IL LIMITE DEI DUE MANDATI MENTRE SI AFFACCIA LA TENTAZIONE DI UNA NUOVA LEGGE ELETTORALE

IL LIMITE DEI DUE MANDATI MENTRE SI AFFACCIA LA TENTAZIONE DI UNA NUOVA LEGGE ELETTORALE

di Giuseppe Gullo

La decisione della Corte Costituzionale di dichiarare inammissibile il referendum sull’autonomia differenziata ha dato al Governo e alla sua leader un’inattesa, insperata e involontaria mano d’aiuto. Lo scoglio del voto referendario sarebbe stato molto difficile da superare e avrebbe potuto essere un punto di svolta per la legislatura. Così non sarà e gli altri referendum ammessi dalla Corte è presumibile che non avranno alcuna incidenza sulla navigazione dell’esecutivo.

Sollevata dalla preoccupazione delle conseguenze del voto popolare sulla sciagurata legge Calderoli, la Presidente del Consiglio, con una mossa a sorpresa e molto efficace, ha aperto un nuovo fronte. I principali quotidiani hanno riferito dell’intenzione di Meloni di portare avanti una legge elettorale che riproponga per l’elezione del Parlamento lo schema introdotto ormai da molti anni per l’elezione del Sindaco e/o per i Presidenti delle Regioni.

Sarebbe sbagliato non dare a questa iniziativa, ove dovesse essere formalizzata e portata avanti, l’importanza che ha. La legge del 1993 che introdusse l’elezione diretta del Sindaco fu voluta praticamente da tutti i gruppi parlamentari che a quel tempo erano ancora quelli della prima Repubblica. Ovviamente vi era tra quelli anche il PDS, progenitore del PD, anch’esso apertamente a favore della riforma che modificò profondamente il sistema precedente che affidava al Consiglio comunale l’elezione, la durata, l’operatività del Sindaco e della Giunta. Il cambiamento fu radicale e incise profondamente sulla forma e la sostanza del far politica. La rappresentanza politica venne fortemente personalizzata, l’esercizio del potere locale venne concentrato nelle mani del Sindaco investito dal voto popolare con poteri di gran lunga più rilevanti di quelli che aveva il Sindaco eletto dal Consiglio Comunale anteriforma. Basti pensare che le dimissioni del Sindaco/Governatore comportano la decadenza del Consiglio e nuove elezioni e che gli assessori vengono nominati e revocati ad libitum dall’eletto.

La ratio della riforma è stata la ricerca di stabilità e continuità dei governi locali. Come spesso accade, le novità talvolta producono effetti ai quali non si è pensato o che sono stati sottovalutati. Lo vediamo in queste settimane in cui la discussione sull’introduzione del terzo mandato per sindaci e presidenti di regione crea forti fibrillazioni in tutte le formazioni politiche di maggioranza e di opposizione. La norma che ha introdotto la regola dei due mandati come limite massimo intendeva limitare il formarsi di posizioni di potere a tempo indeterminato. Ma tra il dire e il fare c’è sempre una differenza non da poco. È così che la maggioranza è alle prese col caso Zaia, Presidente del Veneto, più volte confermato a furor di popolo, che non intende passare la mano ad altri, mentre la minoranza deve affrontare l’aspirazione del Presidente campano De Luca di riproporre la sua candidatura col via libera del Consiglio Regionale che ha approvato una legge ad hoc. In entrambi i casi gli uscenti vengono accreditati di ottime probabilità di successo e gli stessi possibili contendenti subordinano un’eventuale candidatura all’assenza degli attuali presidenti.

Fenomeni analoghi si sono verificati anche in passato ma non hanno riguardato, con la sola eccezione di Formigoni in Lombardia e di Orlando a Palermo, grandi enti bensì centri minori nei quali il rapporto tra l’eletto e gli elettori era personale e diretto. Questo per dire che i pro e i contra forse si equivalgono e che il “filtro” dei Consigli ai quali Sindaci e Presidenti dovevano rendere conto del loro operato era un antidoto alla crescita incontrollata dell’”uomo forte“, dal quale dipende la stessa durata della consiliatura locale. Basta riflettere su alcuni casi recenti per avere conferma di questa identificazione tra Sindaco/Presidente e territorio. Palermo, oltre a quelli già detti, è emblematico. Leoluca Orlando, classe 1947, è stato Sindaco della capitale siciliana per oltre 20 anni sotto la vigenza della precedente normativa come dell’attuale, e nelle more delle sindacature deputato nazionale ed europeo rieletto nel 2024. Nel momento in cui non ha potuto ricandidarsi come Sindaco lo schieramento di cui era espressione ha perso le elezioni.

A livello nazionale, secondo indiscrezioni, verrebbe introdotto il sistema proporzionale con preferenza e l’indicazione del candidato premier sulla scheda. Su questa ipotesi è partito il fuoco di sbarramento di eminenti costituzionalisti che arrivano a sostenere che, ove venisse approvata, sarebbe una forma surrettizia di premierato. In realtà non è così. L’indicazione sulla scheda, già avvenuta in passato, non rappresenta alcun vincolo nel processo di formazione del Governo se non come tendenza o gradimento. Nient’altro. Il PdR nel conferire l’incarico di formare un nuovo Governo, non è stato in passato e non sarebbe in futuro vincolato ove venisse fuori dalle consultazioni un diverso orientamento. Perché vi fosse un incarico “obbligatorio“ sarebbe necessario modificare la Costituzione che è ciò che la Meloni non vuole per i rischi che ciò comporterebbe per il Governo. Vi sarebbe invece il definitivo superamento del Rosatellum, né carne (maggioritario) né pesce (proporzionale, ma con liste bloccate) e da quasi tutti disconosciuto a parole ma gradito nei fatti.

In ogni caso sarà politicamente opportuno che ogni forza politica dica concretamente cosa intende fare al riguardo.

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