Dalle confessioni di Palamara ai cellulari smarriti
di Peppino Gullo
Nessuno è così ingenuo da credere che Palamara racconti tutto quello che sa e neppure soltanto una buona parte. Riferisce al suo intervistatore, che gli fa da spalla egregiamente, quel che gli conviene dire raccontando, quasi sempre, fatti che riguardano personalità ormai fuori dalla scena politica o in declino, e inserendo messaggi cifrati indirizzati ad altri che, invece, sono ancora in sella. D’altro canto deve difendersi da accuse molto gravi che provengono dallo stesso ambiente che ha frequentato e di cui è stato protagonista, con successo come lui stesso riconosce, per molti anni.
Il libro è diviso per capitoli e quello che ha per protagonista Berlusconi aggiunge qualche novità non trascurabile a quanto era già noto o si supponeva. In questa vicenda, peraltro, Sallusti è un protagonista in quanto, come redattore del Corriere della Sera, fu il destinatario di una copia dell’avviso di garanzia che la Procura di Milano notificò a mezzo stampa al Presidente del Consiglio mentre a Napoli presiedeva una riunione con la presenza di rappresentanti di Paesi stranieri al massimo livello. Il quotidiano milanese pubblicò la notizia con grande rilievo prima che l’avviso fosse notificato all’interessato scatenando un vero e proprio caso politico, istituzionale e giudiziario. La Procura avviò un’inchiesta per accertare le responsabilità della fuga di notizie e dispose la perquisizione dell’abitazione di Sallusti. Quest’ultimo, informato per tempo del provvedimento, fece sparire i documenti, portati fuori casa dalla moglie nella sua borsa e poi bruciati nel bagno del parrucchiere della signora.
A questo punto ho pensato di chiudere il libro e non proseguire la lettura. Poi mi è venuta in mente qualche scena della Pantera rosa, ho sorriso e ho continuato. La domanda tuttavia è sorta spontanea: la vicenda doveva sembrare incredibile fin dall’inizio se nessuno aveva avuto un pizzico di fantasia per darvi una maggiore parvenza di credibilità. Mancava solo il perquisito che inghiotte il foglio di carta per farla completa! Accontentiamoci di quanto ci dicono!
Palamara, all’epoca Presidente dell’ANM, ricostruisce la situazione politica e istituzionale dopo la schiacciante vittoria del centrodestra alle elezioni del 2008. Berlusconi sa che è accerchiato dalla magistratura e pensa di potersi salvare con l’approvazione di una legge che preveda l’immunità per le più alte cariche dello Stato. La legge viene approvata a tamburo battente e promulgata dal Presidente Napolitano. A quel punto apertamente l’ANM si schiera per l’illegittimità costituzionale della legge insieme all’opposizione parlamentare e alla grande stampa. La Procura di Milano, con l’aggiunto De Pasquale, solleva l’eccezione subito accolta dal Tribunale e inviata alla Corte Costituzionale per la decisione.
A questo punto Palamara si muove con i piedi di piombo. Disquisisce sulle funzioni e sulla composizione della Corte. Dice che i due terzi dei membri sono di orientamento ostile a Berlusconi. Non parla d’interventi esterni sui membri della Corte se non per riferire della cena tra Berlusconi, Letta, Vizzini, Mazzella e un altro componente del Collegio, resa pubblica per mettere in difficoltà il Presidente del Consiglio. Imbastisce invece una discussione sui collaboratori dei Giudici, in massima parte magistrati che lui conosceva bene, per affermare che, come nei Ministeri contano i capi di gabinetto e i direttori generali, alla Corte sono i collaboratori a predisporre tutto e i Giudici, spesso, si limitano a firmare.
Se è vero che in qualunque organo collegiale gli affari rutinari sono quasi sempre lasciati alla valutazione del relatore, nel caso specifico la questione era talmente delicata e importante che nessuno dei Giudici era disponibile a non occuparsene direttamente; nel caso specifico, trattandosi di una questione, come la decisione sulla legittimità costituzionale di una legge che coinvolgeva le massime cariche dello Stato e garantiva uno scudo impenetrabile, ognuno dei Giudici aveva tutto l’interesse a leggere e studiare le carte con grande attenzione.
Lo stesso esito della votazione, che vide prevalere la dichiarazione d’illegittimità per nove voti contro sei, ne è una conferma. Palamara non vuole dire altro pur attribuendosi il ruolo di chi era in condizione di interloquire con i magistrati distaccati presso la Corte per fare prevalere la linea dell’ANM favorevole alla dichiarazione d’incostituzionalità e fortemente contraria al Governo Berlusconi. Afferma tuttavia che la Corte per adottare quella decisione aveva modificato il precedente orientamento espresso due anni prima, allorché si era pronunziata sul c.d. lodo Schifani, smentendosi nuovamente nel 2013 in occasione della decisione con la quale ordinò l’immediata distruzione delle registrazioni delle telefonate del Presidente Napolitano con l’ex ministro Mancino, riconoscendo un diritto alla riservatezza non accordato ad altre cariche dello Stato. Come dire, in modo molto edulcorato, che la Corte nel caso Berlusconi si adeguò alle richieste del “sistema” consentendo alla Magistratura ordinaria di vincere il braccio di ferro e di creare le premesse per il ribaltone politico che arriverà dopo due anni. Mi sembra difficilmente contestabile che Berlusconi sia stato allora abbattuto da una potentissima coalizione della quale la magistratura era il braccio armato, pur riconoscendo che il cavaliere aveva prestato il fianco, in molte occasioni, a diventare un facile bersaglio.
Allo stesso modo, è indubitabile che il ruolo attivo della stampa sia stato determinante. Ancora oggi a distanza di molti anni dai fatti, nessuno dei protagonisti dello scoop cita quale fu la sua fonte che fece avere la copia dell’avviso di garanzia al Presidente del Consiglio, di cui erano a conoscenza pochissime persone, mentre i giornalisti che di quella notizia sensazionale furono i latori sono in piena attività e sulla cresta dell’onda. A questo riguardo, avrà pure un qualche significato il fatto che Palamara scriva che le notizie sull’inchiesta che lo riguardava le aveva avute anticipatamente da Bianconi del Corriere della Sera, mentre il contenuto dei verbali che Storari consegnò a Davigo lo aveva saputo da Milella di Repubblica. I giornali fanno sicuramente il loro mestiere, ed è giusto che sia così, ma le anteprime, le confidenze, i consigli rientrano nei loro compiti? A questo proposito, forse vale la pena rilevare che il Giornale, di cui è editore Berlusconi, pubblica un’intervista di Cirino Pomicino che racconta che l’ing. De Benedetti nel 1991, un anno prima dell’inizio di tangentopoli, gli confidò che un importante e potente gruppo di imprenditori aveva deciso di puntare sul PDS che aveva scelto la strada riformista rompendo definitivamente con il passato. Lo stesso ex ministro democristiano, andreottiano di ferro, riferisce che nel settembre di quello stesso anno, al Forum Ambrosetti, si rese conto che l’atteggiamento dei rappresentanti dei poteri forti nei loro confronti era cambiato radicalmente. Forse si sta aprendo una stagione nella quale ad alcuni sta tornando la memoria e potremmo assistere a spettacoli con copioni riscritti.
Palamara sostiene che la decisione di fargli l’imboscata con il troian inserito nel cellulare fu presa per toglierlo di mezzo per avere spostato l’asse della maggioranza di governo della magistratura dal centro sinistra al centro destra. Mi pare un tentativo di dare veste politica a una lotta per bande, portata avanti senza esclusione di colpi per il controllo di un Potere che, da tempo, è il più forte e che controlla gli altri senza essere controllato.
Un’ultima osservazione. E’ veramente singolare la distrazione di questi importanti magistrati. Il PG della Cassazione, il Procuratore di Milano e lo stesso Palamara hanno perso i telefonini quasi contemporaneamente. Immaginate cosa potrebbe accadere se qualcuno li ritrovasse?