CHI PAGHERÀ IL CONTO DI QUESTA CRISI?
di Giuseppe Gullo
Mi è capitato nei giorni scorsi di discutere delle difficoltà del nostro mondo, quello Occidentale, in questi primi decenni del XXI secolo. Il mio interlocutore ed io consideravamo che abbiamo avuto la fortuna di vivere il più lungo periodo di pace dopo oltre tre secoli di guerre. La nostra generazione ha vissuto il boom economico ed ha visto la trasformazione dell’economia agricola in industriale, l’esodo biblico dalle campagne alle città e dal sud verso il nord, l’America e i Paesi del centro Europa, il ‘68 e la voglia di cambiamento che esso conteneva, il Vietnam e i massacri in nome della Democrazia e della lotta ai regimi autarchici, fino ad arrivare alla brutale aggressione Russa nel cuore dell’Europa, che di fatto ha posto fine a decenni di pace nel vecchio continente.
Guardiamo adesso con occhi diversi a un futuro che non ci appartiene ma che è dei nostri figli, dei nipoti e delle giovani generazioni. Sappiamo che tutto deve essere valutato con la bilancia della Storia per verificare se i risultati raggiunti e i costi pagati hanno un segno positivo o negativo. Tutto sommato, credo, che l’Europa possa segnare un saldo attivo, fino all’inizio dell’anno, in un conteggio che non può ovviamente essere matematico quanto piuttosto inserito in una valutazione globale nella quale i giudizi non possono che essere di lungo periodo.
Il mondo in cui viviamo è migliore di quello che abbiamo conosciuto all’inizio della nostra esistenza? Il cittadino ha una maggiore tutela dei propri diritti? Vi è stato un allargamento in senso orizzontale delle tutele individuali? Io credo di sì pur consapevole delle enormi ingiustizie dentro il nostro Paese con milioni di persone sotto la soglia di povertà e grandi problemi irrisolti a cominciare dalla crescente differenza tra Nord e Sud, e ancora di più fuori dai nostri confini con interi continenti depredati delle loro risorse e gli abitanti privati di ogni diritto, perfino di quello ad una vita dignitosa sopra il limite della sopravvivenza.
La speranza tuttavia è sempre nella Democrazia, nel dialogo e nella tolleranza. Eppure, riflettendo con mente sgombra, per quanto possibile, gli anni a venire sembrano cupi, piene d’incognite, in bilico tra catastrofi ambientali, follie egemoniche, populismi e nazionalismi, caduta verticale delle classi dirigenti mondiali. Nello stesso tempo, lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, quell’ulteriore passo che sembra prossimo, dischiude orizzonti inimmaginabili e per buona parte inquietanti. A cosa aggrapparsi? Qual è la speranza della società più ricca e progredita della storia dell’uomo sapiens? Ancora e sempre la Democrazia.
Molti politologi, filosofi, sociologi, scienziati e uomini di cultura s’interrogano sullo stato di salute delle Democrazie occidentali. Chi si pone questi interrogativi dà per scontata la supremazia del nostro sistema su quelli autarchici insistendo piuttosto sui rimedi che potrebbero essere introdotti per invertire o comunque migliorare la situazione di fatto. A questo proposito è necessario distinguere il problema della disaffezione dell’elettorato, di cui è sintomo preoccupante il calo delle percentuali degli elettori, da quello del corretto funzionamento delle Istituzioni. L’Italia, pur in presenza della tendenza negativa alla partecipazione al voto, ha ancora una delle più alte percentuali di votanti tra i Paesi maggiori. Siamo nettamente in testa di parecchi punti su tutti i grandi Paesi europei ed anche sugli Stati Uniti, nonostante l’incremento di percentuale nelle presidenziali dello scorso novembre causato dalla preoccupazione di un’eventuale conferma di Trump.
Il problema però esiste e deve essere affrontato attribuendo al corpo elettorale il reale potere di scelta della forza politica e dell’eletto che le sciagurate leggi elettorali degli ultimi decenni hanno eliminato. Il Parlamento e il movimento che ne rappresentava la maggioranza relativa non si rendono affatto conto di cosa significhi tornare a votare con un sistema bloccato nel quale l’elettore sa che il suo voto vale poco o nulla e hanno preferito correre verso il baratro della fine della legislatura pur avendo il tempo per varare una dignitosa legge elettorale proporzionale con preferenza. Nello stesso tempo possono essere introdotte modalità di voto adeguate a ciò che la tecnologia consente garantendo la segretezza e la libertà di espressione unite alla rapidità e alla comodità. Tanto per esemplificare, non è possibile consentire l’incredibile realtà che in una media città di oltre 200.000 abitanti nella quale ha votato poco più del 50% degli aventi diritto (com’è accaduto a Messina) abbia conosciuto i risultati definitivi del Consiglio comunale dopo 17 giorni dalla votazione. Altro che terzo mondo!
Nella realtà nella quale viviamo in cui il cittadino ha accesso a tutti i più importanti siti della Pubblica Amministrazione attraverso lo SPID, riceve atti legali di ogni genere con la pec e ottiene certificazioni aventi valore legale per via telematica, non è pensabile di andare avanti chiedendo di recarsi al seggio in pieno , Giugno con 35 gradi di temperatura con una procedura antiquata e, come si è visto, farraginosa e del tutto inefficiente. Va mantenuta certamente la possibilità di votare in modo tradizionale per chi non sa o non vuole fare altrimenti, per tutti gli altri, la grandissima maggioranza, occorre introdurre meccanismi nuovi, veloci, sicuri.
Nello Stato democratico l’equilibrio tra i poteri e il loro corretto funzionamento sono grandi questioni aperte sulle quali non si è trovato finora un consenso sufficiente per migliorarli e renderli più efficienti. Il lavoro delle Commissioni bicamerali è stato inutile e i tentativi portati avanti da importanti esponenti politici si sono risolti in sconfitte cocenti per i promotori. Eppure quasi tutti gli esperti sono d’accordo nel ritenere che alcune modifiche debbono essere introdotte con urgenza. La Democrazia è un organismo delicato che va curato con amore e dedizione. Le poche novità che sono state introdotte nell’impalcatura costituzionale voluta dall’Assemblea Costituente sono state quasi tutte peggiorative, come quella che ha ridotto il numero dei Parlamentari senza modificare il c.d. bicameralismo perfetto, sull’onda di un odio verso la “casta” che porterà soltanto a un notevole aumento delle difficoltà di lavoro dell’organo legislativo. Non solo non si è intervenuti con organiche e mirate riforme costituzionali, il cui varo incontra difficoltà tecniche oltre che politiche, ma non si è stati in grado di varare delle buone leggi ordinarie in materia elettorale, fiscale e giudiziaria .
La crisi del Governo di unità nazionale, rappresentativo di quasi il 90% del Parlamento, ha aperto la strada a una folle corsa verso le elezioni per la volontà di chi ha aperto la crisi politica nella speranza di ottenere visibilità in un disperato tentativo di sostituire il vuoto politico con la presunzione e lo sforzo muscolare, annullando ogni proposito di introdurre in settori nevralgici delle Istituzioni quelle novità auspicate da gran tempo.
Vengono alla mente periodi oscuri della Storia passata e più recente dell’Occidente che hanno aperto strade dolorosissime e drammatiche. La speranza è che il buonsenso prevalga. Il Presidente del Consiglio, intervenendo al Senato, ha dato una lezione di politica e di senso dello Stato a tutti, con calma, passione, lucidità e lungimiranza. Non sarà la soluzione della rissosità e degli interessi di bottega, ma quel discorso resta un punto fermo dal quale non è possibile prescindere. Le qualità per governare non si vendono in bottega, sono il frutto di un talento coltivato e maturo. Il resto è chiacchiera. Purtroppo ancora una volta gli interessi particolari hanno sopraffatto quelli del Paese in una fase delicatissima e di grande incertezza. Occorre affidarsi al buon senso degli elettori e augurarsi che prevalgano il discernimento e la responsabilità. L’iniziativa dissennata dei 5Stelle è stata utilizzata dalla destra per andare al voto e incassare la vittoria che le assegnano i sondaggi, per fortuna non sempre veritieri. Il tatticismo ha fatto strame del dilettantismo e dell’improvvisazione. Chi pagherà il conto?