GLI EFFETTI DEL VOTO EUROPEO

GLI EFFETTI DEL VOTO EUROPEO

di Giuseppe Gullo

Com’è naturale, gli effetti del voto europeo si delineano con maggiore chiarezza man mano che il trascorrere dei giorni consente una riflessione più serena e una valutazione più ponderata. Il risultato positivo del PD, che ha raggiunto il 24% ben superiore alla soglia del 20 da molta giudicata problematica, ha consentito al gruppo dirigente del partito e alla sua segretaria di liberarsi da vincoli veri o presunti e farsi promotori di significative aperture. La c. d. “ala riformista”, battuta nelle primarie interne ma rafforzata dal risultato elettorale, non ha perso tempo per lanciare un appello agli sconfitti e specificamente a Renzi e Calenda per rientrare nel Partito che avevano lasciato per costruire un grande polo progressista e riformatore. L’invito rivolto da Bonaccini e Gori risponde a due logiche diverse e complementari. La prima, più propriamente politica, ha il significato di una disponibilità di massima che non prevede condizioni, almeno ufficialmente, e tende a superare veti e diffidenze esistenti nel gruppo dirigente democratico nei confronti dei capi di Azione e Italia Viva. Il ragionamento sotteso è che il tentativo che è stato fatto di dare vita a un polo di riferimento politico-elettorale fuori dal PD è fallito, che i ponti sono stati bruciati e che l’unica scialuppa disponibile parte dal largo del Nazareno, e chi decidesse di non prenderla potrebbe restare senza alcuna possibilità di navigare. La seconda, più tattica, corrisponde alla volontà del vincitore di offrire l’armistizio alle condizioni che saranno definite in seguito ma che, da che mondo è mondo, non sono mai state leggere per chi è stato sconfitto. Chi offre la tregua ha tutto da guadagnare e ne è consapevole. Se l’operazione si dovesse concludere positivamente segnerebbe un allargamento dello spazio elettorale, nell’ipotesi opposta il rifiuto sarebbe esclusiva responsabilità di chi non ha accolto l’invito.
I tempi sono brevi. Alcune scadenze come il ballottaggio a Firenze incombono e le conseguenti scelte avranno un peso. Diventa marginale, in un simile contesto, l’approfondimento di alcuni temi politici che dovrebbero, invece, essere al centro della discussione. La confusione aumenta se si leggono le dichiarazioni fatte in queste stesse ore da Boccia, capogruppo dem al Senato. Afferma il capo dei Senatori, molto vicino alla Segretaria, che l’asse con i 5 S è strategico, aggiungendo giudizi da vero e proprio fan sulle capacità del leader pentastellato. Sicuramente Boccia è sincero nell’esprimere i suoi giudizi e, forse, anche un po’ grato per la messe di voti che, involontariamente, Conte ha fatto perdere al suo movimento, e che in buona parte sono andati al PD.
Le questioni politiche tuttavia restano aperte. Il PD intende mantenere, intensificare o abbandonare l’idea del c.d. campo largo con i 5S? Pensano i democratici a una costituente di un nuovo soggetto politico alla quale partecipi anche AVS? O intendono procedere con annessioni singole e separate? L’appello a superare veti e pregiudiziali vale per tutti o solo per alcuni? Vi è inoltre il problema fondamentale delle compatibilità politiche, almeno sui temi di maggiore rilevanza internazionale e interna. Procedendo solo per titoli si possono indicare le diverse posizioni con AVS e 5S sulle due guerre in corso, e in particolare sull’invio di aiuti militari all’Ucraina e sulla questione palestinese. Sul ruolo e lo sviluppo dell’Unione Europea, dove lo scetticismo dei 5S è un problema o non lo è? Il PD intende privilegiare l’integrazione europea e la creazione di una difesa comune anche in considerazione della posizione degli USA sulla Nato? In politica interna ferma restando l’opposizione al premierato e all’autonomia differenziata, qual è la proposta del PD sul sistema elettorale e la forma di Governo? Sul referendum della CGIL, che intende abrogare una legge a suo tempo voluta dal PD, cosa propone? Qual è la posizione sul referendum abrogativo del Rosatellum promosso dal Comitato per la Rappresentanza, che tra l’altro intende eliminare la soglia per partecipare alla ripartizione dei seggi che rappresenta un’ingiusta penalizzazione delle formazioni minori che hanno diritto di esprimere nelle Istituzioni le idee di cui sono portatrici?
È evidente che l’eventuale scelta del PD di un’apertura verso il centro creerebbe una forte tensione con AVS e con i gruppi minori che si collocano alla sinistra dei democratici. L’alleanza verdi-sinistra ha ottenuto il 7% , la stessa percentuale di Azione e Stati uniti d’Europa se si fossero presentati uniti. Con due differenze notevoli che debbono essere sottolineate. La prima è che l’area del centro moderato, progressista, liberale e socialdemocratico vale una percentuale molto più alta. Il 10% conseguito da Forza Italia non ha avuto possibilità di scelta diversa dal votare il Partito fondato da Berlusconi. La frattura, politicamente incomprensibile, tra le altre due formazioni che gravitavano nella stessa area non offriva alternative. In condizioni diverse vi sarebbe stato un risultato inverso. Parliamo di ipotesi sulle quali non vi è possibilità di controprova ma l’elettore che non si riconosce nelle posizioni radicalizzate e contrapposte, se avesse potuto farlo si sarebbe orientato diversamente. FI sopravvive al suo fondatore e mentore e riuscirà a farlo fino a quando una proposta credibile e seria non sarà presentata in quell’area politica. È un azzardo dirlo? L’errore è non rendersene conto. L’altra differenza è politica in senso sostanziale. Le affinità in politica internazionale e interna del PD con l’area di centro progressista sono molte e tali da richiedere uno sforzo per trovare qualche differenza. Non è così con la sinistra un tempo detta antagonista con la quale, con buona volontà, occorre sforzarsi per trovare identità di vedute se si abbandonano gli slogan e si cerca il merito. A cominciare dai candidati simbolo sui quali, pro bono pacis, è meglio lasciar correre.

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