CRESCE IL DIVARIO ECONOMICO E SOCIALE TRA LE DUE ITALIE

CRESCE IL DIVARIO ECONOMICO E SOCIALE TRA LE DUE ITALIE

di Giuseppe Gullo

Vi sono alcune verità storiche non contestabili. Una di queste è il fatto che il Mezzogiorno dell’Italia unificata ha pagato un prezzo altissimo in termini economici e sociali per consentire al Paese di svilupparsi nelle regioni del centro nord fino a raggiungere i livelli delle aree più produttive della Mitteleuropa. Ciò ha comportato l’esodo in massa di manodopera generica dalle campagne verso il nord e l’estero, l’abbandono e il progressivo crollo di antiche attività industriali che avevano rappresentato una grande realtà per molti decenni. Per quanto riguarda l’area dello Stretto, mi riferisco in particolare all’industria delle essenze e a quella della seta nelle quali il sud della Calabria e il messinese erano stati leaders mondiali.
Il “mito” costruito da una parte della storiografia ispirata dalle grandi lobby del nord, secondo cui il sud povero e straccione è stato la palla al piede dello sviluppo del Belpaese, è stato da tempo smascherato. Ha preso corpo da quel momento l’Italia duale, nella quale  le aree depresse del Mezzogiorno non sono riuscite a risalire la china e il divario con il centro nord è andato aumentando fino a raggiungere i livelli attuali fotografati dai dati dell’occupazione e dal reddito pro-capite che vede attualmente una differenza di circa 15.000 euro a favore delle regioni del centro nord.
Una vera politica meridionalista non è mai stata portata avanti né nei 45 anni di Governo a guida DC, né nei quasi 30 della così detta seconda Repubblica nei quali è difficile individuare chi ha governato, se qualcuno l’ha realmente fatto. L’intervento straordinario attraverso la Cassa del Mezzogiorno, benché abbia consentito di realizzare opere infrastrutturali significative, è stato sostanzialmente una  macchina mangia soldi utilizzata per lo più da una parte della grande industria del nord che ha usufruito di grandi contributi per creare cattedrali costruite sulla sabbia poi rapidamente crollate al primo vento di scirocco. Termini Imerese con la Fiat e Villafranca Tirrena con Pirelli, oltre a Priolo e Milazzo e altro ancora, sono esempi che ancora gridano vendetta sotto il cielo della Trinacria.
Le classi dirigenti siciliane, ma credo anche quelle delle altre Regioni meridionali sebbene di quest’ultime non conosca i dati ufficiali, hanno dato un fondamentale contributo negativo nella direzione di aumentare il divario tra le due Italie. L’ultimo in ordine di tempo è quello che si sta consumando in questi mesi. L’Europa ha assegnato alla Sicilia oltre 4 miliardi di euro nell’ambito del piano FESR 2014-2020. La data finale (2020) è esatta, non stupisca, ed è stata prorogata a fine 2023. Ebbene in nove anni, per esplicita ammissione della Regione, più di 2 miliardi di euro non sono stati spesi e torneranno nella piena disponibilità della Commissione Europea che li utilizzerà diversamente. Si tratta di somme destinate a migliorare la disastrosa situazione dello smaltimento dei rifiuti (che passa da un’emergenza all’altra e che, secondo molti, rappresenta uno dei settori di massima infiltrazione mafiosa), a intervenire nella prevenzione del rischio sismico negli edifici pubblici e privati, a combattere il dissesto idrogeologico,  a migliorare i servizi turistici, tanto per citare alcuni dei settori nei quali centinaia di milioni andranno perduti.
Viene spontaneo chiedersi come sia possibile che in nove anni una Regione con un apparato burocratico elefantiaco, all’interno del quale vi sono sicuramente anche ottime professionalità, non sia riuscita a utilizzare somme così rilevanti in settori strategici per l’economia siciliana. I Presidenti e gli assessori che si sono succeduti cosa hanno fatto al riguardo, oltre che dichiarare davanti a tragedie ben prevedibili “Salviamo il salvabile”? Quali concrete e ragionevoli speranze vi sono che un analogo disastro non avvenga con il PNRR e con la gran quantità di finanziamenti che stanno arrivando da Bruxelles?
Su queste enormi manchevolezze della classe dirigente siciliana alligna e si alimenta il populismo qualunquista e megalomane di chi si sente il nuovo Viceré. Consiglierei infatti di leggere il magnifico romanzo di De Roberto, che ha questo titolo, e che a mio avviso è, molto più del Gattopardo, un affresco mirabile storico-letterario di un’epoca segnata da profonde ingiustizie sociali ma anche da Corti illuminate e da personaggi di grande cultura di livello europeo. C’è da augurarsi che una nuova classe dirigente isolana presto, molto presto, rivendichi il diritto di riportare l’Isola ad essere ciò che la storia e la collocazione geografica le hanno assegnato: faro culturale  ed economico del Mediterraneo, mai come adesso “Mare nostrum”!

 

Fonte Foto: WikipediaUsuario:Mnemoc  – CC BY-SA 3.0

Commenta questo articolo

Wordpress (0)
Disqus ( )