CHE FINE HANNO FATTO L’AGENDA E LE CARTE DI BORSELLINO?!

CHE FINE HANNO FATTO L’AGENDA E LE CARTE DI BORSELLINO?!

di Giuseppe Gullo

I veri eroi della lotta alla mafia si possono contare sulle dita di una mano;  tra questi, ai primi due posti, vi sono Falcone e Borsellino. La loro morte ha rappresentato, allora e oggi, il simbolo dell’estremo sacrificio nello svolgimento del lavoro delicatissimo e difficilissimo nel quale erano impegnati, consapevoli di rischiare la vita. Sono l’immagine di chi non è venuto a patti con la delinquenza organizzata, mai e per nessuna ragione, come fu per Boris Giuliano, Ninni Cassarà e Rosario Angelo Livatino. Eppure è accaduto che solo per la morte di Borsellino siano rimaste grandi zone d’ombra che, invece di diradarsi col trascorrere del tempo, si sono infittite. Tutto ruota intorno ai comportamenti di coloro che sono arrivati in via D’Amelio subito dopo l’esplosione tremenda che uccise il magistrato e gli uomini della scorta. Vi è un’immagine che ritrae un sottufficiale della Polizia di Stato, poco dopo, l’attentato mortale, che ha in mano la borsa  nella quale, sembra sicuro, era custodita l’agenda con la copertina rossa dalla quale Borsellino non si separava mai. La borsa sarebbe stata consegnata dal sottufficiale che l’aveva recuperata, in un primo momento, a un collega e successivamente sarebbe stata consegnata al capo della mobile della Questura di Palermo, Arnaldo La Barbera, deceduto nel 2002.

Da quel momento vi è stato un continuo susseguirsi d’inchieste della Procura di Caltanissetta, all’epoca dei fatti retta dal Procuratore Tinebra, che per varie ragioni, alcune non proprio limpide, è stato un protagonista di tutte le vicende siciliane e in parte anche nazionali, come capo del DAP fino alla sua morte avvenuta nel 2017. Quest’ultimo, titolare dell’inchiesta sulla morte di Falcone e Borsellino, è stato bersaglio di accuse molto pesanti provenienti da più parti. Ilda Boccassini, che fu per un periodo, su sua richiesta, distaccata a Caltanissetta per seguire l’inchiesta e che, per sua ammissione, fu legata sentimentalmente a Falcone, in più occasioni dichiarò che Tinebra, da solo – prima che Scarantino, pentito rivelatosi del tutto inattendibile e manovrato da mani oscure, venisse interrogato dai PM incaricati delle indagini – stette intere ore a parlargli, senza ovviamente verbalizzare né riferire ad alcuno il contenuto delle conversazioni, in aperta violazione di ogni norma procedurale di cui avrebbe dovuto essere garante. Lo stesso Procuratore, aggiunse la “rossa passionaria”, di fronte alle perplessità sull’attendibilità del teste che lei stessa manifestò, rispose facendo spallucce e dicendole ”arrangiati”.

Bruno Contrada, già funzionario di polizia e del Sisde, da parte sua riferì che fu Tinebra a chiedere che i servizi intervenissero nell’inchiesta. La Barbera sarebbe stato agente dei servizi con il nome in codice di Rutilus. Non dimentichiamo che in quel momento Contrada era il numero tre nazionale del Sisde. Fatto si è che l’indagine per anni girò a vuoto, depistata dalle false dichiarazioni di Scarantino, concepite e realizzate, si dice, da La Barbera, unanimemente ritenuto, all’epoca dei fatti, il migliore poliziotto anti mafia in servizio.

A distanza di oltre trent’anni dall’attentato del 1992, la Procura di Caltanissetta, in possesso di dichiarazioni provenienti da una fonte vicinissima a La Barbera, ha ordinato perquisizioni nella sua abitazione, da 21 anni residenza soltanto della vedova e di una  delle figlie, alla ricerca della famosa agenda rossa che sarebbe stata deliberatamente sottratta agli inquirenti. Dell’agenda nessuna traccia, ma i giornali riferiscono che sono stati ritrovati molti appunti importanti soprattutto di natura bancaria. Nello stesso tempo, viene fuori la notizia che sui conti dell’ex capo della mobile di Palermo sono transitati molti soldi, non si dice quanti, probabilmente provenienti dai servizi segreti per operazioni “coperte”. Dopo 21 anni dalla morte per cause naturali di La Barbera e dopo 31 anni dalle esplosioni che uccisero molte  persone, tra cui i migliori magistrati dell’antimafia, emerge che nessuno si era curato di dare un’occhiata alla situazione patrimoniale del poliziotto, di accertare quale fosse la provenienza dei molti denari di cui disponeva, come essi fossero arrivati sui suoi conti: portati da spalloni, con camion, con mezzi blindati, con bonifici, con accrediti dall’estero, da conti cifrati, per improvvise e inattese eredità, per donazioni di benefattori, per vincite al totocalcio o al lotto o chissà come. Qualcuno con un minimo di esperienza e buonsenso può ritenere che un poliziotto di grande esperienza e di riconosciuta bravura, tenesse nel cassetto della scrivania del suo studio di casa un documento che scottava talmente da essere riuscito a scampare all’incendio scoppiato sul luogo dell’attentato, le cui immagini, a ben pensarci a distanza di tanto tempo, tragicamente ricordano quelle di Gaza o di Baghdad, con la differenza, non trascurabile, che la scena si svolse nel centro di Palermo? La borsa, questo è noto, venne riconsegnata alla famiglia Borsellino dopo molto tempo e non conteneva nulla di utile alle indagini. Non so se nel caso dell’attentato di Capaci, siano stati recuperati documenti personali di Falcone. Non mi risulta, e probabilmente il tritolo rese cenere ogni cosa. Nel caso di Borsellino forse i calcoli dei mafiosi, per quanto precisi, non previdero i dettagli, o il caso intervenne come un Dio greco nelle tragedie.

Ogni volta, capita spesso purtroppo, che questo capitolo si riapre e che si risentono le voci addolorate e indignate dei parenti che chiedono alla Stato Giustizia e Verità per uno dei pochi eroi civili del secolo passato, il sentimento di chi legge è di sgomento per quanto è accaduto, di incredulità per ciò che continua ad occupare le cronache, di scetticismo sulla possibilità di giungere a risposte certe che almeno attestino la volontà dello Stato di non dare coperture, quale che sia il costo da pagare. Paolo Borsellino vive e vivrà nella memoria collettiva. La foto che lo ritrae a fianco di Falcone, entrambi sorridenti e rilassati, resterà per sempre il simbolo della Giustizia che non si fa corrompere. A loro tutti quanti dobbiamo moltissimo e oggi è doveroso arrivare ad una conclusione, quale che essa sia, lasciando finalmente lontano da corvi e mistificatori l’ideale Olimpo degli Dei che hanno meritato di occupare nell’immaginario collettivo.

 

Fonte Foto: FlickrMikel Agirregabiria CC BY-NC-SA 2.0 Deed

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