MELONI AL GIRO DI BOA, TRA RAGION DI STATO E MAGISTRATURA

MELONI AL GIRO DI BOA, TRA RAGION DI STATO E MAGISTRATURA

di Giuseppe Gullo

Il primo Governo dichiaratamente di destra, presieduto da una donna, ha superato la boa di metà legislatura. Qual è oggi il suo stato di salute? Quali sono i dossier sui quali rischia effettivamente di cadere? Qual è lo stato di salute delle opposizioni?

Le risposte sono difficili e rischiose, nel senso che possono essere smentite prontamente dai fatti. In questi giorni il dibattito politico è incentrato su alcuni argomenti tra loro molto diversi che attengono a questioni interne e internazionali. Quest’ultime sono relative alla decisione del Governo di rimpatriare con un volo di Stato il generale libico Almasri, fermato dalla polizia italiana in quanto colpito da un mandato di cattura emesso dalla Corte Penale Internazionale. L’opposizione è insorta denunciando la grave violazione da parte del Governo di un provvedimento della CPI. che abbiamo contribuito a fondare. Nel mirino soprattutto il Ministro Guardasigilli accusato di avere deliberatamente ignorato il provvedimento della CPI. La versione del Governo è naturalmente diversa, attestata sull’affermazione della piena legittimità dell’operato di coloro che hanno gestito il caso. Sentiremo ancora parlare di questo affaire che tra qualche settimana sarà archiviato senza alcuna conseguenza pratica.

La ragione della conclusione preannunciata risiede nelle sottostanti tutele di interessi nazionali che hanno dato origine alla decisione dell’Esecutivo, che tutti ben conoscono, chi approfonditamente chi meno, e che tuttavia fingono di ignorare. Il nostro Paese ha interessi economici molto rilevanti in Libia per molti miliardi. Siamo il primo partner commerciale con oltre il 15% delle esportazioni e importiamo una notevole quantità di greggio che rivendiamo per il 55% come prodotti raffinati al venditore. Secondo uno studio di Confindustria l’export verso il Paese nordafricano potrebbe aumentare di un miliardo ogni anno se dovesse migliorare la situazione politica molto instabile dopo la caduta di Gheddafi causata dall’iniziativa militare di USA, Francia e Gran Bretagna.

Una seconda questione di non minore importanza riguarda i rapporti con la Libia: l’immigrazione clandestina. Secondo stime per difetto vi sono 650.000 persone in attesa di attraversare il Mediterraneo per raggiungere le coste italiane. Il nostro Governo è impegnato a bloccare o quantomeno a ridurre il più possibile gli sbarchi. A questo fine sono aperti canali diplomatici e di intelligence con le autorità libiche che prevedono aiuti economici consistenti da parte italiana. Iniziative analoghe in passato furono prese dal Ministro Minniti del PD, forse il migliore titolare dell’Interno degli ultimi decenni, con il placet di chi oggi protesta. Per non dire, in diverso contesto e differenti motivazioni, di altri casi simili: la liberazione dell’ingegnere iraniano detenuto in Italia e scambiato con la liberazione della giornalista italiana in carcere a Teheran, o la missione segreta di un Ministro americano che ottenne informazioni riservate dal Presidente del Consiglio Conte che aveva mantenuto la delega ai servizi segreti. Sono solo pochi esempi noti di una prassi abbastanza frequente e normalmente mantenuta riservata.

L’altra vicenda “calda” è quella del conflitto tra Governo e ordine Giudiziario. La questione è molto delicata. La magistratura quasi unanime è schierata contro l’approvazione del ddl costituzionale che introduce la separazione delle carriere tra magistratura giudicante e requirente. L’obiezione di maggior rilievo riguarda il timore che il PM venga subordinato al controllo del Governo e perda di conseguenza l’autonomia e l’indipendenza che la Costituzione prescrive per l’ordine giudiziario. Una lettura serena e obiettiva del ddl allontana qualsiasi dubbio al riguardo

La riforma all’esame del Parlamento mantiene tutte le garanzie costituzionali attribuite ai PM, che anzi vengono esplicitate e rafforzate. L’articolo 107, comma 4, della Carta, per il quale oggi “il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dall’ordinamento giudiziario”, non viene innovato ma risulta addirittura rafforzato con la modifica dell’art. 104, il cui primo comma viene completato stabilendo che la magistratura “è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente”. Il ddl istituisce poi due distinti ruoli per i magistrati che promuovono l’azione penale e dirigono le indagini e quelli che decidono sulla responsabilità degli imputati relativamente ai fatti loro contestati. Parallelamente vengono previsti due CSM, uno per ciascuna funzione, entrambi presieduti dal Presidente della repubblica, e un’Alta Corte con competenza in materia disciplinare.

Il ddl pone rimedio ad un’anomalia tutta italiana che consente al magistrato di transitare da una funzione all’altra e di essere giudicato, nel caso di procedimenti disciplinari, dallo stesso organo che ne ha deciso la carriera composto per due terzi da colleghi. Non accade in nessuna delle grandi democrazie mondiali, comprese quelle più vicine alla nostra dal punto di vista del sistema costituzionale. Qual è allora la vera questione sottesa allo scontro in corso, per il quale abbiamo già assistito all’incredibile atteggiamento dei magistrati che in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario hanno abbandonato l’aula nel momento in cui ha preso la parola il rappresentante del Governo? La magistratura intende difendere con ogni mezzo l’occupazione illegittima di spazi e funzioni che non le competono e che ha manu militari conquistato negli ultimi decenni. È giusto dire che la classe politica debole e spesso inadeguata ha contribuito in modo rilevante a consentire che ciò accadesse. Il che non può in nessun modo giustificare la persistenza del fenomeno né tantomeno attenuare le nefaste conseguenze che lo strapotere giudiziario ha creato.

In nessuna Democrazia avanzata un’intera classe politica e in parte dirigenziale è stata decapitata per mano giudiziaria com’è accaduto nel Belpaese, col contestuale tentativo di scegliere coloro che avrebbero dovuto assumere la responsabilità del Governo. Parimenti non vi sono precedenti comparabili a quanto accaduto in Italia dal 1993 fino al caso Almasri. La saldezza delle Istituzioni e l’equilibrio e la saggezza di alcuni di coloro che hanno ricoperto alti incarichi, hanno consentito di non avere conseguenze più gravi ed irreparabili, sebbene vi siano stati danni ingenti dei quali paghiamo ancora le conseguenze. Non sono stati sufficienti numerosi scandali con contenuti da spy story, utilizzazione di sofisticati sistemi di controllo da remoto, opportunamente sterilizzati quando serviva, incarichi dirigenziali assegnati a ”pacchettoni“, verbali secretati pubblicati sui giornali, dimissioni a catena dal CSM, per mettere un minimo d’ordine e di trasparenza in acque fortemente inquinate da veleni per i quali gli antidoti non sono noti.

L’auspicio degli autentici difensori della Democrazia Liberale e dei suoi principi è che si ritorni al reale equilibrio tra i poteri dello Stato, vera garanzia di rispetto dei diritti dei cittadini.

Fonte Foto: Pexels.comInga SeliverstovaLicenza gratuita

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