Cortei per conto terzi *
di Guido Di Massimo
Quella di fare cortei era più di un’antica abitudine di famiglia: era una tradizione. Una volta erano specializzati nell’organizzare processioni dietro le statue dei santi; poi, quando le processioni non andarono più di moda, si adeguarono ai cortei dietro politici, sindacalisti e chiunque altro fosse interessato a far conoscere sé stesso e il proprio pensiero. All’occasione non disdegnavano di organizzare cortei per funerali.
Era anche un modo per fare passeggiate e quattro chiacchiere in compagnia e per sentirsi vivi e partecipi della comunità in cui vivevano.
Con gli anni erano diventati veri e propri esperti e cominciarono a fare consulenze a pagamento.
A chi chiedeva consulenze facevano riempire un modulo dove chiedevano tutte le informazioni necessarie per l’organizzazione dei cortei. Per organizzare un corteo era importante conoscerne lo scopo, il tipo di persone che si voleva intervenisse, dove si proponeva di farlo passare, se lo si voleva pacifico o arrabbiato o violento, se si volevano fare o no danni al loro passaggio, se a tutti e ovunque, oppure solo ai supermercati o alle banche o ai cassonetti dell’immondizia o alle automobili, specificandone la marca, e se alle grandi o alle piccole utilitarie o a tutte.
Avere queste informazioni era importante: è diverso organizzare cortei con mamme, bambini e carrozzine per protestare contro il prezzo eccessivo dei pannolini, oppure organizzare quello di vacanzieri e gitanti per il diritto alle vacanze con sconto, o quello per sindacalisti o per no-tav, oppure un corteo con mucche, pecore e maiali per gli allevatori.
I consulenti consigliavano sui vestiti da portare: se far prevalere i multicolori di mamme, bebè e carrozzine, o il rosso vivo degli urlanti arrabbiati, o il severo grigio della maggioranza silenziosa. E consigliavano anche sul portamento, cosa portare per richiamare l’attenzione: megafoni, fischietti, trombe, tamburelli, campanacci, pentole, padelle, barattoli, petardi o altro ancora; oppure, a volte, consigliavano l’agghiacciante silenzio che definivano “assordante”. E consigliavano sul passo da tenere e sulle distanze tra i partecipanti, cose importantissime: da esse dipendeva il far apparire oceanici anche cortei oggettivamente modesti. Preparavano anche cartelli di tutti i tipi e adatti a tutti gli usi, che in realtà avevano già in magazzino; allo stesso modo preparavano slogan da far dire o cantare in coro e offrivano un servizio fotografico come nei matrimoni.
Diventarono così bravi che si specializzarono anche per realizzare cortei per conto terzi. Avevano stipulato accordi con ditte interinali che fornivano il personale che loro istruivano, fornivano di cartelli e oggetti “da confusione” e nel giro di due o tre giorni erano in grado di organizzare cortei ovunque, di qualunque tipo e per qualunque fine. Bastava pagare. Anche i centri sociali si rivolgevano a loro, chiedendo però forti sconti giustificati dal fatto che i loro cortei avevano scopi che erano sociali per definizione.
Il lavoro aveva il difetto di essere stagionale, legato molto ai rinnovi contrattuali, alle elezioni politiche e a iniziative del governo e dei sindaci. Il settore che però “tirava” sempre senza troppi scossoni era quello dei funerali. A parte qualche impennata invernale per epidemie da influenza, le richieste erano abbastanza regolari. La fama della loro serietà era tale che era invalsa l’abitudine di garantirsene i servizi pagando in anticipo: chi non aveva parenti o amici che ne avrebbero seguito il funerale, o chi voleva assicurarsi un corteo da funerale con bandiere, musica, applausi, persone che piangessero e servizio fotografico, bastava firmasse un contratto pagando ovviamente in anticipo.
L’organizzazione di cortei per conto terzi fu particolarmente importante per dare voce “arrabbiata e decisa” a chi per ragioni “istituzionali” aveva qualche problema ad agire in proprio: sono arrivati ad avere tra i loro clienti anche poliziotti, carabinieri, suore, sacerdoti, deputati, senatori, galeotti e giudici.
Ora sono talmente ben avviati che pensano di aprire filiali all’estero; ovviamente, secondo le buone tecniche dell’economia e del commercio hanno intenzione di entrare in mercati privi di questi tipi di servizi, dove quindi non c’è concorrenza e dove si possono fare affari d’oro.
Stanno già pensando all’Arabia Saudita, alla Russia, alla Cina, all’Egitto e alla Turchia dove sanno che saranno accolti a braccia aperte.
* tratto dall’opera di Guido Di Massimo, “Il cane col papillon” (edizioni Robin), per gentile concessione dell’Autore