I POLITICI DI OGGI E QUELLI DI IERI, PARAGONE IMPIETOSO

I POLITICI DI OGGI E QUELLI DI IERI, PARAGONE IMPIETOSO

di Giuseppe Gullo

Uno dei punti di caduta del Governo Meloni è la scarsa qualità della sua compagine. Questo giudizio è pressochè unanime, con la sola eccezione dei sostenitori infatuati dall’ascesa e dai successi della Presidente del Consiglio.
In verità molti commentatori distinguono la figura e l’operato di Meloni da quelli dei suoi collaboratori, a cominciare dai vice. Gioco facile, se si valuta obiettivamente l’attività dei leader di Lega e di Forza Italia. Il primo, almeno dall’estate del Papeete, cerca in ogni modo di avere visibilità rincorrendo disordinatamente ogni tipo di scoop, nel vano tentativo di invertire il declino del partito di cui è segretario ormai da oltre dieci anni. Il disegno di trasformare la Lega in un partito nazionale è fallito, così come sono saltate tutte le parole d’ordine che periodicamente ha lanciato intestandosi battaglie senza senso e senza futuro. Così è stato per la vicenda del blocco navale all’epoca in cui era Ministro dell’Interno, stessa sorte per la campagna basata sul “Prima gli Italiani”, fino ad arrivare alle recenti e scomposte affermazioni pro-Putin e pro-Trump, con giudizi pubblici di grande compiacimento per le nomine fatte dal neo Presidente Usa, salvo poi affermare che conosce solo uno dei Ministri e neppure bene. Occorre, tuttavia, tenere presente che Salvini venne eletto segretario quando il partito fondato da Bossi era in forte crisi e aveva perso più della metà dei suoi elettori toccando il suo minimo storico con il 4%. Le condizioni precarie della salute del fondatore e capo indiscusso e l’inadeguatezza del suo successore alla segreteria, Maroni, aprirono le porte del controllo del Carroccio allo sconosciuto e giovane Salvini il quale, nella prima fase, riuscì a rinverdire il rapporto con gli elettori assumendo di volta in volta posizioni trasversali rispetto agli schieramenti tradizionali. Lo spostamento su posizioni di destra fortemente nazionaliste e autoritarie avvenne poi negli anni fino alla collocazione attuale di partito simpatizzante di tutti i movimenti europei dichiaratamente nazionalisti, euro scettici, antimmigrazione e sostanzialmente autoritari.
Il leader di FI, altro vicepresidente del Consiglio e Ministro degli Esteri, ha ereditato il Partito fondato da Berlusconi, sedicente di ispirazione liberale, moderato, europeista e atlantista. Il problema fondamentale che si trova davanti è quello di fare sopravvivere FI alla scomparsa di chi ne è stato fino all’ultimo giorno di vita il padre-padrone, al quale una percentuale di elettori dava fiducia sempre e comunque. Questo feeling, che è ancora vivo, ha consentito al Cavaliere di superare attacchi violentissimi da parte degli avversari politici (e questo fa parte del gioco), ma anche della magistratura e di una parte dei cosiddetti poteri forti che sono intervenuti pesantemente e a gamba tesa. Credo che nessun democratico possa dimenticare le intercettazioni a carico dell’allora Presidente del Consiglio, i controlli agli ospiti della sua residenza privata, fino ad arrivare alle registrazioni della Camera di Consiglio che doveva decidere se condannarlo o assolverlo. Tajani non ha nulla del suo predecessore e potrebbe essere che questa qualità sia anche la sua forza. Quanto potrà  durare? Chissà.
Il Berlusconismo che sopravvive al suo protagonista potrebbe essere a lungo un punto fermo della politica italiana, considerando la modestia di coloro che aspirano a prenderne l’eredità e l’assoluta mancanza di “vocazione” della figlia primogenita, forse l’unica ad avere, in parte, alcune delle qualità del padre. Il Cavaliere nel 1994 riuscì in un’impresa che sembrava disperata. Utilizzò alla grande i mezzi enormi di cui disponeva, ma seppe anche parlare con linguaggio diretto e comprensibile senza rinnegare nulla di ciò che aveva fatto, compreso il legame con Craxi, e rivendicando la sua “capacità di fare” che aveva dimostrato come imprenditore. Cercò anche di circondarsi di intellettuali e di persone che avevano maturato precedenti esperienze politiche. Le scelte di Antonio Martino agli esteri, Biondi alla Giustizia, Tremonti alle Finanze, Urbani alle Riforme, Tatarella alle Telecomunicazioni, Ferrara ai Rapporti con il Parlamento, Dini al Tesoro, per citarne alcuni, è stato un chiaro tentativo di dare qualità e spessore al suo Esecutivo. Se qualcuno avesse dubbi, legga la composizione dell’attuale Governo mettendo accanto i nomi del Berlusconi I, e tragga con obiettività un giudizio comparativo. I fatti poi sono andati come sappiamo e forse l’errore più grave imputabile al Cavaliere è stato quello di non avere introdotto quegli elementi di liberalismo che aveva promesso. In ogni caso, altra musica e altri musicisti.
Si dice oggi che la Meloni stia dimostrando di essere di un altro livello. Probabilmente è vero, con una precisazione: se un giocatore di serie A va a giocare in serie C la differenza sarà evidente a tutti. Se quello stesso giocatore venisse promosso e utilizzato in una squadra di primo livello, potrebbe apparire all’improvviso inadeguato o comunque poco brillante rispetto agli altri. È ciò che sta accadendo dalle parti di Palazzo Chigi, secondo l’antico detto “beati monoculi in terra coecorum”. Speriamo nell’intelligenza artificiale, quella naturale è scarsa. La Presidente conosce il mestiere e ha fatto la gavetta dove doveva essere fatta e cioè nel suo partito che all’epoca era fuori dal c.d. arco costituzionale e rivendicava l’eredità dell’esperienza fascista. Non si può neppure negare una capacità tattica di riposizionamento come ha dimostrato nella recente vicenda dell’elezione della Commissione europea nella quale ha giocato con abilità le sue carte.
Sono un’infinità gli episodi che possono essere citati per confermare la modestia di molti componenti della compagine governativa rispetto alle responsabilità ricoperte. Non passa giorno senza che le cronache riferiscano di dichiarazioni sballate o inopportune di questo o quell’altro membro dell’esecutivo. Questo, nonostante alcuni di essi, particolarmente cauti, stiano ben coperti e lontani dai riflettori, tanto che sarebbe legittimo chiedersi se sono ancora in carica o se invece sono in periodo sabbatico. Per non dire poi delle lodi sperticate giunte da molte parti a Fitto, scuola DC doc, approdato a Bruxelles a rappresentare l’Italia e il partito della Presidente del Consiglio che, con un’inversione a U, si è schierata con la maggioranza a sostegno della Commissione pur dopo avere votato contro la Presidente Von der Leyen. Meloni e Fitto , che provengono entrambi da partiti della prima Repubblica, militanti rispettivamente nel MSI e nella DC fin da giovanissimi, istruiti ed allevati per fare politica. Fitto già Ministro con Berlusconi, ex Presidente della Puglia, pur avendo 55 anni ha quattro legislature alle spalle e un paio di mandati come consigliere della Regione Puglia, oltre ad un mandato al Parlamento europeo, Il padre fu Presidente della Regione Puglia fino al momento della sua scomparsa. In pratica ha ricoperto importanti cariche elettive e di Governo da quando ha raggiunto la maggiore età. Nelle biografie ufficiali viene indicato come politico di professione, come la Presidente del Consiglio.
Qui possiamo fermarci. Il resto è poca cosa.

 

Fonte Foto: Wikipedia CommonsQuirinale.it

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