ASTENSIONISMO ELETTORALE E REFERENDUM

ASTENSIONISMO ELETTORALE E REFERENDUM

di Giuseppe Gullo

Vi è un’apparente contraddizione tra la crescente disaffezione degli elettori a esercitare il fondamentale diritto-dovere di voto e il crescente ricorso allo strumento referendario previsto dalla Costituzione come mezzo attraverso il quale il popolo sovrano interviene nel processo legislativo. Da un lato assistiamo al calo, che sembra inarrestabile, delle percentuali dei votanti e dall’altro vediamo moltiplicarsi i referendum abrogativi, consultivi o confermativi. Quali sono le ragioni di tali fenomeni? Qual è il loro significato politico e quali sono gli obiettivi che essi sottendono?
Le ragioni per le quali le Democrazie mature oggi vivono in modo generalizzato, seppure non uniforme, il fenomeno dell’assenteismo sono certamente il sintomo di un appannamento del rapporto di fiducia tra il corpo elettorale e le Istituzioni elettive che negli elettori trovano la loro legittimazione.  Contribuisce a questo l’idea dell’inutilità del voto rispetto alle soluzioni che vengono scelte in modo talvolta diverso od opposto rispetto alle aspettative degli elettori. L’ impossibilità di scegliere il rappresentante negli organismi elettivi è preclusa all’elettore ed è attribuita per legge alla volontà di chi dirige i partiti, come accade oggi in Italia con il Rosatellum. Questo contribuisce in buona misura ad alimentare una forma di qualunquistico risentimento nei confronti della “casta” ritenuta auto referenziale e impermeabile ai reali bisogni della collettività.
Il mix che viene fuori da questi fattori ,ai quali si aggiungono i ricorrenti scandali, è esplosivo e tale da  aumentare sfiducia e disinteresse. A fronte di questa crescente disaffezione, in una parte significativa della società civile lievita il bisogno di attivare tutti i mezzi offerti dall’ordinamento giuridico per modificare o eliminare storture che la politica colpevolmente accetta o finge d’ignorare.
Lo strumento referendario viene utilizzato in quest’ottica o nell’altra di opposizione netta a leggi votate dalla maggioranza il cui contenuto è ritenuto giustamente lesivo di interessi generali, come sta accadendo per il referendum abrogativo dell’autonomia differenziata.
Alla prima delle due categorie indicate appartiene il referendum abrogativo promosso dal Comitato per la rappresentanza che con quattro quesiti intende abrogare le norme limitative del potere di scelta degli elettori e del diritto delle formazioni minori di partecipare alle competizioni elettorali senza essere penalizzati dalle soglie di sbarramento e dai privilegi spettanti ai partiti già in Parlamento.
I quesiti sono stati da tempo depositati in Cassazione e il Comitato Promotore, che ha preso emblematicamente il nome di Comitato referendario per la Rappresentanza (Co. Re. Ra.), si è attivato per raccogliere le 500.000 mila firme necessarie per andare avanti nella procedura referendaria. Al riguardo è stato possibile accedere alla firma digitale con spid su una piattaforma privata che richiede il pagamento di poco meno di due euro a carico del sottoscrittore, mentre a partire dal 25 luglio, purtroppo con un ritardo di tre anni rispetto alla legge che l’ha istituita, è stata finalmente attivata la piattaforma pubblica gratuita gestita dal Ministero della Giustizia.
Tuttavia, su un tema di eccezionale rilievo, come quello della modifica della legge elettorale sulla quale Partiti, sindacati e associazioni varie si dichiarano a parole assolutamente d’accordo, è piombato il silenzio imbarazzato delle forze politiche e dei media che ignorano l’iniziativa, forse per non recare disturbo ai “manovratori” dei partiti. Come se tutte le scadenze elettorali che si sono succedute anche in queste settimane non abbiano confermato l’assurdità del Rosatellum, che col miscuglio diabolico delle liste bloccate, delle candidature plurime e delle soglie di sbarramento ha creato un Parlamento di “nominati “che va a scapito del rapporto elettore-eletto, ormai del tutto vanificato, e della qualità e del merito di chi siede a Montecitorio o a Palazzo Madama.
Qualcuno si è preoccupato di chiedersi e di verificare quale sarebbe stato il risultato elettorale in Francia o in GB se si fosse votato  con la legge elettorale italiana? Se qualcuno avesse voglia di farlo avrebbe molte sorprese, non tanto per la stabilità, mito spesso evocato solo strumentalmente, quanto sui livelli di rappresentanza delle singole forze politiche.
Al contrario di quanto sta accadendo per il referendum abrogativo del Rosatellum, i media hanno dato risalto enorme al milione di firme depositate dalla CGIL per ottenere il referendum abrogativo del Jobs act. Opportunamente molti hanno ricordato che quella legge venne voluta dal Governo guidato dall’allora Segretario del PD Renzi e approvata dal Parlamento nel quale i democratici avevano la maggioranza relativa. C’è da aggiungere che, secondo numerosi studiosi e operatori in materia lavoristica, la legge che il maggiore sindacato italiano intende ora abrogare ha introdotto numerose novità positive e abbattuto rigidità del sistema che frenavano la crescita del mercato del lavoro. Ovviamente, è del tutto legittimo che si cambi idea su qualunque argomento e che per ottenere l’obiettivo che ci si prefigge si mobiliti l’apparato organizzativo capillare di cui dispongono i promotori, partiti e sindacati, in larga parte finanziati con denari pubblici.
Più o meno allo stesso modo sebbene in un diverso contesto e con motivazioni differenti, alcuni consigli regionali a guida PD, Campania ed Emilia-Romagna in testa, si sono mobilitati per promuovere un referendum abrogativo della legge che introduce la c.d. Autonomia Differenziata. Non vi è dubbio che quest’ ultima iniziativa ha contenuti e motivazioni ben più valide di quella in materia di lavoro, sebbene qualcuno abbia ricordato che la strada della legge Calderoli sia stata nel 2001 tracciata dalla sciagurata riforma del titolo V della Costituzione voluta da un Governo a guida PD, e che sull’ammissibilità dei quesiti proposti vi siano dubbi di costituzionalità.
In aggiunta a quelli indicati si profila lo svolgimento del referendum Costituzionale che si svolgerà, senza necessita di raggiungere il quorum di partecipazione del 50% , ove venisse approvata la riforma introduttiva del premierato, oltre a vari referendum consultivi su argomenti di varia natura.
Esempi questi di vivacità e interesse della società civile su temi di grande rilievo sui quali i cittadini chiedono di esprimersi e di intervenire esercitando i diritti loro riconosciuti e che dovrebbero essere facilitati anche con l’introduzione del voto telematico, che consentirebbe a milioni di elettori, sei dei quali residenti all’estero, di esprimere la loro volontà.

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