I POTERI DEL PRIMO MINISTRO
di Giuseppe Gullo
Il prof. Panebianco, da par suo, sul Corriere, fotografa uno dei limiti più evidenti del nostro sistema costituzionale e cioè la “debolezza” politica del Presidente del Consiglio dei Ministri che ha la funzione di primus inter pares per espressa e consapevole scelta dei costituenti. Sull’argomento si sono scritte e dette milioni di parole senza alcun esito se è vero che a distanza di oltre settant’anni questo Istituto non ha subìto alcuna modifica. L’illustre politologo sostiene che in realtà nel Paese vi sarebbe paura e preoccupazione per un eventuale rafforzamento dei poteri del primo ministro, retaggio della nostra storia e in particolare dell’esperienza fascista che trasformò una monarchia costituzionale in dittatura.
Sicuramente il prof. Panebianco dispone di sondaggi di cui non sono a conoscenza; osservo però che tutti i maggiori partiti, con l’eccezione del PD che ha recentemente cambiato idea, propongono il semi-presidenzialismo. Secondo i sondaggi essi rappresentano la maggioranza assoluta degli elettori i quali votandoli manifestano il loro consenso anche alla riforma istituzionale di cui parliamo.
Vi sono altri elementi che inducono a ritenere che il corpo elettorale non sia per nulla ostile ad una riforma in senso semi presidenzialista. Questo tipo di riforma ha interessato Regioni e Comuni con l’approvazione della legge che ha introdotto l’elezione diretta dei Presidenti e dei Sindaci ai quali sono stati attribuiti poteri molto vasti e autonomi come quello della scelta o della revoca degli assessori, quelli di determina e di nomina nelle aziende partecipate fino a prevedere la decadenza del Consiglio in caso di dimissioni del Presidente o Sindaco. Questo sistema ha funzionato ed è stato accettato completamente.
Regioni come il Lazio, la Lombardia e la stessa Sicilia hanno bilanci da capogiro e competenze talmente importanti da indurre molti a considerare la possibilità di ridimensionarli. Comprendo bene che governare Roma o la Lombardia è cosa molto diversa dal Governo della Repubblica, e che la mancanza di potere delle autorità locali in materie fondamentali – quali esteri, difesa, interni, giustizia, fisco–sterilizzano ogni forma di possibile deriva autoritaria; ma è altrettanto vero che il principio di una investitura diretta alla quale consegue un ampio potere decisorio è stato accolto senza remore. Questo non è accaduto a livello centrale e tutti i tentativi fatti in questo senso, sia con le bicamerali sia con la riforma del 2016, sono naufragate.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Un esecutivo debole presieduto da un primo ministro con poteri limitati, il cui Governo, com’è avvenuto anche recentemente, è stato messo in crisi per interessi di bottega. Ci si chiede giustamente se ciò che non è stato possibile nella prima Repubblica con partiti forti e con ampio consenso (Dc e Pci avevano il 65%) sia possibile che accada oggi con partiti deboli e con un consenso più limitato. È molto difficile e lo è ancora di più in quanto una parte consistente dell’ambiente culturale sedicente progressista e di sinistra è sostanzialmente contrario a intervenire sul sistema disegnato dai costituenti ritenendolo il solo in condizione di garantire la democrazia nel Belpaese.
Secondo versioni di buona fonte il tentativo della Bicamerale presieduta da D’Alema fu sul punto di concludere positivamente i suoi lavori. Era stato trovato un accordo soddisfacente su quasi tutti i punti più delicati e controversi. Lo scontro avvenne sulla magistratura, e in particolare sulla separazione della carriere. A distanza di 25 anni da quella vicenda siamo ancora allo stesso punto sebbene quanto è accaduto e continua ad accadere sotto il cielo della c.d. Giustizia sia degno della più immaginifica storia di spionaggio.
L’esperienza che abbiamo accumulato in questi anni ci ha consentito di verificare che alcuni istituti hanno necessità di essere adeguati ai tempi ed alle esigenze che essi pongono. Non possiamo da un lato lamentare la ridotta durata dei Governi e la loro difficoltà ad affrontare con rapidità ed efficienza le questioni che vengono sottoposte alla loro decisione. e nello stesso tempo lasciare l’esecutivo in balia delle forze parlamentari, degli umori in esse prevalenti senza avere alcuna arma con la quale salvaguardare la sua azione. Qualcuno crede veramente che l’inceneritore di Roma abbia causato la fine della legislatura? O ritiene che i 5s e il loro capo cercassero solo un pretesto per fare la crisi e consumare la loro vendetta? Oppure è più verosimile che i giochi dei gruppi, al di fuori di qualunque considerazione degli interessi generali, vadano avanti per la loro strada senza che nessuno possa fermarli qualunque cosa accada.
Tutto questo non potrebbe accadere in nessuna delle grandi democrazie occidentali nelle quali l’attività dell’esecutivo procede senza che i giochi parlamentari possano bloccarlo se non vi è un nuovo Governo in grado di sostituirlo. Mi riferisco agli USA, alla Francia, al Regno Unito e alla Spagna per citare i principali. La democrazia di questi paesi è a rischio? Nessuno lo pensa. In Italia andiamo avanti con discussioni inconcludenti mentre la macchina dello Stato è sempre più inceppata e negli ingranaggi obsoleti nasce la gramigna della corruzione. Con la certezza che dopo le elezioni molti degli argomenti introdotti nella campagna elettorale, dalla Costituente alla separazione della carriere, dall’inappellabilità delle sentenze di assoluzione alla reintroduzione dell’immunità parlamentare, torneranno nel dimenticatoio per la durata della nuova legislatura.