I REFERENDUM PER RIFORMARE LA GIUSTIZIA
di Giuseppe Gullo
I referendum promossi dai Radicali e appoggiati da altre forze politiche laiche e riformiste ed anche dalla Lega, giungono al voto dopo una campagna elettorale nella quale i grandi mezzi di informazione pubblici e privati, con rare eccezioni, hanno di fatto oscurato le notizie sui quesiti sottoposti all’elettore, puntando al mancato conseguimento del quorum del 50% più uno.
Personalmente sono ottimista sul raggiungimento del quorum in base alla considerazione che i cittadini, nelle precedenti consultazioni, quando si sono resi conto che la posta in gioco era alta e meritevole di essere accolta, si sono recati alle urne. Mi rendo conto che alcuni dei quesiti referendari sono, nella loro formulazione, abbastanza astrusi, ma confido sul fatto che la loro sostanza è di immediata comprensione.
Sono inoltre certo che chiunque abbia avuto da fare con la macchina infernale della Giustizia sia civile che penale non abbia né dubbi né esitazioni. I cittadini che hanno dovuto fare ricorso al giudice per esigere un debito o per sfrattare un inquilino moroso, o il malcapitato che è stato sottoposto a processo per ipotesi di reato più o meno gravi e ha dovuto attendere vari lustri per ottenere una sentenza, tutti hanno toccato con mano come sia farraginoso e sostanzialmente iniquo il meccanismo della Giustizia nel nostro Paese. Non è questa l’occasione per riaffermare alcuni principi di civiltà giuridica che in un Paese democratico con grandi tradizioni nello specifico settore del diritto dovrebbero essere patrimonio acquisito e non in discussione; lo è invece per riaffermare i motivi per i quali occorre andare a votare e approvare i quesiti referendari.
In sintesi siamo chiamati a votare per abrogare:
- le norme che prevedono un ruolo unico per i magistrati che promuovono l’azione penale e quelli che sono chiamati a decidere, e il conseguente passaggio da una funzione all’altra;
- la necessità di un numero minimo di firme per candidarsi a componente del Consiglio Superiore della Magistratura con la conseguente necessità di appartenere a una corrente per poterlo fare;
- l’esclusione del diritto di voto nei Consigli Giudiziari di membri non provenienti dall’ordine giudiziario, sicché attualmente oltre il 99% delle valutazioni è positivo;
- la limitazione del ricorso da parte del giudice alle misure cautelari, eliminando come motivo per disporla il pericolo di reiterazione del reato e mantenendo il pericolo di fuga e quello di inquinamento delle prove;
- l’abrogazione del divieto automatico di candidarsi alle elezioni politiche dopo una sentenza definitiva di condanna, per cui ci si potrà candidare previo accertamento da parte del giudice dell’esistenza di determinate condizioni caso per caso.
I sostenitori del no, tra i quali, ahimè, la Direzione del PD e, mi auguro, una minima parte di chi vota per quel Partito, sostengono la tesi del pericolo di incrinare l’indipendenza della magistratura considerandola un’azione punitiva nei confronti dell’ordine giudiziario, nella sostanza priva di reali effetti innovatori. A me sembrano tentativi infelici di trovare argomenti che stanno precariamente in piedi.
L’ordine giudiziario vive il peggiore momento della sua esistenza in tutta la sua storia. Mai come negli ultimi tempi è stato colpito da una serie continua di scandali vergognosi che ne hanno incrinato la credibilità. Di fronte a fatti quali quelli conosciuti come i dossier Palamara o Loggia Ungheria o processi Eni-Nigeria, solo per citarne alcuni, abbiamo fatto tutti la considerazione che la realtà supera di gran lunga la fantasia e che, certamente, ciò che è emerso è solo una piccola parte del fiume di fango che attraversa i luoghi dove si dovrebbe amministrare la Giustizia.
In un sistema sano nel quale i poteri esercitano in modo corretto le funzioni che la Carta loro assegna, il Parlamento avrebbe dovuto immediatamente approvare le leggi necessarie per affrontare l’emergenza emersa in modo inequivocabile. Così non è stato e siamo ancora in attesa di vedere quale sarà la fine del provvedimento approvato alla Camera adesso in discussione al Senato, noto come riforma Cartabia, che in realtà non riforma proprio nulla.
Nessuno dei nodi che strangolano l’ordine giudiziario viene affrontato in modo appena accettabile. Non la riforma del CSM, che resterà il regno delle correnti nel quale le spartizioni si faranno a puntate invece che in una sola seduta; non la separazione delle carriere, che viene mistificata con il divieto di cambiare funzioni più di una o due volte ignorando, per ipocrisia, il fatto che le carriere debbono essere diverse, differente il CSM, del tutto distinti i ruoli, eliminati i distacchi presso i ministeri o altri alti luoghi di gestione del potere dove si imboscano per decenni i vertici delle organizzazioni giudiziarie in attesa di spiccare il volo per altissimi incarichi senza avere scritto per lustri un solo provvedimento; non le valutazioni della produttività che non vuol dire condizionare ma verificare chi lavora e chi no; non il fascicolo personale che resterà ciò che è attualmente e cioè un appunto che non serve a nulla nel quale eventuali disastri compiuti da magistrati in cerca di notorietà non saranno mai annotati.
I referendum risolvono tutto questo? Certamente no, ma sono importantissimi per due ragioni. La prima consiste negli effetti immediati che essi produrranno abrogando norme che non hanno senso con il viatico decisivo del voto popolare; la seconda consiste nel mettere il prossimo Parlamento nella condizione di legiferare, auspicabilmente in modo libero e consapevole, per riportare nel giusto alveo un fiume tracimato che ha inondato tutto e prodotto danni incalcolabili.
Abbiamo bisogno di trasparenza, imparzialità, serietà, equilibrio, rispetto per le persone e le loro famiglie, consapevolezza di limiti e prerogative. E’ chiedere troppo? Non credo, è un diritto di tutti i cittadini sapere che la Giustizia viene amministrata in nome del Popolo, per la tutela di una convivenza civile rispettosa delle leggi, senza soprusi, prevaricazioni, manipolazioni, sotterfugi e quant’altro le cronache giornalmente riportano. Tutto ciò merita il massimo impegno per tutti e soprattutto per le nuove generazioni che hanno necessità di avere la certezza che chi decide lo fa solo applicando la legge, uguale per tutti sempre e comunque.