È Questo il momento giusto per riequilibrare gli squilibri tra nord e sud
di Giovanni Mollica
Responsabile Nuovo Meridionalismo
Da qualche giorno, i media nazionali danno spazio al conflitto che si è aperto tra Regioni e Comuni per aggiudicarsi la quota maggiore possibile di Recovery Fund. Nessuno sembra porsi il problema del perché queste risorse sono state assegnate all’Italia dall’Unione europea e in base a quali ragioni al nostro Paese è stata attribuita una quota maggiore che agli altri.
Le risposte sono quasi banali, nella loro semplicità – e ripetutamente fornite sul sito di Democrazia liberale -, ma media nazionali e gli stessi politici meridionali sembrano restii a prenderne atto e a darne le dovuta diffusione.
Va premesso che l’Ue ha varato il Next Generation Plan EU perché considera la riduzione delle diseguaglianze sociali ed economiche come lo strumento più efficace per innescare una crescita rapida e sostenibile. Inoltre, ha assegnato all’Italia più risorse che agli altri membri in quanto è il Paese che ha più bisogno di aiuti. Della qual cosa non c’è da vantarsi.
Lo dice, esplicitamente, la stessa Commissione europea: gli importi assegnati “saranno calcolati in base alla popolazione, all’inverso del prodotto interno lordo pro capite e al relativo tasso di disoccupazione di ciascuno Stato membro”. Ed e innegabile che il Mezzogiorno d’Italia è la più ampia area del continente col reddito più basso e la più alta disoccupazione.
Per chi avesse ancora dubbi, citiamo la recente dichiarazione del Commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni: “L’Italia ha ottenuto una sommatoria di risorse così rilevante grazie (si fa per dire!) allo stato di arretratezza infrastrutturale del Mezzogiorno e quindi obiettivo primario e fondamentale deve essere quello di garantire davvero la realizzazione di interventi organici proprio in tali aree”.
Oltre a indicare le somme che sarebbero andate a ogni Paese, la Commissione ha emanato una serie di suggerimenti – non vincolanti – sul modo nel quale ogni Paese membro dovrebbe gestire i fondi.
Nel Settembre 20202, coerentemente con tale visione, la Commissione europea, ha attribuito al Mezzogiorno oltre il 70% dei famosi 209 miliardi assegnati all’Italia ma, inopinatamente (?) i Governi italiani hanno prontamente derogato da tali indicazioni ridicendo drasticamente tale quota al 34% (Dicembre 2020, Governo Conte II, pag. 117 della bozza da inviare a Bruxelles), per poi risalire al 40% (Febbraio 2021, Governo Draghi). Quota, quest’ultima, consacrata non si sa in base a quale principio dal Ministro per il Sud, Carfagna: “destinare al nostro Sud il 40% delle risorse italiane è giusto”.
Va riconosciuto che la determinazione della percentuale esatta non è facile in quanto burocrati e tecnici hanno – furbescamente e con la regia del Governo – inserito nel calcolo concetti come “territorrializzabilità” e riesumato vecchie opere programmate e finanziate da tempo mediante i Fondi europei di Sviluppo e Coesione. Già di pertinenza del Mezzogiorno. Ed è a causa di tale rimescolamento delle carte che il Ministro Giovannini (MIMS) si perita di sostenere che la quota destinata al Meridione – limitatamente alle infrastrutture di sua competenza – oscilla tra il 50 e il 60%. Ma sono pochi a credergli.
Se le cose stanno così – e stanno così -, in base a cosa vi sono Sindaci e Governatori di diverse forze politiche – guidati da Sala, Gori e Fontana – che vorrebbero ulteriormente ridurre la quota destinata al Meridione, già ampiamente al di sotto del dovuto?
Riportiamo le parole del sindaco di Milano, tratte da la Repubblica dell’11 Febbraio: “Sono preoccupato perché il PNRR è stato previso sulle spalle dei Comuni e non tutti i Comuni hanno l’organizzazione e le strutture tecniche per svolgere un compito simile. I soldi non vanno sprecati e restituiti all’Europa” come per tanti anni “è successo con i fondi europei”.
In altre parole, visto che alcuni enti locali (meridionali) non sono in grado di utilizzare queste somme, il Governo deve toglierle e loro e darle a noi.
Un ragionamento doppiamente sbagliato – per non dire truffaldino -, sia in quanto una ruberia resta una ruberia, anche se fatta con destrezza; sia perché un Governo che si rispetti ha il dovere di seguire le indicazioni del finanziatore, senza infrangerle solo in quanto ritiene che qualcuno non sarà in grado di farne l’uso previsto.
Per onestà intellettuale va riconosciuto che molti Comuni e Regioni (soprattutto del Sud) non hanno la capacità progettuale di gestire somme così rilevanti ma questa è un’eventualità ampiamente prevista nella nostra Carta costituzionale. Colpevolmente quasi mai utilizzata.
Agli Artt. 117 e 120, infatti, è detto che lo Stato può – e deve, aggiungiamo noi di Democrazia liberale – attivare i “poteri sostitutivi” e intervenire per migliorare la capacità progettuale dell’Ente che “non ce la fa”.
E’ in tale situazione che la politica diventa Politica e Democrazia liberale si propone di differenziarsi dalle altre forze politiche, totalmente silenti sul tema.
Il Governo Draghi deve scegliere se continuare a favorire le corporazioni e le lobby – spesso pubbliche, visto che lo Stato intermedia più della metà della ricchezza nazionale – o porsi dalla parte di un’Europa celebrata quando conviene e volgarmente tradita quando non conviene ai soliti noti.