IL GOVERNO MELONI, TRA PROMESSE MANCATE E NUOVE EMERGENZE
di Giuseppe Gullo
Da qualche tempo i segnali che indicano che il Governo Meloni sta percorrendo la strada dell’involuzione e dell’improduttività sono continui e univoci . E’ questa la china che condurrà, con ogni probabilità, a una crisi che confermerà, anche per quello in carica, la “regola” di durata degli esecutivi nell’Italia repubblicana, 68 in 75 anni. Ed è utile che una tale affermazione venga sostenuta da un esame, il più possibile obiettivo, dell’attuazione del programma del Governo a distanza di 14 mesi dal suo insediamento.
La legge di bilancio, la prima interamente di questo esecutivo, non dà risposte a nessuno degli impegni presi dalla coalizione vincente nel settembre del 2022. La pressione fiscale è cresciuta di qualche decimale mentre la tanto declamata riforma fiscale resta ferma al palo, bloccata da vincoli che non consentono di modificare le aliquote e dall’incapacità o scarsa volontà di un serio contrasto all’evasione, specie nei settori dove essa è a molte cifre. La gran parte del gettito continua a provenire dal lavoro subordinato, mentre lascia di sasso il fatto che appena il 2% dei contribuenti dichiari più di 100000 euro di imponibile.
La riforma delle pensioni della tanto vituperata sig.ra Fornero viene rinviata di anno in anno, mentre arrivano preoccupanti segnali sulla tenuta del sistema pensionistico appesantito dalla crescita della durata media della vita. Si fa largo la domanda su quanto possa resistere l’enorme massa delle pensioni insieme a crescenti interessi da pagare per il finanziamento del debito pubblico mentre il calo della produzione comporta inevitabilmente minori entrate.
Sul PNRR si sta giocando la partita più rischiosa. Gli obiettivi fissati dall’Europa sono ravvicinati, 2024 e 2026, mentre la capacità dell’amministrazione centrale e di quella locale di predisporre progetti esecutivi è molto limitata e non potrà essere migliorata in modo significativo dalle nuove assunzioni di personale. E’ quanto sta accadendo nell’amministrazione giudiziaria nella quale, a fronte di oltre 11.000 nuove assunzioni, la produttività è aumentata di appena l’1%. Nell’incandescente mondo della Giustizia si sta consumando uno dei fallimenti più clamorosi del Governo Meloni e del suo Guardasigilli. Il programma era impegnativo e tale da dare risposte in senso garantista allo strapotere conclamato delle Procure e dei loro capi. Un lungo elenco che conteneva la separazione delle carriere, la creazione del fascicolo personale del giudice per poterne valutare la produttività, l’abbattimento della durata dei processi, in primo luogo di quelli civili, e dell’arretrato mostruoso che intasa Tribunali e Corti d’Appello, lo stop all’abuso in materia d’intercettazioni, la depenalizzazione dell’abuso d’ufficio, per citare alcuni punti.
Ebbene non solo nessuno di essi è stato varato, ma lo stesso Guardasigilli ha dichiarato che poiché l’interesse primario del Governo è l’approvazione della legge costituzionale che introduce il premierato, la riforma della Giustizia verrà dopo, il che vuol dire che resterà bloccata per un tempo indefinito e sicuramente molto lungo! Sembra incredibile, in attesa dell’iter parlamentare, molto complesso e dal risultato obiettivamente incerto, del ddl costituzionale, molto discutibile nel suo contenuto e con passaggi parlamentari molto travagliati che probabilmente lo riscriveranno profondamente, tutto ciò che era stato detto e promesso in materia di Giustizia resta in aria con grande soddisfazione dell’ANM che, infatti, si è subito acquetata continuando a occuparsi di difendere l’esistente.
La politica di contrasto all’immigrazione clandestina, se ve n’è una, è fallimentare. Mai tanti arrivi, mai così tanta confusione e approssimazione. L’accordo con Tirana, in sé non privo di positivi sviluppi, è stato realizzato con modalità da blitz delle squadre speciali, senza il preventivo e fondamentale assenso delle autorità Europee e senza coinvolgere anzitutto il Parlamento che dovrà comunque ratificarlo trattandosi di un vero e proprio trattato internazionale (art. 80 Cost.). Anche se mi ha ricordato, absit iniuria verbis, la decisione di alcuni anni fa di un Sindaco che per risolvere il problema dell’igiene cittadina pagava milioni di euro al mese per mandare i rifiuti all’estero pur di potere dire che la città era pulita sebbene mancasse di trasporti decenti, di una viabilità accettabile, di asili nido e di case popolari.
In politica estera la frenetica attività della Presidente del Consiglio non è sufficiente a colmare il vuoto di credibilità e di autorevolezza che caratterizza il Governo. Già la presenza nella maggioranza di un partito come la Lega, dichiaratamente filo russa, e la scarsa incisività delle posizioni italiane sul fronte dell’alleanza nord atlantica, sono limiti oggettivi che pesano. D’altro canto un piccolo Paese, come il nostro, ha sempre avuto seri problemi a giocare un ruolo importante in uno scacchiere nel quale conta la forza economica e quella militare. I freddi rapporti con la Francia e la GB accentuano queste difficoltà fino a renderci marginali in un momento in cui le guerre, che insanguinano territori a noi vicinissimi, richiederebbero una forte solidarietà tra gli Stati alleati. Già in anni abbastanza lontani, quando si discusse dell’unificazione tedesca, subito dopo la caduta del muro e l’implosione dell’URSS, le riserve italiane sulle modalità di riunificazione delle due Germanie vennero respinte come provenienti da uno Stato pur fondatore dell’UE, che non faceva parte di quelli che avevano vinto la guerra. Siamo ancora a quel punto o forse qualche passo indietro.
La strada è segnata. Cosa può rallentare una conclusione che va maturando ed è evidente nell’attività o meglio nell’inattività del Governo? Paradossalmente può essere l’opposizione a dare un involontario aiuto. Non emerge nel Paese una forza politica in grado di coagulare un sufficiente consenso per fare aprire una crisi. Le politiche sindacali non si rendono conto che il cittadino non sopporta più i continui scioperi in settori, come quello dei trasporti, che sono essenziali per consentire a chi deve farlo di programmare per tempo i suoi spostamenti. Non si tratta di mettere in discussione il sacrosanto diritto dei lavoratori di scioperare quanto quello di ribadire la necessità che ogni cittadino possa avere certezza che ogni venerdì non vi sarà uno sciopero locale, regionale o nazionale che rende le città ancora più invivibili e che costringe tutti a fare i salti mortali per affrontare le sue normali incombenze di vita e di lavoro.
Il Pd e 5S non possono fare i separati in casa che fingono di stare assieme, non si parlano e si fanno i dispetti. Troppe differenze in tutti i campi. Del c.d. Terzo Polo non si hanno tracce; c’è, non c’è? Non credo che il quesito tolga il sonno a qualcuno ma qualcosa dovrà pur essere detto a chi guarda a un’area riformatrice come potenzialmente capace di raccogliere un vasto consenso nell’elettorato di centro. Intanto gli indiani di ultima generazione (Geronimo), usciti dalla riserva, conquistano il palcoscenico di uno dei teatri più prestigiosi d’Europa, chi può manda i figli a studiare all’estero, dove magari ha già riserve finanziarie costituite legalmente o meno, la sanità privata sostituisce sempre più, pagando s’intende, quella pubblica, con qualche eccezione, così come l’Istruzione soprattutto universitaria.
L’Europa orientale brucia e il Medio Oriente esplode, mentre il nostro ceto medio s’impoverisce, i ricchi diventano sempre più ricchi, i poveri sono sempre più poveri, e i disperati non temono di morire ma di continuare una vita di stenti e privazioni.
Vogliamo spegnere l’incendio con i secchi?
Fonte Foto: Flickr – Ministero difesa – CC BY-NC 2.0 Deed