Il diritto di associarsi liberamente in partiti è garanzia di libertà
di Marco Preioni
Direzione Nazionale Democrazia Liberale
La recente decisione della settima Sezione Civile del Tribunale di Napoli di sospendere cautelarmente due delibere dell’Associazione Movimento 5 Stelle – quella del 3 agosto 2021 per la modifica dello Statuto e quella del 5 agosto 2021 per la nomina del presidente, prof. avv. Giuseppe Conte – in esito (provvisorio) a una lite giudiziaria promossa da alcuni soci che erano stati esclusi dalla partecipazione al voto di quelle delibere, ha dato occasione di ritornare sul tema di un intervento legislativo per disciplinare la vita interna dei partiti, che alcuni ritengono inopportuno e anzi pericoloso, e altri invocano come indispensabile.
C’è chi alla mancanza di rigide norme collega, deprecandola, la formazione di partiti “padronali”; e c’è invece chi proprio alla libertà di forme ascrive il merito della politica di aver sorretto il sistema democratico nell’ultimo trentennio, dopo che erano venuti meno i partiti “ideologici” che avevano accompagnato tutto il corso della c. d. prima Repubblica.
A me sembra che, se la giustizia ordinaria è chiamata a intervenire in una lite interna a una partito, ciò vuol dire che già ci sono gli strumenti legali per la tutela dei soci e dei terzi, e che quindi non occorre una legge che si aggiunga alle norme esistenti
Gli eventuali conflitti politici vanno risolti in termini politici, mentre nei casi disciplinari provvedono gli arbitrati interni agli stessi partiti, e nei casi civilistici ci sono già i rimedi processuali che disciplinano tutte le associazioni non riconosciute, come sono per l’appunto i partiti politici.
La soluzione è già tutta nell’art. 49 Cost., quando dispone che “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a basta la politica nazionale“, senza alcun rinvio a leggi ordinarie di attuazione come invece la Costituzione espressamente fa in altri numerosi casi. Quindi i cittadini sono liberi di darsi le regole interne che vogliono, purché ovviamente non contrastino con le norme penali e civili di portata generale.
Non vedo poi come possa essere normato il “metodo democratico”, interno al partito, che non è elencabile in articoli di legge senza cadere in preconcetti ideologici potenzialmente riferibili a un “pensiero unico” e, per ciò stesso, illiberale.
È invece importante che la democraticità si eserciti nel “concorrere” alla politica nazionale, con chiaro riferimento alla “corsa” che i partiti fanno in competizione tra di loro, e che è già disciplinata dalla legislazione elettorale e dalla normativa sul finanziamento e sulla propaganda.
Tutelati, come già sono, gli associati, attraverso le giurisdizioni interne e comunque dalla giustizia ordinaria, e tutelati in ogni caso i terzi dalle leggi civili e penali, altre norme di settore non servono.
Anzi, esse finirebbero per irrigidire le forme interne di una libera associazione politica sino a ricalcare un modello unico di partito che finirebbe per risultare parificato a un organo dello Stato, spostando l’eventuale contenzioso verso giurisdizione amministrativa, o divenendo addirittura un potere dello Stato, come invece la Corte Costituzionale ha da tempo escluso.
Ci lamentiamo continuamente per la bulimia normativa in cui siamo immersi; vogliamo allora aggiungervi altre norme, con la burocrazia statale che controlla le decisioni interne dei partiti, generando ulteriori contenziosi di cui non si avverte alcun bisogno?
Vogliamo, in definitiva, assoggettare gli statuti dei partiti a una sorta di licenza preventiva contrastante con la libertà associativa sancita dall’art. 49 Cost., oltre ciò che già dispone, e in termini eccessivamente penalizzanti, la pignolesca normativa che disciplina i partiti politici ai fini del loro finanziamento?
Ragionando da liberale, direi che non sia proprio il caso!