IL PRESIDENZIALISMO, FORSE PROSSIMO VENTURO
di Giuseppe Gullo
Il Governo di destra apre, di tanto in tanto, la discussione su alcuni punti qualificanti del suo programma elettorale. Recentemente ripropone il tema del presidenzialismo in coincidenza con il sonoro schiaffone incassato dalla Presidenza di turno della UE che ha dichiarato di non voler sentire parlare della questione immigrati per tutto l’anno appena iniziato.
La riforma che dovrebbe introdurre il presidenzialismo, già a lungo dibattuta, presenta la novità che il Ministro Calderoli, titolare del Dicastero competente, ha dichiarato che la Commissione Bicamerale che dovrebbe predisporla, da molti evocata, inclusa la Presidente del Consiglio, si potrà fare solo a condizione che il PD sia d’accordo per la sua istituzione. E’ evidente che questa dichiarazione significa non farla, almeno fino alla prossima estate, se si considera che il PD è sotto congresso con una pluralità di candidati che parlano lingue diverse e che sono portatori di proposte tra loro distanti, in un evidente stato confusionale in esso compresa l’incertezza sulla data di svolgimento delle assisi. E’ chiaro che prima della primavera inoltrata non vi è alcuna possibilità che il Pd sia in condizione di dare una risposta su questo come su altre questioni politiche. Se così fosse, per pura ipotesi ottimistica, prima di arrivare alla concreta approvazione della legge istitutiva della Commissione trascorrerebbe sicuramente almeno l’anno appena iniziato. Si tratta con ogni probabilità di dichiarazioni tattiche che tendono a dimostrare una disponibilità di facciata ma che nella sostanza intendono creare solo fumo senza fare un solo passo in avanti alle riforme.
Peraltro le passate esperienze delle Commissioni bicamerali per le riforme sono state fallimentari. Le tre precedenti, presiedute da Bozzi 1982, De Mita 1993, e D’Alema 1997, conclusero i lavori con documenti rimasti lettera morta . La riforma fortemente voluta dal Governo Renzi e approvata dal Parlamento è stata clamorosamente bocciata dagli elettori segnando la fine di quel Governo e il declino politico del suo Presidente. Si è così andati avanti con pseudo riforme prive di un disegno organico, che non hanno affrontato i nodi dell’impianto costituzionale concepito dai Costituenti e che hanno lasciato le cose invariate se non peggiorate rispetto alla situazione preesistente. E’ il caso della riforma del titolo V entrata in vigore nel 2001 e di cui tutti quanti abbiamo potuto verificare l’inadeguatezza e la contraddittorietà in occasione dei drammatici eventi legati alla pandemia. Allo stesso modo la riduzione del numero dei parlamentari non ha modificato il processo di formazione delle leggi, il c.d. bicameralismo perfetto, l’ha anzi peggiorato producendo un appesantimento dei lavori parlamentari e delle commissioni. Basti pensare, ad esempio, che la Commissione esteri, già gravata di importanti impegni, dovrà occuparsi anche della Difesa, altrettanto impegnativa e onerosa. Questo modo di procedere, a mio avviso, è esattamente l’opposto di quello che sarebbe utile per garantire un iter legislativo, a un tempo rapido e ponderato, e un esercizio del potere esecutivo efficace e opportunamente sottoposto al controllo politico del Parlamento.
Il superamento del bicameralismo perfetto resta uno scoglio da superare. La riforma votata dal Parlamento nel 2016 prevedeva che il potere legislativo venisse esercitato dalla Camera dei Deputati alla quale sarebbe inoltre spettato il compito di dare o negare la fiducia al Governo, mentre il Senato sarebbe stato trasformato in organo rappresentativo delle Regioni e dei Comuni, composto da 100 membri in essi compresi cinque di nomina del Presidente della Repubblica. La riforma, che prevedeva anche l’abolizione del CNEL e varie altre novità collegate alle diverse funzioni delle Camere, è stata bocciata dalla maggioranza degli elettori e non è mai entrata mai in vigore. Il problema tuttavia esiste e non può essere ignorato. Il meccanismo costituzionale attuale rallenta fortemente i tempi di approvazione delle leggi ed è una delle cause principali dell’aumento esponenziale della decretazione d’urgenza che, di fatto, espropria il Parlamento del potere legislativo.
Le opposizioni parlamentari lamentano con vigore e anche con qualche ragione questa grave anomalia che altera l’equilibrio costituzionale tra i poteri dello Stato. Nel momento in cui diventano maggioranza e governano, però, ignorano quanto hanno aspramente criticato e seguono la stessa strada dei Governi precedenti. E’ quanto sta avvenendo anche oggi col Governo a guida dell’unico partito di opposizione nella precedente legislatura che al suo esordio ha perfino introdotto norme penali con decreto legge. Il fatto è che il ricorso al decreto legge diventa in qualche misura necessario, spesso con più di una forzatura, se si intende legiferare sollecitamente in qualunque materia. Ciò crea inevitabilmente una riduzione oggettiva dell’attività legislativa ordinaria e, a lungo andare, una invasione di campo del potere esecutivo in quello legislativo con le conseguenze che è facile immaginare. Le obiezioni che vengono avanzate rispetto ad una sostanziale modifica delle funzioni del Senato attengono alla necessità di garantire con la doppia lettura una maggiore ponderatezza delle deliberazioni nonché la possibilità di introdurre correttivi e modifiche. Il prezzo per tutto questo è troppo alto se si considera che con grande frequenza un emendamento, anche di poco conto, richiede il rinvio del provvedimento alla Camera che l’aveva già approvato con un andirivieni che nella prassi parlamentare è spesso lungo e defatigante. Oltre al fatto che il frequente ricorso al voto di fiducia strozza il dibattito e fa venir meno proprio quell’approfondimento che s’invoca.
L’altra questione, forse più importante e delicata, è quella della modifica dell’assetto costituzionale che conseguirebbe all’introduzione della Repubblica presidenziale. In molti sinceramente democratici vi è la preoccupazione che il Capo dello Stato o il primo Ministro direttamente eletto dal corpo elettorale possa far correre rischi alla democrazia. Il presidenzialismo, tuttavia, è ampiamente collaudato in stati di sicura fede democratica e ha dato buoni risultati sul piano dell’efficienza e della tempestività delle decisioni. Va detto che in Italia sono state fatte scelte che vanno in direzione del presidenzialismo, seppure a un livello istituzionale più basso, nel momento in cui è stata votata la legge che ha introdotto l’elezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti delle Regioni. È chiaro che sono responsabilità ben diverse rispetto all’elezione diretta del Capo dello Stato che diventa anche Capo del Governo. Così com’è inconfutabile che una simile elezione attribuisce all’eletto un potere che l’attuale sistema costituzionale non prevede. Vi è tuttavia la possibilità di introdurre delle forme di “garanzia” che sono mutuabili dai Paesi dove il Presidenzialismo esiste da molti anni e cioè il limite di due mandati e la loro durata che dovrebbe essere portata a quattro anni come negli USA. Dovrebbe inoltre essere introdotta la sfiducia costruttiva con l’obbligo di indicare il nuovo premier e la maggioranza che lo sostiene e inoltre modificare il bicameralismo paritario. Dovrebbe essere introdotta per l’elezione del Parlamento una legge elettorale proporzionale con preferenze, con collegamento di ciascuna lista a un candidato Presidente. Vi sono precedenti importanti ai quali fare riferimento: la riforma del 2016 per il superamento del bicameralismo paritario e le proposte sul Presidenzialismo presentate nelle passate legislature. Personalmente non credo che la strada per raggiungere l’obiettivo della Grande Riforma sia un’Assemblea costituente né una Commissione Bicamerale, quanto piuttosto un approfondito e aperto confronto in Parlamento da promuovere al più presto su specifiche proposte. Ciò che non è rinviabile è una seria e franca discussione su questi temi tenendo conto che non è un tabù quanto piuttosto la ricerca di soluzioni istituzionali adeguate al tempo che viviamo.