![IL CIGNO NERO STA DIVENTANDO BIANCO IL CIGNO NERO STA DIVENTANDO BIANCO](https://www.democrazialiberale.org/wp-content/uploads/2025/02/cig-pxh.jpg)
IL CIGNO NERO STA DIVENTANDO BIANCO
di Giuseppe Gullo
Si ha l’impressione di assistere a un’inedita versione della favola del cigno nero adattata sommariamente e maldestramente adeguata alla situazione politica italiana. La vulgata corrente era che il cigno nero, inopinatamente assurta alla massima responsabilità della guida dell’esecutivo, dovesse necessariamente subire il maleficio della strega e restare imprigionata nelle fattezze del brutto anatroccolo senza che vi fosse nessun principe azzurro in condizione di rompere l’incantesimo e restituirla con nuovo vigore al suo ruolo e alla sua responsabilità. O, peggio ancora per gli improvvisati critici, che l’irruzione sulla scena di un nuovo Re Mida, in grado di trasformare in ricchezza ogni cosa, affascinato dalla femminilità e dallo sguardo malandrino della borgatara romana, compisse il miracolo trasformando il brutto anatroccolo in uno splendido cigno bianco!
Ancora una volta i miopi aruspici di sventure hanno clamorosamente sbagliato e sono adesso all’affannosa ricerca di giustificazioni o, nel migliore dei casi, di ipocrite e tardive giustificazioni. Il fatto è che in politica estera la Presidente del Consiglio ha puntato forte e ha vinto. In primo luogo, si è intestata personalmente la titolarità del settore, non solo avvalendosi dei poteri attribuiti dalla legge al primo Ministro ma supplendo allo sconcertante vuoto di iniziative e di presenza del titolare della Farnesina. La Presidente e il Ministro degli Esteri sono esattamente il bianco e il nero. Quanto Tajani è lento e fuori tempo, tanto Meloni è intraprendente e tempestiva.
Tre esempi sono esemplificativi di quanto sta accadendo. La rielezione di Von der Leyen e la maggioranza che si è formata per sostenerla. Meloni si è trovata dopo le elezioni in grande difficoltà essendo estranea alla maggioranza col PD, parte importante del gruppo socialista schierato con Von der Leyen, chiaramente interessato a tenere FdI fuori dalla coalizione al governo dell’UE. Con una gestione spregiudicata del gruppo parlamentare a Strasburgo e con l’accordo di Von der Leyen, prima riservato e poi reso pubblico, è diventata determinante per l’elezione della Presidente e della Commissione, ha incassato una vicepresidenza esecutiva e un incarico di peso per Fitto e ha aumentato notevolmente il suo credito tra i Paesi che contano e che tuttavia sono in forte difficoltà nei rispettivi paesi. Le classifiche fatte da giornali e/o centri di ricerca in ordine all’influenza dei vari leaders non hanno valore assoluto, ma sono sicuramente indicative di una presenza di peso e di un lavoro apprezzato.
La rapida e clamorosa conclusione del caso Sala ha meravigliato tutti, soprattutto chi aveva già scatenato i peana tipici delle prefiche dinanzi a un inesistente cadavere. Meloni ha giocato d’anticipo, si è spesa in prima persona, è andata a trovare chi aveva il potere di decidere sulla contropartita e ha incassato i benefici del successo. Una donna sola al comando? Non sappiamo con chi ha condiviso i momenti decisivi della vicenda, ma è certo che se n’è assunta per intero la responsabilità e di riflesso ne ha avuto l’intero merito. Non è con ogni evidenza un nuovo caso Sigonella, ma la determinazione e la rapidità delle decisioni sono simili.
Sulla politica di contrasto all’immigrazione clandestina, la Presidente ha utilizzato la leva economica senza risparmio. Ai Paesi nord africani, Libia anzitutto, ha dato molti soldi per arginare le partenze, mentre sta ancora tentando di fare funzionare i centri in Albania per i quali ha avuto problemi maggiori di quelli che immaginava. Il risultato è una diminuzione degli sbarchi senza che tuttavia il problema sia stato risolto. È la strada sbagliata, considerata la necessità che abbiamo di circa 120 mila operai generici ogni anno per lavori che i nostri connazionali non vogliono fare. Resta il fatto che i fenomeni degli sbarchi continui si sono attenuati e che i centri di accoglienza non sono nella condizione in cui erano qualche anno fa. Il recente caso del Generale libico estradato dovrebbe essere inserito in questo contesto e non in quello giudiziario, che non può e non deve interferire con l’attività del Governo.
Tutto bene allora? Nient’affatto. In politica interna il Governo ha promosso due provvedimenti potenzialmente rischiosi. L’autonomia differenziata è una pessima legge dannosa per il Paese. Se il referendum chiesto a furore di popolo si fosse tenuto in primavera, il Governo avrebbe rischiato molto, anche se Meloni aveva avuto l’accortezza di evitare l’errore fatto da Renzi che aveva allora legato le sue sorti a quella del referendum sulla sua riforma costituzionale. Le è venuta involontariamente in soccorso la Consulta prima depotenziando la riforma e poi dichiarando inammissibile il quesito referendario, e così disinnescando la bomba a orologeria che già batteva il conto alla rovescia.
L’altra mina vagante ad alto potenziale, che ancora potrebbe far saltare l’esecutivo, è la riforma costituzionale che tende a introdurre il premierato. Il ddl è ancora ai primi passaggi e il meccanismo è tale per cui i tempi potrebbero essere lunghi e tali da evitare il pericolo. La Presidente l’ha già fiutato e ha fatto trapelare la notizia che potrebbe limitarsi a proporre una legge elettorale parzialmente proporzionale, sulla falsariga di quelle per l’elezione dei Sindaci e dei Presidenti delle Regioni. Meloni forse non può definirsi una statista, quel ch’è certo è che non manca di prontezza e tempestività nel comprendere per tempo i possibili approdi delle questioni importanti.
Infine, sui diritti civili, nonostante i solleciti della Consulta, il Governo è fermo o addirittura ancorato a posizioni fortemente arretrate. Sul fine vita, lo ius soli e la fecondazione eterologa, solo per fare qualche esempio, non una sola parola. Per non dire della politica energetica, del sistema dei trasporti e del Ponte sullo Stretto di Messina che, nonostante i proclami di Salvini, naviga tra mille ostacoli giudiziari che lo tengono ancora in stallo.
Ciò nonostante, il partito di Meloni è accreditato di un buon 30%, un livello molto significativo dopo oltre due anni di Governo. Meloni dimostra buon senso, tatticismo, conoscenza dei meccanismi di Governo, intuito e spregiudicatezza. Come sempre, l’avversario si affronta sul piano delle proposte politiche e della capacità di proporle nei modi e nei tempi giusti. Chi punta sugli errori o su aiutini esterni sbaglia di grosso!
Fonte Foto: Pxhere.com – adilson100 – CC0 1.0 Universal