A DESTRA E A SINISTRA: COALIZIONI ELETTORALI, MA SENZA POLITICA
di Giuseppe Gullo
Il risultato delle elezioni regionali in Sardegna ha rilanciato il c. d. campo largo. È presto per dire se quel voto è stato l’inizio di una reale modifica dell’orientamento degli elettori o se è stato piuttosto la risultante di diversi fattori concomitanti che si sono saldati e hanno consentito la vittoria della candidata del Movimento 5 Stelle appoggiata dal Pd. Il distacco tra i due contendenti è stato talmente ridotto da fare ritenere che il mancato sostegno o anche solo l’impegno tiepido di importanti esponenti del centrodestra possa averlo determinato. Sono ipotesi più o meno attendibili. Il fatto è che il candidato della destra è stato battuto in una competizione elettorale importante, sebbene limitata dal numero dei votanti e dalla natura del voto. Il problema politico che ora si pone è quello relativo alla possibilità che l’alleanza vittoriosa in Sardegna possa essere riproposta ovunque e in ogni tipo di elezione.
Un’analisi seria deve prendere le mosse dall’esame delle leggi elettorali con le quali si esprime il voto. Al momento, le leggi che regolano le elezioni politiche e quelle regionali e amministrative sono profondamente diverse. Lo sciagurato sistema che regola le elezioni nazionali prevede un sistema elettorale misto, ribattezzato Rosatellum-bis: in ciascuno dei due rami del Parlamento, il 37% dei seggi assembleari è attribuito con un sistema maggioritario uninominale a turno unico, mentre il 61% degli scranni viene ripartito fra le liste concorrenti mediante un meccanismo proporzionale corretto con diverse clausole di sbarramento. Le candidature per quest’ultima componente sono presentate nell’ambito di collegi plurinominali, a ognuno dei quali spetta un numero prefissato di seggi; l’elettore non dispone del voto di preferenza né del voto disgiunto. La Costituzione stabilisce altresì che otto deputati e quattro senatori debbano essere prescelti dai cittadini italiani residenti all’estero. Questa assurda legge, con la quale si sono svolte le elezioni del 2018 e del 2022, obbliga i partiti ad allearsi per concorrere con possibilità di successo nei collegi uninominali (37% dei seggi), mentre per quelli restanti ognuno corre autonomamente senza che l’elettore possa scegliere il candidato né utilizzare il c. d. voto disgiunto. Si è realizzato il “miracolo” di fare una legge che somma tutti i difetti dei due sistemi, uninominale e proporzionale, rivisti in peggio, con l’aggiunta dell’espropriazione del diritto di scelta dei candidati e quindi degli eletti. I partiti sono divenuti padroni e arbitri della composizione dei due rami del Parlamento, con l’ovvia conseguenza del decadimento della qualità degli eletti e della loro scelta sulla base di criteri molto diversi dal merito di ciascuno. Una legge che prevede per poco più di un terzo il sistema uninominale e poco meno di due terzi quello proporzionale modificato in peius non è né carne né pesce e non poteva che creare i gravissimi problemi che sono sotto gli occhi di tutti. Nessuno dei responsabili dei Partiti maggiori ha voluto por mano seriamente alla modifica di una legge assurda e deleteria che consegna però ai capi partito il massimo del potere di scelta. Il ddl costituzionale che intende introdurre il premierato tace sulla legge elettorale rinviando la sua adozione all’approvazione della riforma il cui iter sarà lungo e difficile, come hanno dimostrato queste prime settimane di dibattito e di modifiche preannunciate.
La legge che disciplina le elezioni regionali è del tutto diversa. Essa prevede l’elezione diretta e congiunta del Presidente della regione e del Consiglio regionale. Strutturata su un turno unico di votazioni, pone in essere un sistema elettorale anch’esso misto, che attribuisce l’80% dei seggi consiliari con un meccanismo proporzionale con voto di preferenza, e il 20% con un metodo maggioritario plurinominale. Le differenze tra le due leggi sono enormi ed evidenti. In quella regionale è determinante la scelta del candidato presidente e la coesione dell’alleanza che lo sostiene. Se entrambe queste condizioni o una di esse viene meno, il risultato può variare, specie se si gioca su pochi decimali di differenza. Il problema maggiore, tuttavia, resta quello delle affinità politiche dei partiti che si coalizzano. Su questo versante emergono le difficoltà più marcate. Nelle elezioni politiche vi sono contenuti decisivi che riguardano la politica estera e quella europea in particolare, le scelte di strategia economica e di sviluppo, serie politiche di bilancio e di contenimento del deficit, le prospettive in materia di intelligenza artificiale, i diritti civili e la disciplina sul fine vita, l’immigrazione e le politiche di accoglienza, la tutela ambientale, la Giustizia, per citarne alcune, che rendono molto difficile un accordo di Governo. Esse non fanno parte, al momento, delle competenze regionali per cui forze che hanno idee e orientamenti diversi possono tranquillamente non esprimersi su di esse per concentrarsi su questioni più aderenti alle realtà locali.
Sulla base di questo artificio si finisce per procedere con una finzione, quella di ritenere esistente un’affinità che in realtà non esiste. Il ragionamento è più o meno questo: se non presentiamo un candidato comune saremo battuti. Scegliamolo e sosteniamolo e poi si vedrà. Il leader di Azione in questo senso ha esplicitato la sua idea: ha dichiarato che intende allearsi con i 5Stell, dai quali lo separa un abisso su mille questioni, ma solo alle elezioni amministrative, mai alle politiche, dove restano invece posizioni molto distanti su temi decisivi come, ad esempio, la guerra in Ucraina e l’integrazione europea. È lo stesso ragionamento del PD che non lo esplicita ma lo camuffa evocando il c. d. campo largo con un’immagine che colpisce l’elettore. Questa scelta ha il fiato corto.
Cosa accadrà se la Regione Sardegna dovesse porsi il problema della costruzione di un termovalorizzatore? o se dovesse autorizzare ricerche di gas naturale al largo delle sue coste? O se dovesse porsi il problema di installare un degassificatone? E’ un’alleanza tattica che potrebbe anche funzionare ma che sicuramente creerà un’infinità di problemi con la conseguenza di un’attività frammentaria e contraddittoria. Qualcuno osserva che la stessa cosa spesso accade anche sul fronte opposto. È vero, basterebbe pensare a ciò che avviene giornalmente in Sicilia, dove l’Assemblea ha bocciato provvedimenti qualificanti del Governo senza che nessuno ne abbia tratto le ovvie conseguenze. È una guerriglia continua che non arriva all’atto finale in quanto le dimissioni del Presidente comporterebbero lo scioglimento dell’ARS e nuove elezioni che nessuno degli eletti vuole. Con l’eccezione, è giusto dirlo, del Movimento “Sud chiama Nord”, il cui leader punta a fare il Presidente della Regione alla testa di un Partito che aspira a ricreare il Regno delle Due Sicilie (!!!!), come ha dichiarato la Presidente Castelli, ex 5 Stelle. In attesa di tornare indietro di alcuni secoli, godiamoci i frutti di questa incredibile decadenza della politica e di chi la rappresenta.
Ciò che può valere, con i limiti che sono chiari, per le realtà locali, non è praticabile per la coalizione che si candida alla guida del Paese. Posizioni contrapposte sulle guerre e sulla loro responsabilità, sull’economia e sulle politiche di sviluppo, sul funzionamento della Giustizia e sulla tutela degli indagati, sui rapporti con la Russia e il suo capo, con Trump e il suo staff, sui diritti civili e il fine vita non possono essere oggetto di trattative e di silenzi consapevoli.
Il campo largo del PD potrà pure esserci ma è minato, e gli ordigni bellici hanno un nome e un cognome, ancorché siano camuffati dalle Stelle.