da non perdere l’occasione di sferrare l’offensiva nelle varie direzioni aperte dai ‘guastatori giudiziari’ – Santanché, Delmastro, Dell’Utri-Berlusconi (in memoriam).
Nei giorni precedenti a questo fortunato casus belli che ha dato inizio all’estate, eravamo stati sorpresi e colpiti dalla genialità del pensiero militante della Schlein. Avevamo infatti creduto che le sue idee fossero solo di seconda mano, ma abbiamo dovuto ricrederci e prendere atto che, di giorno in giorno, Elly fa progressi nella formulazione di un ‘poderoso’ aggiornamento della teoria della lotta di classe, già da lei innovata incorporandola nella lotta lgbqt+: l’inabissamento del batiscafo che andava alla ricerca del relitto del Titanic le ha dato occasione per dettare un corollario – anche se, a quanto pare, deve contendere il copyright a Barack Obama, Richard Gere, Massimo Cacciari, maestri di supponenza elevata a ὕβρις – che cambierà la storia futura di questa teoria: «Mi auguro che si trovino quelle persone che andavano a cercare il Titanic in un sommergibile, ma mi fa impressione il dispiegamento di mezzi per la ricerca di 4 persone che comunque hanno pagato credo moltissimo. E trovo inaccettabile e ingiusto che l’altro giorno sulle coste greche non si sia mosso un dito per salvare 750 migranti che avevano solo la colpa di non tollerare soprusi, ingiustizie, torture e discriminazioni».
Ergo: non si muova un dito nemmeno per i ricchi!
Fonte Foto: Wikimedia Commons – CC BY-SA 4.0 – Sinigagl