IL GOVERNO MELONI ALLO SCONTRO SULLA GIUSTIZIA
di Giuseppe Gullo
Il successo e la durata del Governo Meloni si giocano essenzialmente sull’esito dello scontro violentissimo che è in corso sulle riforme della Giustizia. Stiamo assistendo a un crescendo di polemiche, interventi, ammonimenti, lezioni vere o presunte di diritto e procedura penale che hanno preso vigore dalla cattura di Messina Denaro, ma che hanno un solo e chiaro obiettivo: bloccare in toto la preannunciata riforma di cui ha parlato in sede parlamentare, e anche fuori di essa, il Guardasigilli Nordio. Come sempre accade, quando il confronto diventa duro, scende in campo l’artiglieria pesante con tutta la sua potenza di fuoco. Assistiamo così quotidianamente all’intervento di qualcuno dei pezzi da novanta del variegato mondo giudiziario, per una volta unito, che detta la linea con affermazioni perentorie che non ammettono repliche e dissenso, ma pretendono di essere eseguite pedissequamente. La tribuna più autorevole a disposizione di chi deve fare sentire fragorosamente la propria voce, è La Repubblica, quotidiano di punta del gruppo GEDI apertamente schierato contro il Governo di destra, il quale ospita ogni giorno, insieme a pagine dedicate alla Giustizia, articoli di militanti e dirigenti del PD che stanno di fatto facendo il dibattito congressuale sulle pagine del giornale.
Sulle riforme della Giustizia, e in particolare sulla disciplina delle intercettazioni, sono state pubblicate con grandissima evidenza interviste e/o articoli del Procuratore di Napoli, di Roma, di Perugia, di Palermo, del sostituto di Napoli Woodcock, e articoli dei giornalisti di punta del quotidiano, tra cui Merlo, il cui pezzo aveva per titolo “Nordio Ministro di astio e Giustizia”, giusto per chiarire subito di cosa s’intendesse discettare. La corazzata fondata da Scalfari sta utilizzando tutta la sua influenza per attaccare Nordio con l’obiettivo di assecondare la linea dell’ANM, mettere in difficoltà e possibilmente in crisi il Governo e creare un vasto fronte di alleanze trasversali in nome della difesa a oltranza della legalità.
Quali sono in realtà i termini della questione? Gli obiettivi sono vari e differenziati. L’attacco alle proposte del Guardasigilli sulle intercettazioni nasconde, in effetti, l’assoluta contrarietà a modificare l’attuale stato di cose dell’ordinamento giudiziario. La separazione delle carriere, la limitazione dell’obbligatorietà dell’azione penale, l’argine agli abusi delle intercettazioni e alla loro pubblicazione sono per i magistrati vere e proprie blasfemie contro le quali portare avanti con ogni mezzo un’azione di sabotaggio. In tale contesto l’argomento intercettazioni viene ritenuto quello più favorevole per ottenere il risultato auspicato in quanto più facilmente suscettibile di ottenere l’appoggio della maggioranza dei cittadini. A questo fine, si fa leva sull’equivoco di fare intendere che le limitazioni degli abusi e delle fughe di notizie inciderebbe sull’azione di contrasto ai reati. Nessuno, né il Ministro né i responsabili dei Partiti, ha mai parlato di limitare l’uso delle intercettazioni per quanto riguarda reati di mafia e/o di criminalità organizzata.
La proposta, in verità, verte sugli abusi conseguenti ai decreti di concessione del mezzo investigativo e del suo contenuto relativamente a fatti e a persone estranei all’inchiesta. Per drammatizzare e creare panico si afferma che la cancellazione delle intercettazioni equivale a un’abrogazione di fatto dei reati, compresi quelli di corruzione. Da un altro versante, con diverse argomentazioni ma uguali intenti, si sostiene che la normativa già in vigore è sufficiente a evitare qualunque effetto distorto, per cui è del tutto inutile pensare a qualunque modifica. Nessuno è però in condizione di spiegare per quale ragione le notizie continuano a filtrare e i media sono pieni di notizie di puro pettegolezzo che nulla hanno a che vedere con l’indagine. Allo stesso tempo non è mai accaduto fino ad oggi che venisse scoperto e punito uno solo dei responsabili delle soffiate né che fosse preso un qualche provvedimento nei confronti delle testate che hanno divulgato le notizie, anche quelle provenienti da verbali secretati. La riservatezza sulle fonti e il segreto professionale sono una barriera insormontabile. Viene paventato il pericolo del bavaglio e della limitazione del diritto costituzionale all’informazione. Della violazione del diritto alla segretezza della corrispondenza, alla privata conversazione e alla vita privata non si preoccupa nessuno, come se fosse un prezzo necessario nel supremo interesse della Giustizia. Il grande occhio che tutto vede e l’orecchio che tutto sente sono i nuovi totem di chi non pensa di usare lo strumento investigativo per avere riscontri e conferme, quanto piuttosto per pescare in acque torbide qualcosa che possa costituire la premessa per nuove indagini che non hanno nulla a che vedere con quella da cui ha preso le mosse. Ascolta oggi, filma domani, metti oggi un troian e domani qualche cimice, qualcosa verrà fuori che possa giustificare i denari spesi e, secondo questa logica non accettabile, le violazioni della riservatezza dei cittadini.
Con buona pace degli sceriffi di casa nostra, le cose stanno in modo molto diverso e la Costituzione e le leggi impongono differenti comportamenti e attività di indagine che nulla hanno a che vedere con un permanente Truman Show in cui il reale è virtuale e viceversa e tutti siamo sottoposti ad un controllo fortemente limitativo dei diritti fondamentali. Altro che bavaglio e reati cancellati! E’ in gioco la stessa sopravvivenza dello Stato democratico e dei diritti, patrimonio della civiltà occidentale. Anche chi appartiene all’ordine giudiziario e pensa erroneamente che questi problemi non lo riguardino dovrebbe riflettere sul fatto che sempre più spesso magistrati vengono indagati e mandati a processo per ipotesi di reato connesse alla loro attività, e che le intercettazioni disposte ed effettuate su utenze di giudici in servizio vengono utilizzate per regolare conti in sospeso, stroncare carriere, bloccare aspirazioni senza che abbiano nulla da fare con l’inchiesta dalla quale sono partite. Siamo tutti in libertà vigilata?