Il circuito giudiziario-mediatico ignora la presunzione di non colpevolezza
di Giuseppe Gullo
Il Foglio, — commentando l’intervento del dot. Cascini, capo di Area, la corrente di sinistra dei Magistrati, al plenum del CSM, che discuteva la Riforma Cartabia per il sistema elettorale dell’organo di autogoverno dei giudici, — conclude amaramente che in un Paese normale quelle affermazioni avrebbero subito richiesto l’avvio di un’azione disciplinare nei confronti di chi le ha pronunciate.
Nella sede istituzionale più importante per l’ordine giudiziario, il Plenum, il dott. Cascini, PM a Roma, protagonista di tutte le più importanti vicende torbide che hanno interessato le nomine più importanti del CSM, sodale di Palamara che lo cita continuamente nei suoi memoriali, commentando la proposta del Guardasigilli in discussione alla Camera, ha affermato che essa contiene una norma che è “un fucile puntato alla testa dei PM”.
La proposta in questione è il divieto per i Procuratori e i sostituti delegati di rilasciare dichiarazioni senza rispettare il principio costituzionale della presunzione d’innocenza dell’indagato dando per scontata la condanna, creando quel sistema di gogna mediatica che ha consentito di celebrare i processi sui media dando in pasto all’opinione pubblica chi si trova dentro questo tritacarne.
La norma in realtà si limita a estendere ai capi delle Procure regole già in vigore per i sostituti, ampiamente e puntualmente disattese. Giova ricordare quanto ha scritto, a questo proposito, Palamara che in materia è sicuramente un esperto. L’ex Presidente dell’ANM individua tre elementi che creano l’immenso potere di un Procuratore: una sede importante, un paio di aggiunti e di ufficiali di PG in gamba e buoni rapporti con la stampa.
A nessuno viene in mente di intervenire, come si dovrebbe, sui primi due cardini indicati dall’ex componente del CSM. Si cerca di farlo col deterrente dell’azione disciplinare, sul terzo. Fino a questo momento ogni tentativo è stato del tutto inutile per la semplice ragione che i media hanno lo scudo del segreto professionale e la Casta, quando si tratta di tutelare lo status dei suoi componenti, si chiude come una testuggine. Non mi risulta che vi sia stato un solo caso in cui la sanzione dell’avvio del procedimento disciplinare per notizie date alla stampa sia stata applicata. Perché allora una reazione così violenta da evocare delitti di mafia?
Per prima cosa, a mio avviso, s’intende mettere in chiaro che il potere legislativo deve essere molto cauto e chiedere preventivamente il consenso per intervenire in una materia nella quale la discrezionalità delle Procure è e deve restare massima. La sanzione è considerata una minaccia e quasi un’indebita ingerenza nella gestione degli affari penali. Probabilmente in molti ricordano con nostalgia i tempi nei quali un intero Pool di PM si presentava davanti alle telecamere per intimare la revoca di un provvedimento legislativo!
Il secondo motivo attiene a una precauzione nei confronti del potere politico. Come si sa la titolarità dell’azione disciplinare compete al Procuratore Generale della Cassazione e al Ministro di Grazia e Giustizia. I rapporti con il PG sono interni all’ordine giudiziario che è ben sicuro di poterli “gestire” al meglio. Il problema, secondo il ragionamento sotteso al fuoco di sbarramento che è stato messo in atto, è che se per avventura dovesse essere nominato alla carica di Guardasigilli una personalità autorevole e indipendente, potrebbero nascere problemi seri che, secondo la logica di potere della casta, è opportuno evitare preventivamente spuntando le frecce prima che vengano usate.
Si perpetuerà un metodo nato morto per il quale il controllore è anche il controllato, e la notizia dell’indagine fatta arrivare al giornale più autorevole e al momento giusto avrà un potere di deflagrazione enormemente maggiore di quella mantenuta riservata. Basti ricordare quanto ha scritto, non smentito, Palamara: le anteprime delle indagini che lo riguardavano le aveva avute dai redattori di cronaca giudiziaria dei due maggiori quotidiani italiani.
Si potrebbe concludere che, forse, gli unici ad avere il fucile puntato alla tempia sono coloro che restano impigliati nel groviglio di indagini a loro carico, innocenti o colpevoli che siano, poco importa!