I Talk Show
di Guido Di Massimo
A proposito di “talk show”, che in questo tragico periodo di guerra della Russia contro l’Ucraina sono stati probabilmente più seguiti del solito, sarebbe opportuno si discutesse di regole di buona creanza. Anche perché, nel bene e nel male, la TV è anche esempio di comportamenti.
I talk show sono dibattiti che dovrebbero essere di approfondimento, ma a volte si risolvono in spettacoli dove la cosa più importante è attrarre pubblico in quantità per poi “vendergli” pubblicità. Ma forse si pensa che il pubblico si attragga più con liti, volgarità e risse che con pacati approfondimenti.
Il risultato è che accanto a talk show esemplari, alcuni tendono allo spettacolo litigioso, caotico e urlato, dove il conduttore mostra la propria bravura nel fare il mattatore destreggiandosi tra interventi di persone – da lui invitate – che si interrompono e parlano l’una sull’altra, alzando sempre più la voce, facendo (utilmente) non capire nulla di quello che dicono e spingendo i telespettatori meno pazienti a un liberatorio spegnimento del televisore. Meglio un buon libro che la TV.
Stabilire delle regole per minimizzare liti e risse non è facile: il timore di essere accusati di limitare il dissenso è costante. Ma è un problema che andrebbe affrontato. Si potrebbe iniziare non invitando coloro che hanno una facile tendenza a turpiloquio e risse, e poi considerare che la vivacità dei dibattiti non dovrebbe essere data dall’aggressività e dal volume delle voci ma dalla capacità di approfondire la complessità di fatti sui quali ognuno ha o si fa la propria opinione, come se la fa di conduttori e invitati ai talk show.
E sui conduttori il giudizio dipende non solo da come “conducono” ma soprattutto da chi invitano. Se invitano – e pagano – persone inette e incompetenti ma “giuste” solo per sentenziare e provocare liti e surreali battibecchi, dimostrano di essere solo ottimi venditori di pubblicità commerciale.