I PARTITI ITALIANI IN ORDINE SPARSO SUL PATTO DI STABILITÀ UE
di Giuseppe Gullo
In quali condizioni arriva l’Italia alla scadenza elettorale del rinnovo del Parlamento europeo? Se dovessimo dare un giudizio sulla base delle considerazioni sviluppate sul Corriere del a Mario Monti, ex Commissario dell”esecutivo comunitario ed ex Primo Ministro, dovremmo essere molto preoccupati. La rappresentanza italiana al Parlamento di Strasburgo si è presentata in ordine sparso nella importante votazione sul piano di stabilità. I deputati di FdI e quelli del PD si sono astenuti, quelli degli altri partiti hanno votato contro e solo quattro a favore, uno di Italia Viva, un ex 5S e due del PPE.
La posizione contraria del Governo era nota, sebbene la Presidente del Consiglio non avesse esercitato il diritto di veto nel Consiglio dei Capi di Stato e di Governo. Resta il fatto di una posizione fortemente frammentata nella quale il principale partito di governo e il maggiore dell’opposizione hanno assunto una posizione analoga, sostanzialmente interlocutoria e attendista. Nessuno vuole realmente mettere un freno all’indebitamento e quindi all’ulteriore crescita del debito pubblico. Ed è proprio questo il nodo cruciale: aumentare il debito per creare lavoro e nuova ricchezza, oppure per finanziare misure come il super bonus edilizio, che Monti definisce come una “patrimoniale all’incontrario”, con cui lo Stato ha elargito centinaia di miliardi a proprietari di immobili, senza controllo, creando una voragine nei conti dello Stato. Al riguardo, la relazione della Banca d’Italia al Parlamento afferma senza mezzi termini che gli effetti negativi del provvedimento adottato dal Governo a guida 5S si produrranno fino al 2027, nonostante i provvedimenti restrittivi adottati dall’esecutivo in carica. Le responsabilità di questa situazione sono chiare e non serve a nulla mistificare o voltarsi dall’altra parte. È necessario invece bloccare gli effetti perversi, limitare per quanto possibile i danni ed evitare che se ne producano altri.
È stato anche osservato che il Governo nel DEF presentato in Parlamento, per la prima volta, non ha indicato il disavanzo, secondo molti osservatori per la duplice ragione di non poterne quantificare la misura e anche per superare la scadenza elettorale senza fornire elementi di polemica politica. Il problema, tuttavia, resta nella sua pesante realtà e non potranno essere le poche settimane che ci separano dal voto a risolverlo. La questione delle dimensioni enormi del debito pubblico non è solo legata all’onere che esso crea alla casse dello Stato per effetto degli interessi che genera, quanto soprattutto al cattivo uso che ne viene fatto, come nel caso del super bonus e, in misura minore, del reddito di cittadinanza, provvedimenti questi che hanno causato una vera e propria emorragia per l’erario, che è ancora in atto. È evidente che non è possibile essere europeisti quando si tratta di beneficiare dei fondi del PNRR, parte dei quali a fondo perduto, e rivendicare piena libertà nelle politiche di bilancio quando si vuole percorrere strade economicamente sbagliate. Nel momento in cui l’Europa si pone concretamente il problema di un suo rafforzamento e della creazione di una difesa comune, non è possibile procedere a corrente alternata a seconda del momento e della convenienza.
Il quadro delineato impone maggiormente la necessità di rafforzare le forze politiche autenticamente europeiste mettendole in condizione di essere interlocutrici credibili ed affidabili della nuova Commissione, nella prospettiva che a guidare l’esecutivo o il Parlamento comunitari possa essere Mario Draghi, profondo conoscitore della realtà italiana e dei meccanismi che regolano la nostra economia e quella comunitaria.
Fonte Foto: Flickr – Daniel Sancho – CC BY 2.0 Deed