GLI SCACCHI D’ITALIA
di Giuseppe Buttà
Pare che i giocatori italiani di scacchi non siano nei primi posti delle classifiche mondiali; ma ci dev’essere un errore!
Forse il mondo pensa che questo illustre gioco sia solo quello dei pezzi, talvolta preziosi, che si muovono sulla scacchiera secondo una strategia, in una ‘battaglia’ incruenta e innocente, tra opposti eserciti con tanto di re, regine e cavalli. Ma i pezzi possono essere anche scadenti per manifattura e qualità di materiali e, soprattutto, il gioco può avere fini ben diversi da quello del puro confronto tra strateghi.
In Italia, infatti, questo gioco si gioca benissimo; si gioca nella battaglia politica, la battaglia dei politicanti italiani che si contendono qualche poltrona oppure il potere tout court. È il gioco che si svolge in ogni occasione e che, forse, dovrebbe cambiare nome: invece di gioco degli scacchi, in cui è necessario proporsi un obiettivo e misurare i mezzi idonei per raggiungerlo, si può più precisamente chiamarlo ‘gioco delle tre carte’, il cui scopo è unicamente quello di confondere e imbrogliare l’avversario (e l’elettorato). Forse questa tattica del gioco politico non è esclusiva del nostro paese – naturalmente c’è di peggio nel mondo – ma, da noi, questa tattica è stata elevata a strategia.
Andiamo con ordine. Nella prima ‘comparsa’ della nuova legislatura (l’elezione del presidente del Senato), abbiamo avuto l’oracolo sul suo svolgimento, annunciato dalle modalità con cui è avvenuta l’elezione di La Russa: tutti davano per scontato che non sarebbe stato eletto, almeno al primo scrutinio, dal momento che FI si sarebbe astenuta dal voto; invece, alla fine della votazione, abbiamo avuto una sorpresa, i voti forzisti sono stati generosamente surrogati da altri che venivano, per la maggior parte, da forze che avevano prima dichiarato la loro opposizione.
L’indomani, il centro-destra compatto ha eletto il Presidente della Camera nella persona di Lorenzo Fontana, leghista e noto cattolico intransigente pro-vita e pro-famiglia naturale. Naturalmente si è scatenata una furiosa tempesta sui trascorsi ‘fascisti’ di La Russa (e, fin qui, si può pure capire) ma, quello che ha fatto andare in bestia i ‘progressisti’, è stato lo stigma antiabortista e anti-arcobaleno di Fontana. Non che non si possa criticare la scelta di queste persone ma dobbiamo notare che lo si sta facendo scatenando la ‘corda pazza’, il mai represso istinto totalitario che non tollera l’esistenza di opinioni diverse.
Ma, a parte questa stortura che forse non sarà mai raddrizzata, ciò che nel caso di La Russa è più evidente è la mina vagante che potrebbe fare saltare in aria il governo di centro-destra appena formato. Una coalizione che apparentemente – in forza del voto del 25 settembre e, soprattutto, della legge elettorale – sarebbe in grado di essere auto-sufficiente, in realtà si è rivelata subito permeabile al trasformismo e soggetta a una rapida crisi.
Mi vengono in mente che la stessa sorpresa l’abbiamo avuta con la nomina di Monti a senatore a vita come viatico alla nomina a Presidente del consiglio; potremmo quindi continuare con il colpo di scena della formazione dei governi Letta, Conte1, Conte2 e Draghi e, infine, con il precedente illustre della elezione del Presidente della Repubblica che ha stabilizzato la prassi del ‘bis’ con i machiavellismi di vario genere che segnano da sempre la storia dell’elezione del Capo dello Stato in Italia.
Si tratta di modalità rocambolesche che mettono in forse la solidità e la credibilità delle nostre istituzioni, sempre piegate agl’interessi delle fazioni. Nella nostra democrazia manca del tutto la cultura della rotation in office, delle maggioranze e delle minoranze: tutto è devoluto ai manovratori occulti.
Purtroppo in Italia non basta vincere le elezioni per potere governare: bisogna sapere giocare a scacchi o meglio al gioco delle tre carte che è il vero gioco italiano degli scacchi.
Non c’è dubbio che, senza l’iniziativa di Berlusconi nel 1994, oggi non vi sarebbe stata la vittoria del centro-destra ma ciò non basta a dare legittimità alle bizze ministeriali del demiurgo che, tra l’altro, hanno dato il pretesto ai suoi detrattori per dargli addosso ricordandogli i mali dell’età e il peso dei suoi interessi: da ultimo, il PD si è scatenato contro i figli di Berlusconi, accusandoli di avere convinto il padre a mettersi d’accordo con Giorgia Meloni al fine – sospetta il sen. Mirabelli – di ottenere garanzie per Mediaset, l’azienda di famiglia: «cose che in qualunque paese Occidentale sarebbero inconcepibili».
Come, aggiungiamo noi, sarebbero inconcepibili le accuse non provate.
Ma, dobbiamo anche dire che Berlusconi ci ha messo del suo per rendere faticoso il lavoro di Meloni prima con il famoso pizzino poi con le sue esternazioni putiniane; dobbiamo dire che le sue bizze possono non essere innocenti cadute di stile o sintomi di senilità o effetto degli scambi alcoolici con Putin. Con le sue esternazioni in tema russo-ucraino – sembrate a tutti piuttosto sconnesse e tali da farci ricordare quel che Montanelli disse di Pertini: «un galantuomo! dice sempre quello che pensa ma non sempre pensa a quello che dice» – Berlusconi ha offerto il fianco alle critiche più aspre, e anche le più tendenziose; ha dato il destro a giornali e tv di pestare l’acqua nel mortaio per giornate intere, ora dopo ora, e rischia così di bruciare il ruolo che si era attribuito di garante dell’euro-atlantismo del nuovo governo.
Berlusconi rischia anche di bruciare l’alleanza di centro-destra esponendo il suo stesso candidato al ministero degli esteri al veto di Letta e c.. Tanto che il Conte-fregoli ha colto l’occasione di ergersi a nume tutelare dell’atlantismo dopo che, per raccattare voti, aveva fatto cadere il governo Draghi giusto sulla questione dell’appoggio all’Ucraina; questo nuovo fregoli non cessa di stupirci per la rapidità dei suoi travestimenti: dopo aver posto il veto a Tajani di fronte a Mattarella, ha comunicato subito dopo che si opporrà a nuovi invii di armi ai resistenti ucraini.
In realtà, non si capisce quale sia stato lo scopo per cui Berlusconi ha fatto quelle dichiarazioni. Non si capiscono molte cose, a cominciare dal come, dal perché e da chi abbia registrato e poi divulgato lo sproloquio: l’ha fatto qualche nemico di Berlusconi o una ‘gola profonda’, autorizzata a divulgarlo per un qualche scopo ‘politicante’?
Non si capisce se egli volesse presentare il programma di una siffatta, fantasiosa linea di politica estera oppure alzare il prezzo della sua partecipazione al governo o, ancora, mettere una zeppa tale da impedirne la nascita (Meloni ha dovuto dire che non avrebbe fatto il governo a meno di un chiarimento, anzi di una sconfessione di quelle farneticazioni). Questa mossa avventata di Berlusconi può uccidere nella culla la novità politica che potrebbe mettere fine alla lunga stagione dei governi tecnici, infatti è bastata a far ringalluzzi re coloro che pronosticano una breve vita per il governo e che, anzi, lo danno per nato morto.
Sono ipotesi tutte che fanno temere che questi comportamenti possano essere sintomi di una qualche voglia di giro di valzer, di un ritorno alle ‘larghe intese’. E non sarebbe una festa danzante; sarebbe un disastro.
Non sappiamo quali siano state le alchimie usate per formare il governo e che hanno apparentemente posto fine alle varie bizze ministeriali – in certa misura legittime al momento della formazione di un governo, anche se fosse un monocolore come ai tempi della DC; ma, in questo caso, è stata evidente la voglia di ‘commissariare’ il presidente Meloni; una voglia che hanno avuto anche i tanti che non hanno fatto altro che dire che la lista dei ministri avrebbe dovuto essere concordata con Mattarella: c’è chi giura che questa supervisione presidenziale sarebbe prevista dal dettato costituzionale. Forse!.
Ora, per tornare al nuovo governo, c’è soltanto da sperare che i ministri siano stati scelti in funzione non solo delle loro capacità personali ma anche della loro adesione a un programma concordato e condiviso da tutti i partiti della maggioranza e non soggetto alle famose bandierine o ai disconoscimenti di paternità delle misure che il governo dovrà prendere. Ne varrà della coerenza delle politiche necessarie per fare fronte ai problemi che abbiamo davanti, dall’economia alla sanità e alla guerra russo-ucraina.
A questo proposito, una notazione sui ‘pensosi’ dei destini del ‘paese’ che fino a ieri plaudivano a Draghi quando andava dritto per la sua strada, per esempio nella scelta dei ministri o nelle scelte di politica sanitaria o economica. Anzi lo sollecitavano a farlo con incisività ancora maggiore e avevano ragione.
Gli stessi oggi invece manifestano le più lancinanti preoccupazioni per il pericolo di autoritarismo (se non di fascismo), che si correrebbe se Meloni, senza avere lo standing di Draghi, cercasse di esercitare pienamente il suo potere/dovere di dare un indirizzo politico unitario ai ministri del suo governo.
E già! Chi non ricorda quanto eravamo preoccupati per il ‘decisionista’ Craxi con gli ‘stivaloni’?
Se non vi fosse una reale unità di indirizzo politico, se i ministri facessero da sé e parlassero contraddicendosi reciprocamente, ne varrebbe della stabilità dell’esecutivo e della sua durata; se fosse così, bisognerebbe tornare alle urne e il nuovo presidente del consiglio lo ha detto chiaramente: «Non sono possibili inciuci nè governi anomali … Altrimenti neppure ci proviamo. E torniamo dagli elettori».
Ho sentito il politicamente longevo Pierferdinando Casini dire in televisione che questa ipotesi di nuove elezioni è irresponsabile data la situazione del paese; forse lui teme di non potere avere una dodicesima legislatura e pensa e desidera che, se si sfaciasse la maggioranza di centro-destra, la cosa migliore sarebbe una nuova stagione di governi ‘tecnici’. Ma può stare tranquillo. Sono sicuro che, se fosse Meloni a chiederlo, questo ritorno alle elezioni non ci sarà.
Per onestà, dobbiamo però segnalare a Casini che il pericolo di nuove elezioni potrebbe ripresentarsi. Letta ha chiaramente minacciato che, se questa maggioranza perdesse i suoi pezzi, il PD chiederà subito le elezioni: allora il diktat sarà accolto; questa volta – guerra o non guerra, bollette o non bollette, emergenza o non emergenza, PNRR o non PNRR – nessuno tentennerà sullo scioglimento delle camere.
La situazione che abbiamo davanti è molto grave. Sarebbe necessario un governo capace di fornire risposte adeguate al pericolo incombente di uno scontro sociale minacciato anzitutto dai fatti – recessione, disoccupazione, miseria crescente – ma anche dalla tentazione di alcune forze politiche di soffiare sul fuoco per imporre il cambiamento del quadro politico uscito dal 25 settembre; la mobilitazione generale è già in corso: dall’assedio mediatico con giornali e TV che ci informano sadicamente di tutte le nefandezze che, a loro avviso, la destra per sua natura dovrà necessariamente mettere in atto, alle minacce di vario genere, con le scritte sui muri firmate da stelle a 5 punte, o con striscioni col nome di La Russa capovolto, a testa in giù come a piazzale Loreto; e alle minacce di ricorso alle piazze in vario modo evocate.
Il segretario dimissionario/dimissionato del PD, dopo essersi mascherato con gli ‘occhi di tigre’ in campagna elettorale ora indossa gli abiti di Masaniello e minaccia di sollevare la piazza: «L’inizio è il peggiore che potesse esserci. La legislatura comincia con una logica incendiaria da parte di chi ha vinto le elezioni. Invece di riappacificare il paese, lo sta dividendo. Ma chi semina vento non può che raccogliere tempesta. Invito a considerare che questo metodo è davvero sbagliato. Si rompe ogni possibilità anche di un rapporto fra maggioranza e opposizione, che è un rapporto nell’interesse del paese … Io mi chiedo quale sia la logica perversa che c’è dietro queste nomine, che va contro l’interesse del paese. Noi non faremo sconti di alcun tipo … in Parlamento e nel Paese».
Certo, il povero Letta non poteva che mettersi all’inseguimento di Conte che minaccia l’insurrezione, ma con una bella differenza: Conte la farebbe per una causa seria, sebbene discutibile, qual è il reddito di cittadinanza, lui invece la farebbe per molto meno: per l’elezione di La Russa e di Fontana alla presidenza delle Camere. E lancia uno slogan guerrafondaio – Opposizione, Opposizione, Opposizione! – per fare fronte al pericoloso cambiamento del nome del ministero dell’agricoltura.