DAL PASSATO SPUNTA QUALCHE MEMORIA E QUALCHE NOSTALGIA

DAL PASSATO SPUNTA QUALCHE MEMORIA E QUALCHE NOSTALGIA

di Giuseppe Gullo

Colpisce il fatto che recentemente uomini politici, che hanno ricoperto incarichi di grande rilievo nella c.d. prima Repubblica, rendano noti episodi di cui sono stati protagonisti decenni prima e che furono vicende di straordinaria importanza, alcune delle quali cambiarono la Storia italiana.
Lo ha fatto Giuliano Amato attribuendo con certezza alla Francia la responsabilità del disastro aereo di Ustica; ha proseguito Veltroni riferendo i retroscena che portarono alle dimissioni di Leone da Presidente della Repubblica durante i drammatici giorni successivi all’epilogo del rapimento di Moro; si è inserito Signorile riferendo la missione segreta fatta per conto degli Stati Uniti per chiedere l’intervento di Arafat nei confronti di Khomeini per ottenere la liberazione di prigionieri americani; è di questi giorni l’intervista a Parisi, esponente di punta dell’Ulivo e uomo di fiducia di Prodi che ricostruisce i fatti che portarono alla caduta del Governo nel 1998 e alla sostituzione di Prodi con D’Alema a Palazzo Chigi.
Sono tutte vicende molto lontane ma i cui effetti sono ancora ben presenti nella vita politica del nostro Paese. Non c’è dubbio che quella di gran lunga più rilevante fu il rapimento e l’uccisione del Presidente DC, ancora oggi per molti aspetti misteriosa. Resta senza risposta un gran numero di domande e tra esse quelle fondamentali: chi mosse realmente le fila di un’operazione preparata e condotta con grande abilità e determinazione? fu fatto tutto il possibile per individuare il covo nel quale veniva tenuto prigioniero il Presidente della DC? Quale fu il ruolo dei servizi italiani e della CIA? La linea della fermezza a quale logica politica corrispondeva? Perché i capi della DC, compreso Andreotti, non assecondarono la volontà di Paolo VI di liberare Moro? Ciò che è certo è che ancora oggi quella vicenda pesa sulla vita politica italiana e che tanti episodi di cui furono protagonisti i massimi esponenti delle Istituzioni di allora periodicamente vengono alla luce, com’è avvenuto qualche giorno fa con il memoriale di Veltroni sulle dimissioni del Presidente Leone.
Arturo Parisi fu uno dei protagonisti della breve e sfortunata stagione dell’Ulivo. Il suo stretto rapporto politico con Prodi e i ruoli rivestiti di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e di Ministro della Difesa gli consentirono di essere un protagonista di primo piano in tutta la stagione prodiana e in particolare nella fase che si concluse con la caduta del Governo battuto alla Camera per un voto di differenza sulla fiducia alla legge finanziaria. L’ex Ministro ricostruisce dettagliatamente quelle giornate convulse con particolari inediti che lo videro in prima linea. Il suo assunto di fondo, non peregrino, è che i fautori del “partitismo” volessero riappropriarsi totalmente del potere decisionale. Ritenevano l’esperienza dell’ulivo un accidente, una parentesi obbligata da chiudere al più presto. L’obiettivo era quello di portare il Paese dentro la moneta unica. Conseguito questo risultato, la parentesi doveva essere chiusa e i Partiti avrebbero dovuto tornare a essere gli arbitri dei destini personali e collettivi.
Bertinotti che guidava Rifondazione era d’accordo e si era determinato a dichiarare il disimpegno del suo Partito dalla maggioranza. In Rifondazione Cossutta e Diliberto erano invece di parere opposto e intendevano portare avanti l’esperienza del Governo Prodi e della coalizione che aveva vinto le elezioni, seppure con margine molto ridotto. Parisi ammette onestamente che in realtà la vittoria dell’Ulivo era stata favorita in modo determinante dalla decisione della Lega di correre da sola. Non vi era una maggioranza di elettori che aveva scelto l’Ulivo. Parisi incontrò Diliberto a Cagliari in gran segreto per concordare una condotta comune in vista della verifica parlamentare. Entrambi erano consapevoli che Bertinotti aveva la maggioranza in Rifondazione e che sarebbe andato avanti sulla strada del disimpegno dalla maggioranza. Sapevano anche che se tutti gli alleati fossero stati leali con il Governo avrebbero comunque avuto la maggioranza anche se di pochi voti.
Il fatto era, Parisi lo dice con chiarezza, che D’Alema aspirava a succedere a Prodi e che aveva stretto un patto con il PPI che prevedeva il suo ingresso a Palazzo Chigi e l’elezione di Franco Marini alla Presidenza della Repubblica, allora ritenuta meno importante della Presidenza del Consiglio. I fatti, come sappiamo, andarono diversamente, in parte. Marini non riuscì ad essere eletto Presidente della Repubblica, mentre D’Alema sostituì Prodi a Palazzo Chigi col contributo determinante di Cossiga che inventò un Partito solo per raccogliere i voti necessari al primo post-comunista della storia repubblicana di sedere sulla poltrona di Capo del Governo. Lo stato dei rapporti tra Prodi e D’Alema è fotografato dalla conversazione tra i due uomini politici relativa alla candidatura del primo alla Presidenza dell’UE. D’Alema, Presidente del Consiglio in carica, è molto freddo sulla candidatura Prodi evidenziando la difficoltà di sostenerla in sede comunitaria in presenza di azioni non gradite da parte del leader ulivista contro il Governo da lui presieduto. Parisi racconta che Prodi, alla fine del colloquio, rispose in inglese, della cui conoscenza amava fare sfoggio, “I got it“, ho capito! Nonostante la freddezza di Dalema, Prodi riuscì ad ottenere la nomina comunitaria, unico italiano nella storia europea.
Il punto cruciale dell’intervista di Parisi, tuttavia, non è questo. E’ l’affermazione che l’Ulivo fu un tentativo di “rivoluzione di partito se non proprio di Stato“. L’affermazione è impegnativa e probabilmente eccessivamente incline ad attribuire all’Ulivo e ai suoi fautori un disegno organico che, forse, aveva in mente soltanto qualcuno. Se inquadriamo il periodo storico in cui la coalizione nacque e partecipò alle elezioni politiche insieme alle storie personali e politiche di coloro che si intestarono quel disegno, dobbiamo pervenire a conclusioni diverse almeno parzialmente. Il centro sinistra era reduce dalla cocente e inattesa sconfitta della “gioiosa macchina da guerra” che segnò la fine politica di Occhetto e della svolta della Bolognina.
I post-comunisti non hanno mai fatto un’analisi auto critica delle ragioni per le quali hanno perduto elezioni che non potevano non vincere. Hanno creduto, sbagliando, di potere essere auto sufficienti e che l’appoggio che era loro venuto dall’azione della magistratura dovesse necessariamente consegnare a loro, parte migliore e più sana del Paese, la responsabilità di guidarlo come fatto ineluttabile e necessario. È stato così che hanno avuto un atteggiamento di chiusura e di supponenza nei confronti di tutte le altre forze annientate dall’onda populista di mani pulite, ma ben presenti nella realtà del Paese della quale erano parte non secondaria. Hanno deriso e vilipeso i Socialisti e i Socialdemocratici che erano i legittimi rappresentanti di coloro che stavano dalla parte che la Storia aveva giudicato in modo definitivo come quella dei diritti, della Libertà e del progresso quando loro inneggiavano alle grandi conquiste dell’URSS e ai destini esaltanti dei figli della Rivoluzione d’ottobre. Hanno ignorato la grande tradizione del cattolicesimo democratico e della DC che per oltre quarant’anni aveva garantito al Paese progresso nella Democrazia, pur con le contraddizioni che conosciamo dello sviluppo duale. Non hanno neppure sfiorato, snobbandoli, i valori del Liberalismo che pure avevano espresso statisti del livello di Einaudi e che avevano contribuito significativamente alla crescita del Paese. La risposta fu quella che sappiamo e la scelta degli elettori cadde su colui che seppe cogliere l’esistenza di questo bisogno di non essere omologati restando, per quanto possibile, padroni del proprio futuro.
L’ulivo era una risposta a tutto questo e puntava a superare quello che Parisi definisce il partitismo? Non l’albero che abbiamo conosciuto e che fu reciso dalle stesse persone che lo avevano coltivato perché forse non aveva radici profonde tali da arrivare fino allo strato in cui l’humus consente di nutrirsi senza avere sostanze chimiche additive. Fu politicamente un tentativo federativo abortito non ripetuto e non ripetibile.
Considerato oggi, nel momento in cui il capo di un movimento qualunquista e populista “consiglia” alla Segretaria del PD di cambiare il suo Partito per potere dialogare con quello che egli rappresenta, l’Ulivo sembra un’oasi con intorno un immenso deserto.

 

Fonte Foto: FlickrRosy BindiCC BY 2.0 Deed

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