DOPO LE ELEZIONI, I PARTITI ALLA PROVA DEI PROBLEMI

DOPO LE ELEZIONI, I PARTITI ALLA PROVA DEI PROBLEMI

di Giuseppe Gullo

Il risultato elettorale che ha visto il PD sconfitto come partito e come perno della coalizione di sinistra, ha fatto deflagrare, com’era prevedibile, la crisi latente dei democratici i cui esiti sono avvolti nella nebbia più fitta. L’esame e la riflessione sulle cause della cocente sconfitta, superiore perfino al dato numerico se consideriamo la situazione nel suo complesso, sono estremamente difficili così come lo è l’individuazione del giusto percorso da intraprendere per arrivare all’avvio di un processo di reale rinnovamento e modernizzazione dal quale dipende, secondo la mia opinione, la sopravvivenza di un partito che ha una grande storia e che, dopo la scomparsa del PSI, è il più antico partito italiano. La storia è importantissima e costituisce un patrimonio che non deve essere disperso per i valori che esso rappresenta e per quanto ha significato per l’Italia e il mondo intero. La fine del PSI nel  volgere di pochi mesi ha dimostrato che non basta un grande passato, e quello socialista lo era quanto e forse più di quello comunista, sebbene la prima causa di quella scomparsa, come per la DC e gli altri Partiti storici del nostro Paese, abbia avuto origine da cause esogene al sistema politico in senso stretto.

Il dibattito è aperto anzitutto nel partito e nei suoi organi dirigenti e fuori da esso soprattutto tra il ceto intellettuale che in larga parte lo ha sostenuto e continua a farlo. Questo è ovviamente molto importante ma non è sufficiente anzi, se il confronto non si amplia estendendosi ad altri ceti altrettanto importanti della società, rischia di ingrandire e divaricare ancora di più una frattura che è stata avvertita da molti, quella di un partito costituito da ceti medio–alti, con elevato livello culturale e con grande difficoltà a cogliere bisogni, tendenze, sensibilità e umori dei ceti meno abbienti, dei senza lavoro, delle donne che vivono realtà disagiate, degli studenti, di chi vive nelle grandi periferie urbane,  in sostanza del mondo lontano dalle “ZTL”. Il PD attuale è questo e se rimane così inevitabilmente sarà ancora di più partito di élite del quale i ceti popolari, come sta avvenendo, saranno sempre più lontani, andando in cerca di altri approdi paradossalmente sul versante politico opposto, tradizionalmente e storicamente schierato dall’altro lato della barricata, per usare un’espressione desueta e perfino nostalgica.

I corvi in queste circostanze si alzano in volo numerosi e famelici pregustando la soddisfazione, senza prezzo per loro, di intonare il de profundis per il partito che ritengono responsabile di quasi tutte le sventure del Bel Paese.

Eppure da noi, come in tutte le grandi democrazie occidentali, vi è forte la necessità di un grande partito riformista moderno e innovatore, aperto al molto di nuovo che viene fuori dalla società moderna nella quale nuove conquiste e nuovi orizzonti si aprono dissolvendo nebbie che sembravano eterne. L’intelligenza artificiale, su questo versante, dischiude orizzonti inimmaginabili, perfino inquietanti ma sicuramente esaltanti, mentre la fisica quantistica ridefinisce la realtà in modo diverso dopo due millenni.

A fronte di queste novità che si stenta a immaginare, assistiamo a fenomeni, apparentemente di segno opposto, nel mondo strano e particolare della politica che lasciano senza parole. I 5S, reduci da un quinquennio nel quale hanno dato prova di cosa non bisogna fare per un buon governo, pur avendo dissipato oltre la metà voti ricevuti nel 2018, riescono a mantenere il 15% dei consensi, cantando vittoria e affidandosi all’unico premier della storia del mondo divenuto tale senza sapere come, e che oggi ha l’impudenza o la tracotanza, dipende dai punti di vista, unico capo partito, di partecipare alla manifestazione di piazza della CGIL, che mi è sembrata, per usare una metafora calcistica, il classico tiro da centrocampo, senza pretese e senza senso, frutto di frustrazione e di mancanza di idee. Mentre in Sicilia, tradizionalmente terra di sperimentazioni fantasiose e talvolta ardite, dal milazzismo a Crocetta, da Cuffaro a Lombardo, un Partito neonato frutto dell’immaginazione di un personaggio originale e, a modo suo, folcloristico, senza programma, senza organizzazione e senza classe dirigente, prende oltre mezzo milioni di voti, il 24% regionale, un deputato, un senatore e otto consiglieri regionali su 70.

Questo per dire che non possiamo utilizzare parametri tradizionali per discutere di nuove realtà politiche né possiamo tornare a discutere di categorie tramontate definitivamente che nessuno può fare resuscitare. Vi è latente nella società multi mediatica, forse più che in quella ingessata e conformista d’inizio 900, il desiderio di avere un uomo solo al comando al quale affidarsi e nel quale riporre speranze e ambizioni. Se poi porta la gonna, proviene da una borgata romana e ha avuto una vita difficile o è figlio di contadini di un piccolo centro dell’entroterra di una provincia del profondo Sud, è pure più esaltante.

Quale Partito? L’unica proposta interessante che ho letto, oltre ai generici e vuoti appelli di tanti soloni nuovi o stagionati, è quella di Barca che, a mio avviso, dovrebbe subito essere richiamato per fare delle sue agorà la base dalla quale prendere le mosse e selezionare una nuova e giovane classe dirigente. Su quali contenuti? Un Partito del Lavoro e per il Lavoro, dei diritti e per i diritti, che faccia le sue battaglie senza timidezze nel Paese e in Parlamento rompendo alcuni abbracci mortali che l’hanno condizionato negli ultimi trent’anni.

Con chi? Con tutti coloro che vogliono il progresso nella Democrazia e che non siano sempre sulla sponda dei no; no agli inceneritori, i degassificatori, alla ricerca del gas e del petrolio, al nucleare sicuro e a tutto ciò che ci consenta di andare avanti insieme ai Paesi con i quali siamo alleati e che hanno contribuito a fare della piccola (geograficamente) Italia una grande Nazione.

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